Il petrolio dell’Italia
Ma è proprio vero che il turismo sia un fattore scatenante per lo sviluppo di una regione o di un paese? Detto in altri termini il turismo è il petrolio dell’Italia? Se per i politici o i supporter sfegatati del settore, il contributo del turismo allo sviluppo economico è una verità non contestabile (soprattutto a Sud), nel mondo accademico (globale) sono in molti a porsi questa domanda. Sono passati quasi venti anni da quando è stato pubblicato il primo paper sull’ipotesi di una crescita economica guidata dal turismo (in gergo TLGH che sta per Tourism Lead Growth). Da allora, le riviste scientifiche sono state invase da molti studi che hanno indagato la relazione tra turismo e crescita economica. Quali sono le conclusioni? Gli studi evidenziano risultati contrastanti e molto sensibili ai modelli econometrici adottati. Tuttavia, ci sono alcuni punti sui quali gli studiosi tendono a convergere.
Le provincie a vocazione turistica crescono di più delle altre?
Una premessa. Una cosa è parlare dello sviluppo di un intero paese, altro è parlare di sviluppo di alcune aree limitate. Studiosi e ricercatori invitano a non generalizzare a un intero paese i risultati di ricerche condotte a livello locale. Rimandando sul livello locale, alcune ipotesi sull’impatto economico del turismo trovano conferma in studi condotti in diversi paesi.
Primo, la spesa dei turisti internazionali ha un impatto maggiore (di quella dei turisti domestici) sulla crescita di un’economia locale. Secondo, gli effetti del turismo (sull’economia locale) dipendono molto dal contesto. A queste stesse conclusioni arrivano anche R. Bronzini, E. Ciani e F. Montaruli nel loro studio Tourism and local growth in Italy, di prossima pubblicazione sulle collane della Banca d’Italia e anticipato negli atti del convegno Turismo in Italia, numeri e potenziale di sviluppo (dicembre 2018) . Lo studio stima l’effetto della spesa dei turisti stranieri (rapportata alla popolazione) sulla crescita del valore aggiunto pro capite delle province italiane, nel periodo 1997-2016. La domanda che si sono posti i ricercatori è: le province (italiane) con un livello iniziale di spesa turistica pro capite più elevata, che si presume siano le più specializzate nel settore turistico, crescono più rapidamente delle altre nel periodo di riferimento? La risposta è no: l’effetto del turismo sulla crescita è modesto. Per usare le loro parole:
Un livello della spesa turistica pro capite iniziale più alto del 10 per cento genera, in media, a una maggior crescita cumulata nel decennio successivo di circa 0,2 punti percentuali (l’effetto sale a un massimo di 0,4 punti percentuali in alcuni modelli stimati). L’effetto positivo si riflette anche in una crescita del tasso di occupazione, ma non della popolazione.
Tuttavia, ci sono significative differenze tra le provincie in base ai livelli di sviluppo iniziali. L’effetto è maggiore per le province meno sviluppate, cioè quelle che partono da bassi livelli di valore aggiunto pro capite e ridotti tassi di occupazione. Ad esempio una crescita del 10 per cento della spesa turistica per abitante genera un effetto cumulato di 0,47 punti percentuali nelle province meridionali e di 0,15 punti in quelle centro-settentrionali nei dieci anni successivi. Inoltre, dato ancora più interessante, nelle province come Roma, dove la spesa (dei turisti internazionali) pro capite supera una certa soglia, ulteriori aumenti (di spesa) non producono effetti positivi sul valore aggiunto. In altre parole, nelle aree molto turistiche oltre ad una congestione fisica, si assiste anche a una congestione economica.
Traduzione mia. Il turismo può essere il petrolio nelle aree caratterizzate da bassi livelli di sviluppo economico. Sempre che ci siano le condizioni per attrarre investimenti e turisti.
Quanto vale però per alcune aree geografiche specifiche, non vale per un paese. Il turismo è un settore in prevalenza a bassa produttività e contenuta qualità di capitale umano impiegato. I critici sostengono (a ragione) che gli investimenti nel settore possano spiazzare quelli più produttivi (cosiddetto effetto “beach disease”). Detto in altri termini. Si preferisce investire nel mattone alberghiero (considerata un sicura fonte di cash flow in alcune location) sottraendo risorse ad altri settori, come ad esempio, i servizi a più alta tecnologia. Ma perché il turismo è considerato un settore a bassa produttività? Produttività significa quante risorse, come la manodopera o gli investimenti di capitale, sono necessarie per produrre una certa quantità di beni o servizi, come la vendita di una camera per una notte a un turista. Il turismo, nelle economie avanzate, genera un PIL inferiore all’ora lavorata rispetto ad altri servizi come la finanza e l’assicurazione, le telecomunicazioni e le nuove tecnologie. Queste ultime industrie tendono ad impiegare persone con competenze più elevate, pagare salari più alti e utilizzare le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) e altri capitali per lavorare in modo più efficiente. Il settore del turismo comprende aziende quali ristoranti, alloggio e trasporti locali, che sono spesso costituite da piccole imprese con lavori a bassa retribuzione e scarsamente qualificati, oltre ad un elevato ricambio di personale.
Capisco che la crescita economica ad alta intensità di manodopera è particolarmente allettante nel nostro tempo, dati i tassi di disoccupazione, tuttavia vi prego di porvi le seguenti domande. Davvero immaginate un paese avanzato dove l’economia è trainata da camerieri (con il dovuto rispetto ad una dignitosissima professione)? Ci stiamo dirigendo come flash verso un’era di enormi cambiamenti demografici che vedrà una rapida crescita delle dimensioni della popolazione non lavorativa rispetto alla popolazione attiva. Anzi, mi correggo. Siamo già dentro questa era. Dato che molti andranno in pensione con il sistema retributivo, chi pagherà il conto se gli stipendi sono quelli che ben conosciamo del nostro settore?
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