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Privacy: le grandi piattaforme del mondo travel e l’uso dell’Intelligenza Artificiale

Edgar Poe è il proprietario del “The Raven Hotel”. Poe è in grado di soddisfare quasi ogni richiesta dei suoi ospiti, è disponibile ventiquattro ore su ventiquattro. Poe è programmato per rendere l’esperienza di soggiorno dei suoi clienti indimenticabile. Peccato che Poe sia un’intelligenza artificiale, che una volta entrati nel suo hotel sia in grado di venire a conoscenza di un numero di informazioni private praticamente illimitato e che veda cosa fai nel suo hotel in ogni istante e… di tanto in tanto capita anche che scambi con altre AI le tue informazioni.
Fortunatamente il The Raven Hotel non esiste e Poe è solo il personaggio di una TV Series (Altered Carbon) che ci trasporta in una delle tante distopie futuristiche tremendamente vicine a diventare reali.

Poe non esiste, ma nella realtà risulta essere presente qualcosa che sembra molto simile all’affascinante (ed inquietante) AI della serie televisiva: sono i bot sviluppati appositamente per l’industria alberghiera e in genere per il settore Ho.Re.Ca (Hotellerie-Restaurant-Café). Queste intelligenze artificiali sbrigano un gran numero di attività: forniscono informazioni, si occupano di fare customer care, raccolgono e gestiscono le prenotazioni, svolgono la funzione di concierge e ovviamente promuovono l’attività commerciale tramite l’invio di newsletter, annunci pubblicitari e offerte personalizzate.

Pioneristiche in questo settore sono state, ovviamente, le grandi piattaforme del mondo travel (TripAdvisor, Expedia, Kayak) ma le strutture che “offrono” questo servizio sono sempre di più; un servizio “gratuito” e accattivante per una clientela che sempre più spesso vuole quella rapidità, efficienza ed accuratezza che un operatore umano non sempre sa garantire. L’altra faccia della medaglia è sempre la stessa. Cosa succede ai nostri dati quando li inseriamo all’interno di queste app, dove vanno a finire tutte le informazioni che forniamo e come verranno utilizzate e da chi?

Certo i bot o meglio le chatbots sono gratuite ma sappiamo bene che “gratuito” specie per quanto riguarda il web spesso significa “in cambio dei tuoi dati e della possibilità di sfruttarli prevalentemente per fare profilazione e marketing mirato”. Questa volta la finalità “occulta” non è nemmeno poi così nascosta; basta digitare su Google “bot” e “turismo” per ottenere un elenco di pagine che parlano dei vantaggi per l’imprenditore derivanti dall’utilizzo di queste applicazioni e tra le buone ragioni appare – manco a dirlo – la possibilità di “creare database di clienti ai quali inviare offerte, eventi e comunicazioni direttamente sullo smartphone del cliente che invierà notifiche push”. Ed ecco che l’utente è di nuovo chiamato a scegliere tra scambiare i propri dati per ottenere un servizio nominalmente gratuito o rimanere “fuori dal giro” del nuovo trend del momento.

Che poi quello di essere inseriti in un database e ricevere notifiche push sul proprio cellulare, se vogliamo è il problema minore. Il cono d’ombra è infatti assai più ampio perché queste applicazioni non si limitano a dialogare con il piccolo imprenditore alberghiero che raccoglierà poi le nostre informazioni nel suo piccolo archivio per inviarci, con l’arrivo della bella stagione, un invito a essere di nuovo suoi ospiti con uno sconto del 50% sulla prima notte… No, le chatbots nascono sulle grandi piattaforme social, utilizzano Whatsapp, Facebook, Viber e Wechat e compagnia cantante per interagire con gli utenti e così la forbice di soggetti che hanno potenzialmente accesso alle informazioni fornite si allarga con le solite derive di cui ormai si parla fino allo sfinimento ma mai troppo.
E’ facile, infatti, minimizzare. L’impressione di fornire informazioni tutto sommato innocue e poco interessanti è inesatta, basta pensare alla mole di dati richiesti per una prenotazione in un hotel (a volte anche sensibili come intolleranze alimentari o allergie) per rendersi conto che in realtà stiamo pagando e anche profumatamente il servizio di concierge o prenotazione di camere tramite bot.

Questo non vuol dire che bisogna precludersi a prescindere l’utilizzo di uno strumento che, nonostante tutto, potrebbe risultare comodo e persino funzionale.
Una volta posizionati sui due piatti della bilancia rischi ed opportunità derivanti dall’uso dei moderni strumenti di interazione con il mondo travel e più in genere con quello dell’hospitality industry, solo allora l’utente è in grado di effettuare una scelta consapevole e responsabile, in un certo senso accountable ( chi è interessato alla materia sentirà spesso usare questo termine perché è uno dei leitmotiv della rivoluzione/evoluzione normativa in materia di protezione dei dati personali.).

Perché il punto è proprio questo: effettuare una scelta consapevole, una scelta che ci consenta di comprendere con un ragionevole grado di certezza cosa stiamo facendo con le nostre informazioni, a chi le stiamo cedendo, cosa ne farà e se e cosa possiamo fare noi qualora dovessimo renderci conto che qualcuno le usa in maniera scorretta.
Consapevolezza e responsabilità, dunque, come elementi essenziali di una cultura della privacy che ora più che mai deve diventare parte del bagaglio esistenziale di ogni utente e cittadino. E accountability, certo, perché nell’evoluto sistema normativo in tema di privacy, responsabili e capaci di dimostrarlo non devono esserlo solo i titolari ma anche gli utenti, perché una delle missioni del famigerato GDPR è proprio questa creare una platea di interessati consapevoli, informati, capaci di attivare i loro diritti e fungere anche da termometro della diffusione della data privacy culture.

L’articolo è stato scritto da Monica Gobbato in collaborazione con il dottor Roberto Benedetto, Data Protection Specialist.

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Monica Gobbato

Avvocato digitale, Data Protection Officer (DPO), già commissario d’esame per Privacy Officer nel 2013. Già senior associate in due grandi studi legali internazionali: Gianni, Origoni & Partners e Baker e MCKenzie a Milano, dove ha coordinato i dipartimenti di Diritto della Privacy nell’ambito di Information Technology. Si occupa di Privacy dal 1997 e di Diritto dell’informatica dal 2003. Prof A.C. all’Università Ca’ Foscari a Venezia dal 2007, è docente in Master Universitari, Seminari e Corsi in tutta Italia. Relatrice e moderatrice in materia di Diritto dell’informatica, privacy e cybercrime. Digital Champion per il Comune di Camogli nel 2015. E’ autrice di diverse pubblicazioni, monografie e opere collettive, con diversi editori quali CEDAM, GIUFFRE’, Halley, FAG e altri. Scrive per StartUpItalia, Doctor33, Farmacista33, Key4Biz.

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Avvocato digitale, Data Protection Officer (DPO), già commissario d’esame per Privacy Officer nel 2013. Già senior associate in due grandi studi legali internazionali: Gianni, Origoni & Partners e Baker e MCKenzie a Milano, dove ha coordinato i dipartimenti di Diritto della Privacy nell’ambito di Information Technology. Si occupa di Privacy dal 1997 e di Diritto dell’informatica dal 2003. Prof A.C. all’Università Ca’ Foscari a Venezia dal 2007, è docente in Master Universitari, Seminari e Corsi in tutta Italia. Relatrice e moderatrice in materia di Diritto dell’informatica, privacy e cybercrime. Digital Champion per il Comune di Camogli nel 2015. E’ autrice di diverse pubblicazioni, monografie e opere collettive, con diversi editori quali CEDAM, GIUFFRE’, Halley, FAG e altri. Scrive per StartUpItalia, Doctor33, Farmacista33, Key4Biz.

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