Gli indicatori del turismo e le grandi rivoluzioni che non si avvereranno mai
Sono molteplici le organizzazioni che, anche e soprattutto a livello comunitario, hanno sviluppato, nel tempo, una serie di “indicatori” attraverso i quali “misurare” il turismo di una destinazione turistica e l’impatto che i consumi turistici producono in essa.
Una delle più importanti pubblicazioni in merito, “Global Benchamrking for City Tourism Measurement” edita dall’Organizzazione Mondiale del Turismo, indica una serie di studi e/o
progetti volti proprio in questa direzione.
Tra questi, di particolare rilievo è l’ETIS (European Tourism Indicator System) che viene descritto come “uno strumento di gestione, informazione e monitoraggio specificamente rivolto alle destinazioni turistiche”.
Attraverso i suoi 43 indicatori principali e una serie di indicatori aggiuntivi, il sistema si pone appunto l’obiettivo di facilitare da parte degli organi di governo, un approccio integrato ispirato alla gestione delle destinazioni, ispirato ai principi della collaborazione, cooperazione, della valutazione continua e della “sostenibilità” economica ed ambientale che la destinazione turistica intende perseguire.
Gli indicatori vengono suddivisi in 4 sezioni principali:
a) Gestione della destinazione;
b) Valore Economico;
c) Impatto sociale e culturale;
d) Impatto ambientale
Curiosa è la serie di indicatori volta a misurare l’impatto sociale e culturale, che si concentra quasi esclusivamente sulla sfera sociale, dedicando, come visibile dalla seguente tabella, un solo indicatore alla dimensione culturale vera e propria:
Sezione C: impatto sociale e culturale
Ma anche la sezione dedicata all’impatto economico risulta piuttosto “leggera”, limitandosi a registrare il numero di pernottamenti e di escursionisti, la spesa giornaliera e la lunghezza media del soggiorno, o, sul lato dell’offerta, l’occupazione diretta imputabile al turismo e la percentuale di posti letto occupati al mese.
Particolarmente interessante è invece l’indicatore B.4.1, l’unico dedicato alla “Catena di Distribuzione del Turismo” che chiede agli amministratori territoriali di indicare la “percentuale di prodotti alimentari, bevande, beni e servizi prodotti a livello locale e acquistati dalle imprese turistiche della destinazione”, indicatore che esclude, in pratica, l’intero comparto B2C che, invece, rappresenta una delle voci più importanti dell’intera catena di distribuzione turistica.
Questi indicatori non sono sbagliati. Semplicemente, si limitano a considerare grandezze facilmente “misurabili” senza aggiungere la possibilità e lo stimoloper adottare nuove modalità di misurazione.
Oggi, tuttavia, grazie anche all’emersione di tecnologie sempre più integrate, nuove misurazioni sono possibili: il grande “passo in avanti” che potrebbe essere possibile attuare con l’adozione del paradigma dell’Internet of Things è enorme.
Basterebbe consegnare alle strutture ricettive dei “braccialetti” con RFID da distribuire ai propri ospiti, offrendo loro dei vantaggi perseguibili attraverso essi e garantendo (GARANTENDO) che la loro privacy venga tutelata e che tutti i dati sensibili non vengano mai resi noti.
Con questi braccialetti sarebbe possibile, ad esempio, avere una piena contezza dei negozi visitati o dei negozi (convenzionati) presso i quali i turisti hanno acquistato prodotti. Potrebbe essere possibile monitorare a livello aggregato i “flussi” e le “zone della città in cui tali flussi maggiormente si concentrano”.
Potrebbe essere possibile, in altri tempi, avere un flaneur digitale che riesce a visionare il comportamento dei “passanti” e dei “turisti” della propria città.
Con una tecnologia di questo tipo, l’amministratore della Destinazione Turistica saprebbe quanti turisti hanno preferito passeggiare sul corso, e quanti invece hanno invece trascorso più tempo alla ricerca di “angoli autentici” della città. Quanti sono entrati nei musei, e in quali musei, e quanti invece hanno visitato soltanto monumenti e altre attrazioni turistiche.
Sarebbe così finalmente “misurabile” non soltanto l’impatto economico (se la presenza del braccialetto si associa ad uno sconto del 10% presso TUTTE le attività commerciali è molto probabile i turisti lo indossino) ma anche quanto il settore turistico sia realmente “sostenibile”.
Ritornando all’ETIS, sarebbe possibile, ad esempio, misurare non solo “la percentuale di beni, prodotti e servizi acquistati dalle imprese turistiche” (definizione che lascia ampi margini di discrezionalità), ma anche e soprattutto “quanti beni, prodotti e servizi siano stati acquistati dai turisti” comprendendo se questi ultimi hanno preferito, in modo aggregato, acquisti di prodotti locali (guanti e cravatte a Napoli, borse a Firenze, ecc.) o quanti invece hanno approfittato del maggior tempo libero per acquistare prodotti distribuiti a livello internazionale.
Il tema del “turismo” è un tema di difficile misurazione, è vero. Quando si esce dalla vaghezza delle definizioni diventa molto complicato applicare indicatori di tipo generico. Tale vaghezza è però soprattutto rappresentata dall’utilizzo di variabili proxy, vale a dire variabili che non “misurano il fenomeno che si intende osservare” ma misurano un fenomeno che può fornire informazioni in merito al fenomeno oggetto di indagine (nel nostro esempio, i beni, prodotti e servizi acquistati dalle imprese turistiche sono una Proxy dei beni, prodotti e servizi acquistati dai turisti).
Per fare realmente un passo avanti, è necessario che gli organi di governo delle destinazioni turistiche assumano un ruolo centrale nella spinta all’innovazione. Quando ciò è stato fatto, a livello internazionale, ha portato sempre ad un miglioramento dei flussi turistici, e ad un posizionamento internazionale molto radicato.
Ma il problema, nel nostro Paese, rimane sempre lo stesso: riuscireste ad immaginare l’assessore al turismo di una città (o di un paesino di provincia con alti flussi turistici) che inizia a parlare “a ragion veduta” di Internet of Things?
A ben vedere, dobbiamo soltanto sperare nel ricambio generazionale.