Nel post precedente abbiamo fatto riferimento a Cecità. Saggio sulla lucidità
è il proseguimento del libro che valse a José Saramago il Nobel nel 1998.
Robi veltroni
Avevo deciso di non intervenire. Fedele ai precetti del Manifesto della comunicazione non ostile [qui] del quale sono attivo sostenitore fin dall’inizio, avevo adottato l’ultimo punto: “Anche il silenzio comunica – Quando la scelta migliore è tacere, taccio”. Scelta che peraltro anche il buon Zerocalcare ha fatto commentandola a modo suo.
Finora mi sono limitato a condividere “responsabilmente” (vedi il punto 7) qualche informazione dopo aver ben verificato le fonti, cosa che tutti dovrebbero a fare ma che spesso pare cosa rara. Consiglierei anche la lettura di un libretto scritto quasi 250 anni fa: L’ arte di tacere dell’abate Dinouart, Sellerio, nel quale si legge, tra l’altro: “Il primo grado della saggezza è sapere tacere; il secondo è saper parlare poco e moderarsi nel discorso…”. Ma il buon Robi Veltroni mi ha chiamato e, francamente, mi son sentito in dovere di rispondere alla chiamata.
Come “i mei venticinque lettori” sanno non mi considero esperto di alcunché, a maggior ragione quando sono in ballo argomenti come salute, epidemie e simili, mi limito ad osservare e, a volte, a dire la mia.
Osservando quel che è accaduto nei giorni scorsi, e quel che continua ad accadere metto qui alcune riflessioni. Riguardano solo in parte il turismo, ma su questo tema tanti han già detto la loro e, secondo me, troppo presto per una valutazione serena della situazione. E, da sempre, considero il turismo non come ambiente separato, ma come una delle tante manifestazioni di un mondo complesso, con enormi connessioni con le altre realtà.
Sono considerazioni del tutto personali, non “scientifiche”, quindi discutibili, anche se difficilmente, come tanti, poi potrei cambiare idea. Eccole:
1 – Abbiamo una dimostrazione eclatante della complessità del mondo in cui viviamo. Mondo nel quale equilibrio e stabilità sono fattori quantomai delicati e instabili. Verrebbe proprio da considerare il come un elemento insignificante, un esserino di meno di un decimo di micron, possa provocare uno tsunami di queste dimensioni (ricordate le farfalle e i tornado di Lorenz? [ qui]). E questo deve farci riflettere a fondo, e farci cambiare decisamente l’ottica.
Come ben scrive l’amico Piero Dominici [qui]: “se non l’affronteremo in maniera seria, rigorosa e sistemica, superato il “corona virus” (per il passato, come noto, si potrebbero fare moltissimi esempi), arriveranno inevitabilmente nuove crisi e nuove emergenze e ci ritroveremo al punto di partenza di sempre.”
2 – Piero Dominici nel suo pezzo si riferisce all’informazione e alla cultura della comunicazione in questo periodo. E qui francamente c’è da restare basiti. Abbiamo assistito a una spregevole e demenziale gara all’urlo per acchiappare audience da parte di tutti i cosiddetti media tradizionali (giornali, radio e TV). Ciò ha avuto, e avrà, conseguenze pesantissime, soprattutto per l’immagine delle nostre regioni nel resto del mondo. Che, come sa chi ha vissuto almeno per un po’ fuori dai confini, quel che si vede all’estero è in massima parte dovuto a questi media.
Ripenseremo bene a quanto accaduto quando qualcuno si lamenterà dell’affidabilità delle piattaforme online millantando autorevolezza (se volete un esempio guardate le prime pagine dei nostri maggiori quotidiani nella settimana del 20 febbraio [qui]. Come ha commentato Vera Gheno [qui] pare proprio che “molti abbiano abdicato al loro ruolo di informatori per diventare, spinti forse da voglie di protagonismo, piuttosto deformatori delle notizie” (e toglierei il forse). E sempre su autorevolezza, ma soprattutto sui risvolti etici e morali dell’azione dei media, quanto successo riguardo l’ultimo decreto del presidente del consiglio dell’8 marzo 2020, che per amor di patria mi rifiuto di commentare qui, credo sia ulteriore testimone di questo fatto.
Un po’ di ottimismo comunque viene, a mio parere, guardando il rapporto dell’Osservatorio SWG sull’opinione pubblica italiana del 3 marzo 2020 [qui] dal quale si nota come la ggente sia poi molto meno cialtrona di quel che si crede visto che TV e quotidiani sono ben in fondo alla classifica delle fonti di informazione ritenute affidabili.
3 – Mi sa che molti miti del turismo, costruiti spesso artificialmente negli ultimi anni, ricevano un bello scrollone. Ci si rende conto che, come qualcuno ricordava, viaggiare non è obbligatorio, e che le scelte dei turisti sono ben poco razionali e dipendono molto da percezioni che hanno poco o nulla a che vedere con quella pletora di elementi più o meno fantasiosi che si accampano spesso. Bisogna cominciare subito a ripensare in maniera sistemica, profonda e ben documentata (non mitologica) molti di questi elementi perché, come nota Luca De Biase [qui]: “I fatti sono strani quando li si considera alla luce del racconto dei fatti.” e “Ora è tempo di fare nuovi fatti e creare un nuovo racconto”, e se non ci si prepara ora che, purtroppo, abbiamo tempo per riflettere, il prossimo evento ci troverà in condizioni ancora peggiori.
4 – La (ri)scoperta, per necessità, delle tecnologie (vedi per esempio quel che succede nel mondo del lavoro e dell’educazione), spesso tanto bistrattate, ci fa sentire ancor più forte quell’idea di “onlife” (come l’ha chiamata il filosofo Luciano Floridi), del fatto che il mondo reale e quello digitale siano ormai non più separabili (vedi sempre il manifesto di Parole Ostili, punto 1). Ciò salva il nostro mondo di relazioni, in questo periodo di isolamenti forzati, e quella cultura della connessione che si è andata stabilendo così profondamente. Possiamo prender l’occasione per ripensare bene, soprattutto nel turismo e nell’ospitalità, a quanto dobbiamo al digitale e magari considerare che utilizzi razionali ed efficienti possono rinsaldare tante situazioni più o meno precarie e metterci in condizione di lavorare meglio e più efficacemente quando torneremo a condizioni normali.
Qui dobbiamo però sempre ricordare che le tecnologie non sono una soluzione se il resto dei nostri processi organizzativi e operativi non vengono ripensati e rivisti in quest’ottica. Lo dice bene Paolo Iabichino [qui] notando che: “Non possiamo prescindere dalla digitalizzazione. Questa è l’altra grande lezione di questi giorni. Ma per farlo dobbiamo guardare alla Cultura Digitale. Non è un fatto di trasformazione e competenze. Non solo. Non più.” e poi “Facciamo che basta con la digital transformation e ci concentriamo su aspetti psicologici, individuali, neurali e cognitivi che servono a ripensare le nostre organizzazioni. E queste hanno bisogno di una politica nuova a tutti i livelli ed è la stessa politica che ha bisogno anche di nuovi cittadini.” Dove “politica” la leggo non tanto come questione attinente a partiti, istituzioni e governi, ma come, nel senso antico del termine, relativa ai comportamenti anche individuali di chi vive in un sistema sociale.
Un’altra considerazione riguarda poi la disponibilità di dati sul fenomeno e sugli altri aspetti connessi. Qui si sente molto la mancanza di una fonte usabile di dati e soprattutto l’enorme ritardo nel dotarsi di infrastrutture in grado di analizzare, con le meraviglie dell’intelligenza artificiale, e rendere disponibili quei big data dei quali molti parlano ma che, e soprattutto per questioni legate al movimento delle persone, latitano. Eppure sappiamo bene, come notava Alfonso Fuggetta in un suo tweet, che mai come in queste situazioni sarebbe necessario avere informazioni di questo tipo, che, come noto (almeno in teoria, visto che la pratica latita) potremmo avere “un quadro più preciso della situazione, le basi per una comunicazione seria, indicazioni per chi deve prendere decision e poi strumenti seri di gestione delle crisi per il futuro.” (tanto per non far esempi vedi: [qui]).
5 – Leggendo e guardando qua e là si scoprono tante occasioni di solidarietà e di collaborazione, come spesso è accaduto nel passato in situazioni di emergenza. Ciò mi conforta. Come continuo a ripetere da tempo, da soli difficilmente si arriva da qualche parte. Questo dovrebbe valere poi in generale, non solo quando ci sono emergenze. E io spero vivamente che il mondo del turismo, troppo spesso teatro di concorrenza esasperata (e alla fine deleteria) se ne accorga bene e ripensi alla necessità di un maggior livello di collaborazione e cooperazione. Non vorrei rivedere in altri casi azioni al limite dello sciacallaggio come quelle che qualcuno ha riportato, e che, a mio parere dovrebbero esser riportate con nomi e cognomi e non in modo anonimo come è stato fatto.
La speranza è estesa, come dice Angela Mauro sull’Huffington Post [qui]: “ci accompagnerà in un nuovo mondo dove tutti avranno le ossa rotte, economicamente e senza distinzioni tra paese, ma magari nel frattempo si sarà riscoperto il valore dell’incontro, della solidarietà e tutti quelle cose che oggi bistrattiamo con cinismo e indifferenza.”
Per il resto, ora, non ho molto di più da dire. Mi sento un po’ come Enea in quel bel verso di Virgilio (Eneide X,49): et quacumque viam dederit fortuna sequatur (seguirà qualunque via gli indicherà la sorte).
Last minute: mi accorgo ora che (a parziale correzione di quanto detto) la Protezione Civile ha un repository su Github dove pubblica i dati ufficiali (totali, province, regioni ecc.) in diversi formati e quindi usabili da chi vuole. il link è:
https://github.com/pcm-dpc/COVID-19
Fra le altre cose menzionato anche “un cruscotto geografico interattivo raggiungibile agli indirizzi http://arcg.is/C1unv (versione desktop) e http://arcg.is/081a51 (versione mobile)”