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La platform economy segue le stesse leggi fondamentali di tutte le altre economy.

Lo studio di Romano e Picascia su Airbnb in 13 città italiane, che sarà presentato a fine giugno e anticipato da Repubblica, ci dice alcune cose che su questi pixel sappiamo da tempo.

Airbnb, come tutte le piattaforme digitali, integra e sostituisce quelle tradizionali. Nonostante il rapporto tra notti trascorse in hotel e alloggi in affitto (B&B compresi) non sia cambiato in modo strutturale, c’è chi crede che Airbnb abbia innovato creando un nuovo mercato. Airbnb, come altre piattaforme digitali, non ha creato un bel niente: ha innovato perché sostituito o integrato annunci su riviste, telefono e passaparola. Come gli albergatori sanno bene, il mercato digitale è molto più duro di quello tradizionale. A parte nuovi investimenti in tecnologia e gestione della stessa, i ricavi sono più magri. Se i consumatori sono più informati e i costi di transazione diminuiscono (ad esempio penali, fare tutto con un click, ecc.) c’è più concorrenza e i prezzi si abbassano.

La piattaforma intermedia appartamenti indipendenti, case e raramente camere con bagni e servizi in condivisione con il proprietario.

Le unità intermediate sono dislocate in coerenza con i luoghi di interesse, non solo turistico. Le grandi città e i capoluoghi di provincia, dove non si va solo per turismo, hanno una notevole presenza di unità fuori dalle zone turistiche.

In tanti credono a fare soldi facili, ma pochi ci riescono. Come riporta l’articolo di Repubblica a Milano ad esempio un unico soggetto ha accumulato più di 520 mila euro solo nel 2016 mentre il 75% degli host ha guadagnato meno di 5.000 euro in un anno. A Roma il 48% dei proprietari è sotto 5.000 euro e un fortunato 0,6% sta sopra 100 mila euro mentre a Firenze, dove l’incasso medio per gli oltre 8 mila host di Airbnb l’anno scorso è stato di 5.300 euro, uno solo è arrivato a incassare la bellezza di 700 mila euro. L’indice che misura la “diseguaglianza” tra top host e il resto (0 se minimo, 1 se massima diseguaglianza) registra 0,7 a Milano, 0,67 a Catania, 0,66 a Firenze.

E qui sta il punto. Le parole hanno la loro importanza. Sharing economy è stata intesa giustamente come maggiori opportunità per chi ha qualcosa da offrire. Living a like a local è stato percepito come lo zuccherino per chi vuole viaggiare e un bel moral reward per chi intende ospitare. La realtà è però molto più complessa. Chi ha un appartamento scopre che per vendere bisogna fare notevoli investimenti per averlo in buono stato e gestire situazioni complicate. Ospitare avrà pure i suoi reward, ma anche le seccature. Insomma, meglio farlo fare, come in passato, a qualcun altro, a un’agenzia immobiliare o a un’agenzia vattelappesca. Airbnb viene utilizzato, nella maggior parte dei casi, come un’alternativa più economica alle stanze di un hotel. Alla fine ad andare fuori mercato, sono coloro che avevano creduto alla piattaforma come occasione per integrare il reddito. Se lo Stato vuole fare funzionare il mercato e allo stesso tempo lasciare una concreta opportunità a chi vuole valorizzare il proprio immobile, non si concentri solo sul suo tornaconto (le tasse), ma introduca con chiarezza un principio per distinguere l’attività di impresa che si maschera dietro chi offre sulle piattaforme. Noi dal 2014 qualche idea l’abbiamo fornita.

Immagine MaxPixel (1)

Antonio Pezzano

Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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