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La “reputescion”

La brand reputation è il tema che ha dominato il desktop di chiunque si occupi di turismo negli ultimi anni. Andiamo subito al sodo e mettiamo le carte in tavola. Si scrive brand reputation, si intende digital brand reputation o web reputation. Infatti, quando parliamo di questo argomento in realtà ci riferiamo al modo in cui il brand (un hotel o una destinazione) viene valutato o raccontato sul web. Per questo motivo sono nati e continuano a fiorire classifiche, indici e strumenti di analisi del sentiment, cioè algoritmi in grado di misurare e di comprendere  l’atteggiamento di chi commenta un hotel o un’attrazione di una destinazione turistica. Come abbiamo anticipato nel post di anteprima, Francia, Italia e Spagna non fanno bene nelle classifiche di Tripadvisor, tuttavia sono da tempo le big del turismo europeo. Perché?

Questo post non tradisce lo spirito degli altri della serie dove si tratta questo tema. Pertanto vi proporrà altre prospettive di vedere la brand reputation e di utilizzare gli strumenti di analisi del sentiment. In breve, cercherò di spiegarvi che, soprattutto nel caso delle destinazioni turistiche, c’è una preoccupazione eccessiva per la “reputescion” e che gli strumenti di sentiment sono, soprattutto se ci fermiamo agli indici e alle classifiche, non sempre utili se vogliano inferire sentieri di crescita delle destinazioni, soprattutto se per destinazioni intendiamo grandi città, regioni o addirittura paesi. Sono, invece, quasi sempre, molto utili per politiche di prodotto, cioè se vogliamo capire cosa migliorare nella destinazione e individuare in tal senso priorità di intervento. Sono altresì utili, qualora associati ad altri strumenti, se intendiamo mappare i criteri di scelta della nostra destinazione turistica e i comportamenti a destinazione. Sono altrettanto utili se l’unità di analisi è una piccola destinazione. Infine, sono utili, come nel caso delle classifiche di Tripadvisor dei Traveller choice, per avere un bel pò di promozione.

Immagino già i commenti. Ma come, proprio su questo blog da 10 anni circa ci spiegate l’importanza di gestire le recensioni e ora ci dite che è fatica inutile. Qui non si afferma questo, ma come al nostro solito vi invitiamo a non fare di tutta l’erba un fascio. Per spiegarmi meglio,  vi chiedo la pazienza di seguirmi in una lunga digressione ai basic del marketing. Partiamo dal celeberrimo acronimo AIDA che, come ci ricorda Wikipedia, è un modello teorico di funzionamento della pubblicità. L’AIDA fu presentato per la prima volta nell’anno 1898 da Elias St. Elmo Lewis (che vendeva assicurazioni porta a porta), e dopo negli anni venti da E.K. Strong, per poi divenire popolare a partire dagli anni sessanta. L’acronimo riassume quella che si credeva fosse una strada (mentale) obbligata prima di ogni acquisto: Attenzione > Interesse > Desiderio > Azione. In altre parole, secondo questo modello la missione della pubblicità non è cambiare comportamento (nel nostro caso indurre un turista a scegliere una destinazione), bensì cambiare la sua predisposizione (o atteggiamento) verso la destinazione, così prima o poi la sceglie per la vacanza.  Ma è davvero così? La parola chiave qui è atteggiamento.

L’atteggiamento è definibile come l’insieme delle opinioni che una persona ha su un oggetto o una persona; una destinazione turistica nel nostro caso. Le opinioni si formano sulla base di esperienze precedenti, delle conoscenze e delle convinzioni acquisite dalla lettura di libri, dalla visione di film, dalla consultazione di siti internet, ecc.  I canali delle informazioni che forgiano le opinioni sono molteplici, tuttavia il pensiero degli altri, soprattutto i gruppi sociali all’interno dei quali ci muoviamo, hanno un ruolo preponderante. Come sapete, nel marketing l’analisi degli atteggiamenti è molto importante perché c’è una profonda relazione tra atteggiamenti e comportamenti d’acquisto. E qui casca l’asino. Stabilito che c’è una relazione tra atteggiamento e comportamento, quale è causa dell’altro? Viene prima l’uovo o la gallina? Secondo molti esperti di marketing ad atteggiamenti positivi nei confronti di un prodotto, aumenta la probabilità che questo venga acquistato, o perlomeno inserito all’interno del consideration set. Secondo gli studiosi di psicologia e delle neuro-scienze è vero il contrario, cioè prima acquisto un prodotto e poi mi faccio una opinione sullo stesso. A chi credere?

Diciamo che se vogliamo stabilire un principio, o una regola generale, hanno ragione gli psicologi e i neuroscienziati, ovviamente ;-).  Gli studi di marketing che hanno misurato l’atteggiamento  controllandolo per due gruppi (chi non ha mai acquistato un prodotto vs chi lo ha acquistato) sono giunti alla conclusione che l’atteggiamento positivo è causato dalla familiarità con un prodotto. Chi usa un prodotto dice più facilmente cose positive dello stesso, e più ne compra più aumenta la possibilità che dica cosa positive. L’atteggiamento ha quindi un effetto molto debole sul cambiare comportamento, mentre è molto forte nel rinforzare comportamenti già esistenti. La pubblicità è più efficace nel modificare comportamenti di acquisto, che nel cambiare gli atteggiamenti. Ma quanto vale per i prodotti tangibili  vale anche nel turismo? Nello specifico, possiamo importare le teorie molto solide nel marketing dei beni e servizi di largo consumo, anche nel marketing delle destinazioni turistiche? Provo a rispondere, a partire da un’altra parole chiave: familiarità.

Come si crea, si alimenta e si rafforza la familiarità di un luogo turistico dove non si è mai stati in precedenza? Una domanda fondamentale che ha però poche risposte basate sull’evidenza empirica. Pertanto devo formulare un’ipotesi inferendo dalle ricerche e dai dati disponibili.  È noto che una buona parte dei viaggi (non tutti) si configurano come acquisti ad alto coinvolgimento, cioè richiedono che il turista si informi su dove intende trascorrere le proprie vacanze consultando una pluralità di fonti. Ne cito alcune per farvi capire di cosa si parla: consigli di amici, film, libri, riviste, giornali, siti internet, tripadvisor, guide di viaggio, ecc. Altri, per minimizzare il rischio derivante dalla poca familiarità si rivolgono ad intermediari quali tour operator e agenti di viaggio. Il punto che ho fatto altre volte e che ripropongo qui è che non tutte le decisioni di viaggio sono ad alto coinvolgimento. Un principio utile ad orientarsi è il seguente: più si spende, più lontani si va, più a lungo si soggiorna, maggiori solo le probabilità di cercare informazioni per familiarizzare con le potenziali destinazioni di vacanza. Un altro punto che si intuisce tra le righe iniziali di questo paragrafo è che le fonti informative sono davvero tante.  Data l’elevata frammentazione delle fonti, condizione necessaria, ma non sufficiente, per diventare familiari è presidiare tutti i canali di informazione dando informazioni utili, semplici ed efficaci. Solo il passaparola, anche sotto forma di recensioni,  (nella forma on line e off line)  supera in ogni ricerca (da me consultata) la soglia del 35% di utilizzatori, cioè c’è almeno un turista su tre che lo cita come fonte di informazioni. Il passaparola ha anche un altro pregio: è considerato una fonte molto credibile. Un altro fatto da ricordare sulla familiarità dei luoghi è il ruolo del cinema. Ci sono dei siti, delle città, delle piazze, insomma dei luoghi che ci sembra di conoscerli prima ancora di averli visitati.

Suppongo che sul cinema abbiate le idee chiare. Quindi passiamo al passaparola e partiamo da un dato. Il passaparola (on-line e off-line) è in genere positivo. Gli studi sulle recensioni (on-line) del settore travel (chi vuole approfondire vada alla nota 1) portano agli stessi risultati popolarizzati dagli accademici australiani Byron Sharp and Jenni Romaniuk nel loro “How Brands Grow (Part) 2“. Le recensioni on-line, come il normale passaparola sono in genere positive. Si tratta di una conferma alla tesi della stabilità verso l’alto delle indagini sulla soddisfazione dei clienti. La consultazione del database dell’American Satisfaction Index, che ha dati in serie storica ventennali su tutti i settori merceologici (in USA), consente di apprezzare questo dato. Nel settore alberghiero, le valutazioni sono sempre positive (sopra 70 su 100), le variazioni avvengono lentamente nel tempo, e non sappiamo se esse dipendono da motivi statistici, ad esempio, da cambiamenti nelle metodologie di campionamento.

Un altro dato da considerare nel valutare l’importanza del passaparola è la base di partenza. Mi spiego. Una destinazione che ha molti turisti tenderà ad avere più “recensori” (che di solito tenderanno a parlare bene). Il volumi di partenza contano quindi, eccome se contano. Contano sia nel mondo off-line (una cosa è avere 1.000 potenziali passatori di parola, un’altra averne 100.000), sia in quello on-line. Anche in questo caso abbiamo diversi studi (non solo nel travel) che arrivano alla conclusione che è il numero di recensioni il fattore chiave da controllare (vedi nota 2 per i dettagli).

Dopo questa lunga digressione sui fondamentali della “reputescion” andiamo al sodo, e cioè chiariamo due punti. Primo, l’utilità della sua misurazione ai fini del marketing delle destinazioni turistiche. Secondo, la difficoltà a misurarla. La mia opinione è che la sentiment analysis sia molto utile per chi si occupa di prodotto (servizi, strade, attrazioni, trasporti), sia per chi si occupa di promozione. Ma bisogna sapere interpretare i dati. Il numero sintetico complessivo, a cui spesso si arriva con metodi diversi,  può servire a fare articoli sui giornali e inorgoglire il settore (cose non banali, soprattutto in un settore ad alta intensità politica), ma non fornisce sempre indicazioni sul rafforzamento della destinazione come brand, a meno che non si scavi nel dettaglio delle parole chiave e lo si metta in relazione ad altri aspetti.  Per essere ancora più chiaro sui limiti di indici e classifiche, passo in rassegna alcuni di questi proposti da Demoskopika in uno studio recente (2017) sulla reputazione turistica delle regioni italiane. L’indice sintetico di Demoskpica, ottenuto da 8 diversi indicatori, premia Lombardia, Veneto e Trentino Alto Adige. Mi chiedo e vi chiedo che senso abbia misurare la visibilità del portale istituzionale delle destinazione, quando i canali dove ci si informa e si compra sono altri. Alla stessa stregua, se la potenza dei social media è nella dimensione del network che senso ha misurare i like delle pagine Facebook e Twitter istituzionali che hanno numeri risibili e influenzati dalla base di partenza (riflettono il numero di residenti e turisti che sono già stati a destinazione). Molto più interessanti i dati sulle ricerche indicizzate delle regioni su Google e i dati su Google Trend. Il punto è che si si tratta destinazioni “contenitori” come l’Emilia-Romagna allo stesso modo di destinazioni-brand come Sicilia e Toscana, i risultati sono forvianti. Chi cerca Rimini o Riccione, non cerco a matrioska, ma dritto al punto.

Come orientarsi allora in questo mondo dove si afferma tutto e il contrario di tutto? Provo a formulare dei principi.

  • Non rincorrete indici e indicatori di sintesi che mettono tante cose insieme, soprattutto se la vostra destinazione è complessa, una grande città, una regione o un paese. Usateli per motivi politici ma non per valutare e impostare strategie di marketing
  • Usate le recensioni per capire i comportamenti dei turisti e inferire le loro percezioni (parole chiave, idee). Le prime sono informazioni utili per le politiche di prodotto, le seconde per la comunicazione, le strategie SEO e SEM
  • Se siete una piccola destinazione (in termini di flussi turistici) non preoccupatevi dei numeri irrisori in termini di reputation, soprattutto delle recensioni. E’ solo una questione di matematica: tante persone > tante recensioni > + reputescion. Se avete invece buoni indici non rallegratevi oltre modo: non servono per crescere se non aggiungete maggiori posti letto 😉
  • Se siete una grande destinazione e le recensioni non sono sempre positive, oltre a tenere sotto osservazione il livello della temperatura, cercate di capire da cosa dipende
  • Se siete una destinazione che è potenzialmente parte di un itinerario più ampio, studiate bene la vostra ” prominenza” sui media, cioè come guide turistiche e altri strumenti di mediazione (blog influenti ad esempio) vi descrivono, perché questi si che possono modificare un itinerario parzialmente tracciato
  • Fidatevi più degli psicologi e dei neuroscienziati. Lasciate perdere il brand-love. Se non siete una grande capitale europea o una rinomata località balneare o di montagna, la vostra missione è minimizzare il fattore rischio (mia piccola destinazione non ti conosco). Concentratevi su tutte le strategie e le tecniche per rendere la vostra destinazione familiare ai potenziali turisti.
  • A questo proposito, una strategia di destinazione che porti tutti gli attori a gestire in modo molto efficace le loro informazioni sui canali più presidiati dalla domanda (OTA, Tripadvisor, Google, Facebook) è veramente molto utile. Avere un portale di destinazione superfigo (ma che in pochi visitano) e tanti altri canali con contenuti scadenti, non è proprio una bella idea. L’unico modo per dare un senso alle DMO è metterle al servizio (digitale) delle piccole imprese!

Insomma, a meno che nella vostra destinazione non ci siano problemi di sicurezza non preoccupatevi tanto dell’atteggiamento dei potenziali turisti e dei numerini che cercano di misurarlo. Preoccupatevi invece di cosa si dice di voi, delle parole che si usano, delle storie che si raccontano e cercate di capire se sia  interessante e rilevante per chi sta pianificando una vacanza. E preoccupatevi di risultare familiari attraverso il presidio dei canali dove le informazioni si cercano.

NOTE DI APPROFONDIMENTO

(1) Studi sul passaparola elettronico

  • Litvin, S., Goldsmith, R., & Pan, B. (2018). A retrospective view of electronic word-of-mouth inhospitality and tourism management. Journal of Contemporary HospitalityManagement the authors calculated Expedia ratings, confirmed to be from those who actually stayed at the property, averaged 3.95/5.
  • Melián-González et al.’s (2013) review ofthe ratings of approximately 17,000 individual hotels revealed that over 70% of the properties’ reviews were either “very good” or “excellent”.
  • Finally, an extreme case noted by and criticizedby Zervas et al. (2015), was the 94% of Airbnb reviews with ratings of 4.5/5 stars or above.

The point being, bad WOM can be detrimental, but eWOM does not deliver an abundance of badreviews. While review sites have become a place for the disgruntled to share their views with abroad audience, the literature suggests that most folks feel quite positive about their experience,and their reviews reflect this reaction. And, while the vindictive guest can post a scathingremark one would rather not be shared, per Chen et al. (2015), extreme postings tend to beignored by most readers. It would thus seem that our 2008 concern that e-WOM sites wouldcreate bad imagery for hotels was, at least for properties that deliver a quality product.

(2) su importanza del numero delle recensioni

The plethora of websites serving as eWOM depositories has resulted, for many hotels, inthousands, often many thousands, of posted reviews. While it is logical that the greater thenumber of reviews the less the impact of individual reviews, the literature provides consensusthat the greater the number of reviews posted, the more influence collectively these have uponreaders (Molinillo et al., 2016). Further, research by Melián-González et al. (2013) as well asBlal and Sturman (2014, p. 371) has determined that as the number of reviews a hotel receivesincreases, the ratings in these reviews become more positive. Per Blal and Sturman (2014), forall segments other than luxury brands, where the relationship was found to be less sensitive, apath to improved sales performance is to increase the number of reviews posted. Similarly, Tsaoet al.’s (2015, p. 103) experimental study found “review density” to be important, adding“eWOM quantity management is crucial”. Restaurant research by (Kim et al., 2015) similarlyfound a positive relationship between review quantity and the rating of restaurant performance.As such, these authors recommend restaurants, rather than fearing negative reviews, implement acustomer incentive system that encourages customers to share feelings and dining experiences onsocial media sites  The Amount of Reviews Matter: The more reviews a hotel has the more money it will generate per transaction. More reviews may suggest more opportunities for those reviews to be positive. Because the numbers of reviews are important, hotels shouldn’t just focus on ranking or stars, but in encouraging their guests to write about their experiences at the property.

Credits: Immagine Future Brand, Pixabay (1), Aida Model (2)

Antonio Pezzano

Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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