Ogni ponte ha il suo gregge…
BREAKING NEWS – L’Italia ha un nuovo simbolo dell’overtourism: il Castello Scaligero di Sirmione.
Nel ponte del 1° maggio 2025, le immagini della folla in attesa di entrare nella rocca sono diventate virali, spodestando dal trono le gloriose stazioni affollate delle Cinque Terre. Il titolo di “icona nazionale della saturazione turistica” è ufficialmente passato di mano, restando saldamente in zona vista lago – ma con più code e meno treni in ritardo.
Ogni anno, nei ponti festivi, milioni di italiani si muovono… sempre verso le stesse destinazioni. A questi si aggiungono i turisti stranieri, anch’essi sempre negli stessi posti. Lago di Garda, Cinque Terre, Costiera Amalfitana, Dolomiti., ecc.– luoghi stupendi, certo, ma perché proprio questi e quasi solo questi?
Spesso si dà una risposta pigra: “sono belli e conosciuti” o altezzosa “il turismo non intelligente”. Ma la realtà è molto più interessante, e chi progetta politiche o prodotti turistici ha il dovere di capirla meglio. Questa abitudine collettiva non è casuale e non è solo italiana. È il risultato dell’interazione tra:
- Fattori strutturali (tempo libero, bel tempo)
- Comportamenti individuali routinari,
- Vincoli di tempo e logistica,
- Il marketing di destinazione,
- Dinamiche di gruppo e validazione sociale.
Vediamoli uno per uno, ancorandoli alle teorie di comportamenti di consumo che ci si occupa di turismo dovrebbe conoscere.
La torta si allarga: ci sono davvero molte persone in giro
Quest’anno (2025), complici la lunga serie di ponti, il bel tempo, e flussi consistenti di turismo straniero già presente nelle nostre località, è probabile che si sia registrato un movimento di persone davvero molto elevato. Quindi, prima conclusione, ci sono state davvero tante persone in giro.
Abitudini: l’inerzia è una strategia
Le persone tendono a ripetere comportamenti familiari, specie quando il tempo per decidere è poco. È la forza dell’habitus comportamentale (Verplanken & Aarts, 1999): meno fatica cognitiva, più prevedibilità. Nella microeconomia comportamentale si parla anche di consumer inertia (Solomon et al., 2006): sappiamo già dove mangiare, dormire, cosa vedere. Perché cambiare?
Prossimità e accessibilità: il turismo a corto raggio non è una moda, è una logica
Le destinazioni più visitate durante i ponti si trovano entro 2-3 ore di viaggio dai grandi bacini urbani. È il principio del distance decay (Tobler, 1970) e dei gravity models nei flussi turistici (Wilson, 1971). Se il tempo è limitato, si privilegia ciò che è vicino e facile da raggiungere. La Space-Time Prism di Hägerstrand (1970) lo rende chiarissimo: la nostra libertà di movimento è vincolata da spazio, tempo e mezzi.
Mental & Physical Availability: chi non è sulla mappa (mentale, digitale e fisica), non esiste
Secondo Byron Sharp (2010), i brand – e le destinazioni lo sono a pieno titolo – crescono se sono “mentalmente disponibili” (cioè, vengono in mente facilmente in una certa situazione) e “fisicamente disponibili” (cioè, si possono acquistare, raggiungere e prenotare con facilità). Nel turismo, questo significa che alcune mete diventano “inevitabili” non perché siano oggettivamente le migliori, ma perché sono sempre lì, visibili, accessibili e pronte all’uso.
Prendiamo le Cinque Terre. Vengono in mente appena si pensa a un “weekend vista mare non troppo lontano”. Ci arrivi in treno, ci trovi mille opzioni su Booking, itinerari ovunque, reel su Instagram a ogni stagione, TikTok pieni di “hidden gems” che non sono affatto nascoste. Sono facili da pensare, facili da fare.
E ora confronta con una destinazione minore, magari altrettanto bella. Se non compare nelle prime pagine di Google, se non è prenotabile con tre clic, se non dice chiaramente cosa offre, dove si dorme, come si arriva… non esiste, almeno non nel momento in cui si prende la decisione.
Non sono TikTok o Instagram ad aver cambiato il turismo. Sono semplicemente i nuovi canali attraverso cui si forma la scelta, al posto delle brochure, dei cataloghi, del passaparola di una volta. Il meccanismo è lo stesso: vedi (e non ti ricordi di aver visto quando te lo chiedono), pensi, decidi. Ma se non vedi, non scegli.
Gruppi e famiglie: meglio noioso che divisivo
I viaggi nei ponti sono spesso fatti in gruppo – famiglie allargate, amici con figli, coppie. E qui entrano in gioco le dinamiche del group decision-making (Janis, 1982): si privilegia ciò che già si conosce, che non genera conflitti, che ha funzionato prima. Anche la social proof (Cialdini, 1984) gioca un ruolo: “ci sono già stati tutti”, “ci vanno sempre”. Incertezza + condivisione = scelta conservativa.
E così, mentre ci scattiamo l’ennesima foto “spontanea” davanti al panorama più fotografato d’Italia, possiamo anche continuare a prendercela con “la folla”, “il turismo di massa”, “la banalizzazione dell’esperienza”. Ma finché tutti ragioneremo con gli stessi automatismi — mentali, logistici, algoritmici — ogni ponte avrà il suo gregge. E quel gregge, spoiler, siamo noi.
Non è mio costume concludere senza alcune indicazioni costruttive. Faccio quindi un riepilogo di quanto abbiamo già scritto da diversi anni su questo blog.
1. Il sovraffollamento non è una cattiva notizia.
Affollamento significa domanda. Interesse. Gente che si muove, che consuma, che sceglie. Possiamo (e dobbiamo) gestirlo meglio, ma demonizzarlo è come lamentarsi delle code in un ristorante di successo o di un’attrazione al parco dei divertimenti. Chi lavora nel turismo dovrebbe accoglierlo come una buona notizia: Mirko Lalli ha scritto diverse volte che l’overtourism non esiste. Mentre Robi, il fondatore di questo spazio, ci ricorda sempre che l’overbooking si gestisce, è la miseria che è un problema.
2. Il sovraffollamento non è una sorpresa. È sul calendario da mesi.
Pasqua, 25 aprile, 1° maggio, 2 giugno, Ferragosto… non sono eventi imprevisti. Eppure ogni anno sembriamo stupiti dalla folla, come se non ci fosse stato tempo per prepararsi. Le destinazioni sovraccariche non sono vittime, ma organismi che devono imparare a gestire la pressione. Non ci sono soluzioni facili e proiettili d’argento. Molte amministrazioni ci stanno provando tra mille difficoltà. E no, non sono (solo) le DMO a doverci pensare, ma chi ha in mano mobilità, rifiuti, sicurezza, servizi pubblici.
3. Le destinazioni poco frequentate devono prendere appunti.
C’è ancora l’idea, dura a morire, che nel turismo basti “essere belli” per attrarre visitatori. Come se la bellezza fosse di per sé una calamita. Ma il turismo non funziona come un concorso di bellezza: funziona come qualsiasi altro consumo.
Per essere scelti, non basta essere “all’altezza” – bisogna essere nella testa delle persone (mental availability), farsi trovare facilmente (physical availability). Due condizioni che maturano nel tempo e necessitano di investimenti.
Chi oggi riceve pochi visitatori non è necessariamente fuori dai radar, ma forse sta parlando troppo di sé e troppo poco con il mercato. Come ripeto spesso nei miei interventi: il marketing di destinazione ha bisogno di meno orgoglio locale e più conoscenza dei comportamenti di consumo. Coltivare l’identità è importante, ma non basta raccontare “chi siamo” se nessuno ci sta cercando, o se non siamo lì dove avviene la scelta. Non si tratta di snaturarsi, ma di rendere la nostra identità visibile, accessibile e desiderabile nel mondo reale delle decisioni turistiche.
Riferimenti bibliografici per chi vuole approfondire
- Verplanken, B., & Aarts, H. (1999). Habit, attitude, and planned behaviour. European Review of Social Psychology.
- Sharp, B. (2010). How Brands Grow: What Marketers Don’t Know. Oxford University Press.
- Tobler, W. (1970). A computer movie simulating urban growth in the Detroit region. Economic Geography.
- Hägerstrand, T. (1970). What about people in regional science? Papers in Regional Science.
- Iyengar, S. S., & Lepper, M. R. (2000). When choice is demotivating. Journal of Personality and Social Psychology.
- Janis, I. L. (1982). Groupthink: Psychological Studies of Policy Decisions and Fiascoes.
- Cialdini, R. B. (1984). Influence: The Psychology of Persuasion.
- Schwartz, B. (2004). The Paradox of Choice.
- Solomon, M. R., et al. (2006). Consumer Behavior.
- Wilson, A. G. (1971). A family of spatial interaction models. Environment and Planning.