Il 18 e 19 novembre, a New York, si è svolta una Conferenza internazionale sulle locazioni brevi.
Un grande dibattito a porte aperte, con la partecipazione di università, centri di ricerca, organi di informazione, amministrazioni pubbliche, cittadini e imprese. Due giorni di intenso lavoro, durante i quali sono stati evidenziati i problemi e sono state proposte soluzioni, sulla base delle esperienze sin qui realizzate in tutto il mondo.
Il direttore generale di Federalberghi, che ha partecipato alla Conferenza, ha redatto per noi una sintesi del dibattito e delle conclusioni.
In origine il settore degli affitti a breve termine si basava sulla condivisione di un’abitazione privata, ovvero sul cosiddetto “home-sharing”: persone comuni affittavano ai turisti una stanza vuota all’interno della propria casa, oppure l’intera abitazione mentre erano in vacanza, al solo scopo di arrotondare.
Le piattaforme agevolavano questa pratica, mettendo in contatto i proprietari di una casa con posti letto liberi e i viaggiatori in cerca di una sistemazione.
In genere i padroni di casa alloggiavano nell’immobile stesso per sovrintendere agli ospiti, perciò i rischi erano ridotti al minimo. Inoltre, tra residenti e turisti non c’era alcuna concorrenza derivante dalla scarsità di alloggi. Questo tipo di attività, fondata su un vero meccanismo di home-sharing, era positivo per l’economia.
Ma all’interno di questi sistemi, pensati originariamente per cittadini comuni che affittavano la propria casa, si sono infiltrati anche i professionisti della speculazione immobiliare. Questi operatori utilizzano le piattaforme per affittare case e appartamenti a breve termine 365 giorni all’anno, trasformando alloggi privati in hotel abusivi, non regolamentati e presumibilmente non tassati, privilegiando gli inquilini di passaggio rispetto ai residenti a lungo termine. Così il settore degli affitti a breve termine è diventato un vero e proprio business.
La questione è problematica, soprattutto perché le norme non fanno alcuna distinzione tra attività commerciali e persone comuni che affittano davvero la propria casa. Inoltre questo passaggio da immobili residenziali a hotel abusivi complica la ricerca di alloggi per i residenti, compromette la vivibilità di condomini e quartieri, indebolisce il senso di appartenenza delle comunità locali, pone una serie di rischi in termini di sicurezza sia per gli ospiti sia per il vicinato, espone vicini e condomini a comportamenti antisociali e infine sottrae ai governi il gettito dovuto, poiché permette di inquadrare un’attività commerciale nel settore degli affitti – che è esentasse o quasi – anziché nel settore alberghiero, che invece è sottoposto a una forte pressione fiscale.
Infine, dati i problemi creati dall’assenza di un’adeguata regolamentazione, il settore delle locazioni getta benzina sul fuoco, alimentando l’ostilità per i turisti che già dilaga in molte città del mondo. Questo atteggiamento potrebbe mettere a repentaglio l’intero settore del turismo, che è la principale fonte di guadagno per milioni di lavoratori. Gli affitti brevi rappresentano una minaccia anche per il settore alberghiero, per via della concorrenza sleale.
In molti casi, infatti, i professionisti del settore immobiliare – che spesso operano sotto mentite spoglie – eludono tasse, normative sulla sicurezza, vincoli urbanistici, nonché i normali standard di responsabilità sociale delle imprese, e di conseguenza possono affittare le proprie stanze a prezzi inferiori rispetto ai proprietari di hotel, su cui invece gravano requisiti normativi e obblighi fiscali di un certo rilievo. Così i prezzi degli hotel risultano più alti e i tassi di occupazione di camere e posti letto subiscono un crollo.
Anziché perseguire una concorrenza equa, questi operatori approfittano di scappatoie e lacune legislative per ottenere vantaggi finanziari. Il settore alberghiero è quindi chiamato a competere con le locazioni, ma in una lotta ad armi impari. Insomma, gli affitti a breve termine non sono più la novità del momento: sono un ambito sempre più professionalizzato, contraddistinto da un tasso di crescita esponenziale. E tutti sono in grado di capire che le piattaforme non sono più “startup nate da un sogno”: sono aziende multimiliardarie altamente redditizie, che non vogliono assumersi le proprie responsabilità sociali.
Le amministrazioni e i residenti delle città di tutto il mondo sono sempre più in difficoltà davanti all’uso di abitazioni private come alloggi per brevi periodi, alle ripercussioni sulla vivibilità degli stabili, ai rischi legati alla sicurezza e ad altri problemi.
In varie città del mondo sono stati costituiti comitati di residenti che protestano contro l’eccessiva presenza di turisti, così come amministrazioni che infliggono multe da centinaia di migliaia di dollari alle piattaforme.
Affascinati dall’aura che avvolge il settore delle locazioni brevi, giudicato “innovativo”, “collaborativo” e “moderno”, per anni i governi hanno ignorato questi problemi, favorendone di fatto il consolidamento.
Ma la situazione è ormai insostenibile. È giunta l’ora di aprire gli occhi sulle conseguenze sociali ed economiche del fenomeno e di introdurre misure ad hoc dettate dal buonsenso.
La conferenza di New York si è conclusa con la sottoscrizione di un documento che invita i governi a regolamentare la materia, sulla base di otto principi.
Si tratta di soluzioni che sono state già sperimentate con successo in alcune città e che, se implementate in toto, possono ricondurre il mercato sul giusto binario.
Un settore attualmente dominato da pratiche illegali potrebbe diventare parte integrante dell’economia nel segno della responsabilità sociale e della sostenibilità, mettendo al bando le speculazioni immobiliari e riportando lo strumento alla sua mission originaria una piattaforma per persone comuni che desiderano affittare la propria casa. Non sarà facile, ma sul lungo termine questa transizione è assolutamente necessaria. Tutte le parti coinvolte trarranno beneficio da un settore equo, sicuro, fiscalmente adempiente e socialmente responsabile. Di seguito, una sintesi dell’appello rivolto ai Governi.
Otto principi per favorire la responsabilità sociale dell’home-sharing
Home-sharing significa condividere la propria casa
Affinché si possa parlare di condivisione, occorre che l’host abiti nella casa che viene condivisa. Se invece l’host vuole affittare l’intero appartamento “day by day”, deve qualificarsi come attività commerciale e rispettare le regole previste per le strutture ricettive.
È obbligatorio registrarsi
Tutti gli host devono essere soggetti all’obbligo di registrazione presso le autorità preposte, specificando se sono cittadini comuni che condividono la propria abitazione o operatori professionali. Le piattaforme devono rimuovere tutti gli utenti non registrati. In questo modo le autorità preposte possono monitorare e controllare le locazioni brevi e verificare che tutte le altre leggi vigenti siano rispettate.
I vicini devono avere voce in capitolo
I vicini di casa non devono essere costretti a subire la presenza degli affitti a breve termine nel proprio stabile. Le normative devono riconoscere a condomini e inquilini il diritto di essere informati ed eventualmente di porre il proprio veto.
I centri storici devono essere salvaguardati
Le amministrazioni comunali devono limitare o bandire gli affitti a breve termine in determinate zone, per evitare che venga intaccata la natura dei quartieri e delle relative comunità.
Gli affitti a breve termine devono essere sicuri e accessibili
Le normative devono proteggere dai rischi sia gli ospiti sia il vicinato, stabilendo criteri minimi di sicurezza per gli immobili destinati agli affitti a breve termine e assicurandone il rispetto da parte degli host.
Il rispetto delle normative deve essere monitorato e vincolante
Le norme che disciplinano le locazioni brevi servono a poco se non ci sono adeguati controlli. Inoltre, È opportuno definire sanzioni pecuniarie per i soggetti inadempienti, ma anche per le piattaforme complici delle violazioni.
Gli host professionisti devono pagare le stesse imposte previste per gli hotel
Le leggi fiscali devono essere riformate in modo da prevedere che gli host professionisti siano soggetti agli identici livelli di tassazione previsti per gli hotel (IVA, imposte sui redditi, tasse e contributi sul lavoro, imposta di soggiorno, etc,) e contrastare l’evasione fiscale da parte di host e piattaforme.
Le piattaforme devono condividere i dati e riscuotere le imposte
I sette principi di cui sopra costituiscono la base per controllare i peggiori eccessi riscontrabili nel settore degli affitti a breve termine. Tuttavia, per una reale efficacia, la legge deve obbligare le piattaforme a condividere i dati in loro possesso con le autorità e a rimuovere annunci e utenti non conformi. Per semplificare la riscossione delle imposte ed estirpare l’evasione fiscale dilagante in questo settore, le piattaforme devono riscuotere le imposte per conto dei locatori e fornire informazioni al fisco.
Per approfondire potete scaricare:
Turismo e shadow economy – edizione settembre 2018 a cura di Federalberghi
Buongiorno Dott. Nucara,
detto che opero nel settore dell’extra-alberghiero classico (insomma b&b e affittacamere per intenderci) e non in quello della locazione breve o locazione turistica che dir si voglia, mi sento di dover fare alcune osservazioni su quanto da Lei riportato.
Naturalmente i miei commenti sono basati sull’esperienza italiana e romana in particolare, visto che all’estero vigono leggi diverse.
Premetto una cosa: sono solo 5 anni che sono nel settore, prima ero piuttosto un frequentatore di alberghi con quasi un centinaio di pernottamenti all’anno.
1) Inizio con il dire che attaccarsi alla questione della supposta evasione fiscale è sbagliato. Si tratta di una questione che attiene il singolo individuo e non una categoria nel suo complesso visto che spesso fenomeni di evasione ed elusione vengono riscontrati anche nel settore alberghiero. Per un certo periodo ho lavorato in una società di consulenza di direzione ed una pratica che veniva spesso suggerita agli alberghi era quella di pagare commissioni o imprecisati servizi a società appositamente costituite in qualche paese dove il fisco era meno pesante. Magari oggi i controlli incrociati rendono questa pratica meno facile, ma tant’è.
2) In secondo luogo il deflagrare del fenomeno delle locazioni brevi è stato anche conseguenza della guerra che il settore alberghiero ha fatto all’extra-alberghiero classico e che, qualche anno fa, ha portato all’emanazione di normative assurdamente restrittive e complesse, spesso poi bocciate dai TAR, e che hanno fatto riscoprire l’esistenza del contratto di locazione breve. A Roma b&b e affittacamere hanno circa 30000 posti letto contro i 100000 degli alberghi, e questo in una città dove, in certi periodi dell’anno, trovare un posto per dormire è impresa titanica, Le pare forse che fosse il caso di fare una tale guerra?
3) Il fenomeno delle locazioni brevi è strettamente legato ad Airbnb. Altre piattaforme non avevano avuto lo stesso successo. Non si tratta solo di facilità di utilizzo ma anche del fatto che Airbnb ha veicolato un concetto “di moda” ossia quello della sharing economy. Ma è, appunto, una moda. Considerando che nelle città, di queste si parla nel suo articolo, la gran parte dei viaggiatori per turismo sono coppie che stanno 2-3-4 giorni, la scelta dell’appartamento come luogo di soggiorno è contraria al concetto stesso di prendersi una pausa rispetto al quotidiano. Se lo fanno è perché gli viene veicolato uno stile di vita, quello Airbnb appunto, che è fuffa allo stato puro. Non crede che piuttoso che appellarsi a regolamenti e restrizioni sia molto meglio trasmettere ai potenziali ospiti il concetto che in albergo si troveranno meglio perché ci sarà qualcuno che si prenderà cura di loro? Nel mio piccolo è ciò che cerco di fare.