Patrimonio culturale e turismo
Proseguiamo il nostro viaggio alla scoperta dei luoghi comuni del turismo italico. Oggi affrontiamo il più illustre tra i luoghi comuni: lo sviluppo del turismo italiano dipende dalla valorizzazione del patrimonio culturale. Si tratta di una convinzione cosi radicata, che abbiamo un unico Ministero per Turismo e Cultura (caso molto raro negli altri paesi). Avvertenza: è un post lungo e con qualche numerino di troppo 😃.
Noti editorialisti dei più diffusi giornali del paese e giornalisti di popolari trasmissioni televisive, nel parlare di turismo, si chiedono come mai l’Italia, che ha il maggiore numero di siti UNESCO al mondo, sia solo quinta nella classifica delle destinazioni più popolari all’estero (misurata per numero di visite dei turisti internazionali) e settima in quella del fatturato (misurata per spesa dei turisti internazionali). Un’altra domanda frequente è: perché siamo piombati così in basso (facendo riferimento agli anni 50 e 60 quando eravamo ai primi posti)? Vi diamo la risposta in tre punti.
Primo: la classifica globale non è un buon metodo di confronto. Il turismo era e resterà per i prossimi 20 anni un fenomeno modellato dalla geografia. Se in Asia, per motivi demografici ed economici, ci sono ogni anno milioni di persone in più che viaggiano all’estero (per il 90% in paesi fino a 4 ore di aereo), aspettiamoci di vedere le destinazioni asiatiche in testa alle classifiche, soprattutto nei prossimi anni. Meglio quindi confrontarci con i paesi europei con i quali condividiamo comuni rapporti commerciali e geografici.
Secondo: i dati con i quali sono compilate le classifiche (la fonte è normalmente l’Organizzazione Mondiale del Turismo, la sigla è OMT in Italiano, UNWTO in inglese) provengono da fonti differenti. Sebbene si seguano metodi e procedure omogenee, e gli stessi dati vengono verificati da OMT, ogni anno potete leggere nelle note metodologiche che il paese X ha modificato il metodo di raccolta e di calcolo. Inoltre, i dati (sia sui flussi turistici, sia sui flussi di spesa) si basano su indagini campionarie e quindi sono soggetti all’errore di valutazione di chi risponde. Non è un mistero che gli uffici studi delle imprese che gestiscono le carte di credito e i rimborsi del Tax-Free Shopping forniscono dati (che si basano su transazioni finanziarie) sulla spesa turistica molto diversi da quelli campionari. Un’altro caso di scuola sul tema, lo fornisce l’ufficio statistico britannico secondo cui la spesa di chi viaggia all’estero con pacchetto turistico è più elevata di chi viaggia in modo indipendente. Caso strano, se consideriamo che la maggior parte dei pacchetti nel Regno Unito viene venduta per il fattore convenienza. Il fatto è che se faccio attenzione a quanto spendo e la mia spesa è concentrata in una o poche transazioni, come nel caso di acquisto di pacchetti turistici, al momento dell’intervista avrò un’idea chiara di quanto abbia speso. Se, invece, i soldi non sono un problema, non ho comprato un pacchetto ma tanti servizi, e l’intervista in un paese straniero prima di imbarcarmi per il mio volo di rientro mi puzza di controllo per le mie tasse, è molto difficile che darò una cifra vicina alla realtà.
Terzo: una relazione tra siti culturali e turismo c’e. Ma non è quella che viene data per scontato (i siti culturali come determinante dei flussi turistici). Anzi è vero il contrario: più turisti ci sono, più è probabile che i siti culturali vengano visitati. Noi di Officina Turistica questa tesi la sosteniamo da tempo. Oggi vorremo supportarla con qualche dato in più. Sappiamo che quanto stiamo per scrivere non cambierà l’ideologia turistica di questo paese, ma proviamo quanto meno ad innescare un dibattito.
Qualche mesa fa ho letto sul Sole24ore la seguente frase: l’importanza del patrimonio artistico, di musei e mostre, trova ulteriore rilevanza se si considera il turismo: il 37,5% della spesa turistica totale italiana è infatti attivata dall’industria culturale. 38,5 milioni degli arrivi (36% del totale Italia) sono stati registrati in località storico-artistiche, con un incremento negli ultimi cinque anni del 18%. Questo dato, con numeri differenti, che leggiamo da tanti anni in numerosi studi redatti da prestigiosi Centri di ricerca e Università, mistifica la realtà. Si assume che tutti coloro che visitano le città d’arte (che in Italia sono città sedi di amministrazioni pubbliche, centri congressi, imprese, Università, ecc.) lo facciano per motivi culturali. Ipotesi sbagliata e molto lontana dalla realtà.
Il Governo francese pubblica ogni anno un annuario dove presenta i dati più importanti del turismo. Tra questi, anche quelli del turismo internazionale che, come in Italia e in molti altri paesi, sono tratti dalle indagini campionare svolte dalle banche centrali ai fini di stimare i movimenti della Bilancia dei Pagamenti. La cosa interessante è che tra il 2012 e il 2013 la domanda per individuare le tipologie di turismo è cambiata. Fino al 2012 si chiedeva ai turisti stranieri quale fosse il motivo prevalente della visita in Francia; il turismo culturale, una delle possibili risposte, si piazzava costantemente secondo con (in media) il 35% delle risposte (si potevano dare più risposte). Da qualche anno, al posto della domanda sul motivo del viaggio, si chiede quali sono le attività svolte in Francia (con la possibilità di fornire più risposte): la visita ai siti culturali è al secondo posto con percentuali che vanno tra il 50 e il 65% a seconda dell’anno, ma di poco inferiore al generico loisir.
Sempre in Francia, a Parigi, probabilmente la destinazione di turismo culturale più popolare al mondo, il locale Ufficio Turistico svolge delle indagini per capire motivazioni di viaggio e attività svolte da turisti internazionali e francesi. L’ultimo dato disponibile (del 2014) racconta una storia simile al dato nazionale. Il 60% dei turisti stranieri (e il 26% di quelli francesi) motiva la propria visita a Parigi con la volontà di visitare siti culturali, ma ben il 91% degli turisti stranieri (e il 66% di quelli francesi) ha visitato almeno un monumento. Questo dato, che è comune a tutte le città d’arte anche se cambiano le percentuali, ci dice due cose molto importanti. Non tutti i turisti visitano una città d’arte per motivi artistici e culturali; tuttavia molti di essi (o quasi tutti) ne visitano i monumenti (più importanti). In sostanza, i siti culturali (soprattutto i più noti) sono visitati perché parte di una to-do list o considerati come attività ricreativa.
Alexander Falk, un ricercatore austriaco, in un paper ha analizzato la relazione tra turismo urbano e turismo culturale utilizzando i dati dell’indagine Eurobarometer (che è condotta su un campione rappresentativo in ognuno dei 28 paesi UE e ha per oggetto la vacanza principale dell’anno). Tra i tanti dati, uno è molto illuminante: nella maggior parte dei paesi la metà dei viaggi in città (quando considerati vacanza principale dell’anno) sono fatti per motivi culturali.
Nell’articolo di Repubblica che presentava i Travellers’ Choice di TripAdvisor ai musei, ci si chiedeva come mai un paese che è il quinto al mondo per flussi turistici internazionali sia così indietro nella classifica di gradimento di TRIP. La risposta l’abbiamo fornita poco fa. Il pubblico dei musei più noti, non è composto da storici dell’arte, ma da persone che sono in vacanza e cercano intrattenimento. Molti intellettuali italiani (e la classe dirigente che li insegue) inorridiscono all’idea. Bisogna dare atto al Ministro Franceschini di aver imboccato la strada giusta, nonostante l’oggettiva difficoltà a tradurre obiettivi politici in atti concreti (il riferimento al TAR non è causale).
Torniamo al luogo comune di partenza e poniamoci una domanda di fondo: is cultural heritage really important for tourist? E’ la stessa domanda che si sono posti Roberto Cellini e Tiziana Cuccia (Università di Catania) in una serie di ricerche molto illuminanti sul tema. In una ricerca (che riporta la domanda nel titolo) del 2007, basata su una indagine presso turisti in visita a Scicli (la bellissima città barocca siciliana, sede del Commissariato di Montalbano), nonostante il campione fosse viziato dalla presenza di turisti che in teoria avrebbero dovuto averte forti motivazioni culturali, emerge chiaramente che il patrimonio culturale non è un fattore cosi determinate delle scelte turistiche. In un’altra ricerca (del 2009) Cellini e Cuccia hanno studiato la relazione tra flussi di turismo in Italia e visite ai monumenti e siti culturali (tra il 1996 e il 2007) per stabilire se i due flussi fossero correlati. Hanno scoperto che la relazione c’è, ma il segno (cioè quale causa l’altro) è diverso da quanto ci si aspettava (cultura come driver del turismo): sono i flussi turistici a determinare quelli delle visite ai siti culturali e non viceversa.
Tutti questi dati mi spingono a due conclusioni.
- Valorizzare il nostro patrimonio culturale (compresi borghi e cammini) è importante per tante motivazioni, non ultime quelle turistiche (diversificare l’offerta) ed economiche. Tuttavia, non bisogna confondere le politiche di sviluppo (economico) turistico con quelle di sviluppo culturale e di riequilibrio territoriale. I piccoli borghi e il patrimonio culturale non sono e non saranno (almeno per un po’) un driver dello sviluppo turistico di questo paese. E’ vero che la motivazione culturale è una delle determinanti dei viaggi in Italia dei turisti long haul, tuttavia vorrei fare due osservazioni non banali. Primo, se si escludono i mercati geografici di grande tradizione (Stati Uniti e Giappone), la maggior parte dei turisti long haul viene in Italia per la prima volta e intende percorrere le mete del turistdotto. Secondo, la dimensione dei mercati long haul, per quanto soggetta ad una crescita impetuosa, non sarà mai paragonabile a quella del mercato europeo (almeno nei prossimi 20 anni). Le politiche di sviluppo turistico sono altre. Una sintesi chiara ed estrema l’ha offerta Ryanair qualche giorno fa. Infrastrutture, aeroporti, abbassamento delle tasse, tempi e certezze delle concessioni edilizie, concorrenza, accordi con tour operators, penetrazione delle catene alberghiere, certezza a agilità nel mercato del lavoro sono le parole magiche di un piano di sviluppo turistico in un paese che vuole crescere e non si vergogna di farlo senza i guanti.
- Seconda e banale conclusione. Chi come me ha a cuore il patrimonio culturale del paese, compresi i piccoli borghi, spera che prima o poi ci si renda conto che lo sviluppo turistico hard (grandi alberghi e resort soprattutto a Sud, come invoca Briatore) è la premessa necessaria a quello più soft e alla valorizzazione del nostro immenso patrimonio culturale.