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Overtourism: Tourism is what we make it

Overtourism ovvero il tema del momento per le destinazioni turistiche. Continuiamo la nostra esplorazione “pratica” sul turismo sostenibile. In questo post affrontiamo il tema del momento per le destinazioni turistiche: l’overtourism, cioè il sovraffollamento per dirla in modo casereccio. Il problema è noto: i turisti vengono da tutti gli angoli del globo, ma ne visitano solo alcuni dello stesso globo. Per essere ancora più precisi, il tema non riguarda tutte le destinazioni turistiche, come non riguarda tutti i siti di una destinazione, come non è costante durante l’anno. Quindi, il problema non è il tanto bistrattato turismo di massa, senza il quale, per inciso, non avremmo tanti posti di lavoro e i soldi delle tasse che pagano i convegni dove possiamo raccontarci tutte le storie sui viaggiatori e i turismi che ci piacciono. Il sovraffollamento ha almeno tre conseguenze.

Conseguenza N.1, con l’overtourism la qualità dell’esperienza turistica si riduce. Tutto vero, in teoria. Ad esempio, a Barcellona, dove stanno monitorando questi aspetti, hanno rilevato che il 58 percento dei turisti si lamenta della troppa confusione. Questo potrebbe costare caro in termini di immagine. Tuttavia, per ora, questa eccessiva presenza turistica non ha scoraggiato l’arrivo di nuovi turisti, che anzi aumentano di anno in anno. E in generale, le città, cioè le destinazioni dove con grande probabilità si verificano i casi principali di sovraffollamento,  vedono aumentare costantemente i flussi turistici.

Conseguenza N.2, l’overtourism rischia di ridurre, se non distruggere (anche fisicamente) il valore del capitale turistico, cioè i siti naturali e culturali alla base dell’attrazione di una località. Questo è tanto vero, quanto più piccoli e famosi sono i siti. Pensate a Piazza S. Marco o al Ponte di Rialto a Venezia o alla Fontana di Trevi a Roma, o al Machu Pichu.

Conseguenza N3, l’overtourism è fonte di conflitti sociali. A Barcellona, il secondo problema sociale dopo la disoccupazione sono i prezzi delle case e degli affitti, troppo elevati per i redditi di molti residenti che così sono costretti a lasciare i loro quartieri. Chi ha la possibilità e la tenacia di restare deve però sopportare le folle (in alcuni periodi dell’anno) e dotarsi di pazienza per trovare servizi e negozi  prettamente pensati per i turisti.  In aggiunta, i cittadini devono pagare (in tasse) un conto salato perché infrastrutture e servizi aggiuntivi pensati per i turisti. Tutto vero anche in questo caso, ma nel complesso la qualità della vita a Barcellona rimane molto elevata, soprattutto quando comparata ad altri grandi città europee.  Allargando lo sguardo nello spazio e nel tempo, non è altrettanto vero che la storia delle città è fatta di trasformazioni spinte dalle attività economiche? Dove oggi c’è il ristorantino che serve prodotti a Km0, una volta c’era una fabbrichetta o il laboratorio di un artigiano.  Dov’è la novità? E perché il ristorantino (che sostituisce la fabrichetta) tutto sommato va bene, ma (il regolare) B&B o appartamento in affitto o ancora peggio il Kebabaro fanno scandalo?

L’impressione che mi sono fatto è che la natura dei problemi varia da località a località e che generalizzare sull’overtourism porta tanti consensi sui social, ma poche soluzioni. Ma quali sono appunto le possibili soluzioni? La più ricercata da sempre è la ridistribuzione dei flussi turistici che promette (in teoria) di avere numeri in crescita, ma meglio distribuiti. Peccato che si scontra con le preferenze dei turisti. Come ricorda Christine Duffy, presidente di Carnival (crociere), possiamo promuovere itinerari alternativi, ma che fanno capo ad un must-see. Le navi di Carnival a Bari attraccano, ma perché vanno e vengono da Venezia. Per questo motivo, il nobile tentativo del PST (Piano Strategico del Turismo), e cioè fare in modo che i piccoli borghi salvino le grandi città dal sovraffollamento, mi sembra irrealizzabile. Semmai, come Carnival insegna, (alcuni) borghi fioriranno se si agganceranno alle ricercatissime città del Turisdotto.

Un’altra soluzione, spesso invocata, e in alcuni casi adottata, è mettere un limite alla proliferazione di camere bloccando la costruzione di hotel o le licenze per affitti turistici e bed & breakfast.  Alla metà degli anni 80’, questa soluzione fu adottata nelle Baleari (a Maiorca) su pressione dei proprietari di alberghi che volevano in questo modo proteggere il loro mercato locale, mentre si espandevano all’estero (diventano grandi catene alberghiere transnazionali).  Gli effetti di tale misura sono ancora dibattuti. C’è chi evidenzia l’impatto positivo sulle isole meno note delle Baleari e la nascita di forme di ospitalità alternative, chi invece ricorda che la poca concorrenza per un periodo indebolì la qualità dell’accoglienza maiorchina e facilitò l’espansione urbana con la costruzione di tantissime seconde case e appartamenti (Pons, 2014) . Le misure fortemente volute dall’attuale sindaco di Barcellona sembrano, per ora, non avere avuto l’effetto sperato. Gli imprenditori alberghieri rilevano che con la mancata apertura dei nuovi alberghi si sono persi molti posti di lavoro, considerato che la crisi dei paesi del Nord-Africa sta portando numeri record a Barcellona. Allo stesso tempo, la corsa dei prezzi delle case e degli affitti non sembra essersi fermata. Morale: le soluzioni regolamentate richiedono una riflessione molto attenta preventiva sulle possibili conseguenze (soprattutto quelle non intenzionali).

A proposito di soluzioni regolamentate, in questi giorni si parla molto del numero chiuso non tanto di intere città (che non è possibile per motivi pratici e costituzionali), ma dei luoghi più affollati di queste città. La necessità di questa soluzione è fuori discussione. Più controverso è il modo in cui adottarla. Mettere i tornelli senza un sistema informativo e adeguate strutture di appoggio porta solo alla creazione di colli di bottiglia e quindi ad una maggiore confusione. Se poi oltre ai tornelli, si prevede di mettere un ticket, cioè pagare per entrare in un luogo pubblico, si rischia di entrare in un terreno minato che porta alla messa in discussione del concetto di luogo pubblico.  A me sembra che il numero chiuso possa funzionare a due condizioni. In primo luogo, il numero chiuso deve essere limitato al periodo e agli orari dove si verificano i picchi. Secondo, il numero chiuso deve essere parametrato alle prenotazioni presso le strutture ricettive per le quali si paga una tassa di soggiorno. Se vengo a Roma, e soggiorno tre notti in hotel, devo avere il diritto di visitare la Fontana di Trevi per un lasso di tempo in un giorno che conosco al momento della prenotazione. Se non c’e più posto, devo saperlo e regolarmi di conseguenza. Gli escursionisti che decidono di visitare Roma in un periodo di picco devono sapere in qualche modo (quando acquistano il biglietto del treno, quando vedono le previsioni del tempo, ecc. ) quali sono i siti a cui non potranno accedere.  Lo stesso discorso vale per le agenzie che portano escursionisti  con torpedoni e navi crociere. Ovviamente, i varchi non potranno essere posti nei pressi del sito, ma in luoghi dove è possibile fare “retromarcia”. Solo in questo modo si eviteranno le risse ai tornelli (e non è del tutto scongiurato).

Uscendo dalla regolamentazione, una soluzione è utilizzare strumenti con la logica del revenue management. In altri termini, anziché bloccare i permessi per costruire nuovi hotel venderli al miglior offerente in funzione dell’appetibilità dell’area. I prezzi di biglietti di card turistiche, di musei e degli stessi mezzi di trasporto potrebbero dover variare in funzione dei flussi. Più cari nel periodo di alta stagione, nei fine settimana e negli orari di punta. Le maggiori entrate potrebbero essere utilizzate per pagare i costi dei servizi straordinari per il turismo, case popolari, interventi per migliorare le periferie, ecc.

Concludo con tre auspici. Questo post non è definitivo, ma un insieme di (brevi) note per esplorare in modo pratico il senso del problema (dell’overtoruism). Spero sia chiaro che il turismo di massa non è un problema in sé. Come spero sia chiaro che rendere più sostenibile il turismo non implica rinunciare ai sui benefici o pretendere di modificare le preferenze delle persone, ma implica utilizzare al meglio le informazioni, le tecnologie e strumenti di mercato per mitigare gli impatti negativi.

Chi è interessato ad approfondire gli argomenti trattati in questo post può fare riferimento agli articoli raccolti nella rivista di Flipboard di DMI, agli articoli apparsi su Skift , ad una cronistoria documentata sui problemi in alcune città. Sulla questione numero chiuso, consiglio vivamente di approfondire le analisi e le proposte del Comitato “Un turismo sostenibile a Venezia”

Pons (e colleghi) 2014, Island Studies Journal, Vol. 9, No. 2, 2014, pp. 239-258 Tourism capitalism and island urbanization: tourist accommodation diffusion in the Balearics, 1936-2010.

In copertina: cartolina di Pegli, anni 50, trovata su cartoline di Pegli. Pegliese.it

Antonio Pezzano

Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

4 Comments

  • Dario ha detto:

    Suggerisco la lettura di questo paper per una visione scientifica del tema.
    THE “VICIOUS CIRCLE” OF TOURISM
    DEVELOPMENT IN HERITAGE CITIES

    scaricabile da qui https://is.muni.cz/el/1456/jaro2014/BKR_GECR/um/The_Ovicious_circleO_of_tourism_development_in_heritage_cities.pdf

  • Leggo con quasi un mese di ritardo e quindi il mio commento ormai sarà forse un poco superato.
    L’articolo affronta un problema effettivamente serio. Mi pare però che non venga presa in considerazione quella che è la soluzione migliore per ridurre il sovra-affollamento e cioè la destagionalizzazione.
    Da operatore del settore trovo assolutamente assurdo che una città come Roma veda i flussi turistici, soprattutto quelli degli stranieri, sparire quasi completamente da novembre ai primi di marzo manco fosse un città dove le temperature vanno con regolarità sotto zero.
    Le località marine dovrebbero invece imparare dalle stazioni sciistiche che hanno allungato e stabilizzato la stagione con gli impianti di neve artificiale. Farsi il bagno a mare a fine maggio o a giugno può non essere molto piacevole perché la temperatura dell’acqua è ancora bassa. Basta fare delle piscine, magari con acqua di mare, che si scaldano naturalmente con più velocità e comunque con un sistema di riscaldamento dell’acqua sfruttando sempre il sole e la stagione si allunga perché a maggio e a giugno a prendere il sole ci si sta comunque.

    • Antonio Pezzano ha detto:

      Gentile Vincenzo, grazie per le osservazioni e per le idee. Data l’importanza del tema e il volume delle cose da dire, scriveremo presto un post sul tema 🙂

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