“Cripto”, è una parola che nel 98% dei professionisti del Travel evoca sensazioni negative derivate da una stampa ostile, storie di ragazzini brufolosi miliardari per caso e perdenti riciclatisi in consulenti con la bocca piena di paroloni incomprensibili, probabilmente pure a loro.
Il Web3 è il termine che ha sostituito “cripto” nella narrativa della blockchain.
Derivato dalla necessità di non provocare immediato disinteresse, si è trattato di un rebranding tutto sommato di successo.
È stato un processo organico, non una decisione presa dall’ufficio commerciale di Ethereum Inc o Bitcoin SPA.
Io stesso a un certo punto ho capito che la chiave di volta nell’elemosinare più di venti secondi di attenzione, stava proprio nel nome: Il “Web3” me ne dava fino a sessanta.
In quei sessanta secondi però riuscivo a mettere il piede nella porta, e pronunciare la frase killer:
– “voi usate internet?”
– “sì, certo”
– “Lo sapete che sta per cambiare drasticamente?”
La reazione a questa notizia è spesso d’incredulità, ma almeno genera interesse.
Se qualcuno ti dice che la base sulla quale lavori sta cambiando, se ne senti parlare da dieci anni e se negli ultimi due hai continuato a leggere di NFT, token e cose del genere, un minimo di dubbio ti deve venire.
A questo punto pensare che sia una moda passeggera diventa più difficile.
Non volendo dare per scontato che il lettore sappia a cosa mi riferisco, devo una spiegazione:
Il Web3 in realtà non è solo un rebranding, ma soprattutto la presa di coscienza che le tecnologie legate alle cripto, dal Bitcoin in poi, stanno sempre più diventando parte integrante del Web.
Semplificando: il Web si evolve, e abbiamo già visto (anche se non tutti se ne sono accorti) come sia passato dal Web1 al Web2:
Il Web1 era quello di fine anni ’90/primi anni 2000: una rete composta da relativamente pochi creatori di contenuti, spesso individui, e una massa di lettori.
- Il Web1 era il “Read-only Web” dove tutti leggevano e pochi scrivevano: 📖
- Il Web2 è il web di oggi, dove tutti invece scrivono (magari a sproposito, ma questa è un’altra storia) su enormi piattaforme di terze parti.
Il Web2 è “Read & Write” dive tutti leggono e tutti scrivono: 📖 ✍️ - Il Web3, quello che già esiste ma pochi ancora usano, ha un potere in più: la gestione delle proprietà privata.
Il Web3 è il “Read & Write & Own” dove tutti leggono, scrivono e possiedono: 📖 ✍️ 🔑
(e forse adesso si capisce il senso della foto di copertina)
In che senso “possiedono“? Possiedono cosa esattamente?
Molte cose in realtà, ma partiamo dalla base di tutto: il proprio account.
Intanto una considerazione: nel Web2 non possediamo quasi nulla.
Gli account che abbiamo in Facebook, Instagram, Booking.com, Airbnb, Expedia o Google non sono nostri ma delle piattaforme che, non a caso, sono colossi economici con un potere immenso.
L’account Web2, sotto forma di login e password, infatti è custodito nel database di queste piattaforme.
Ne consegue un controllo totale che permette perfino un evento definitivo come il “deplatforming” (la distruzione unilaterale dell’account da parte della piattaforma) ma che, anche senza arrivare a questo estremo, espone la natura squilibrata dei rapporti di potere tra le due parti.
Nelle piattaforme, siamo utenti, non cittadini con diritti riconosciuti e difesi dal legislatore, ma alla mercé del magnanimo Signore, proprietario totale delle terre (le piattaforme).
L’account Web3 cambia tutto: è custodito nel wallet nel nostro computer o telefono, che ha al suo interno la chiave privata (corrispondente alla password del Web2) e la chiave pubblica (corrispondente alla mail nel Web2).
Nel momento in cui l’utente ha il controllo del proprio account, ecco che per collegarsi a un altro sito Web3, non deve creare un nuovo account, ma può usare sempre lo stesso. Il proprio.
Come nel mondo reale, invece di creare una carta d’identità nuova per viaggiare in ogni paese della Comunità Europea, usiamo sempre la stessa emessa in Italia e riconosciuta ovunque.
Nel Web2 invece arriviamo alla frontiera di una OTA che ci dice: “non ti conosco, vieni che ti faccio una carta d’identità utilizzabile solo presso di noi e che possiamo toglierti in qualsiasi momento. Sappi che non puoi portare fuori niente. Quello che fai qui, resta qui”.
All’account Web3, poi associamo:
– gli annunci: nostri nel Web3, della piattaforma nel Web2.
– I clienti: nostri nel Web3, della piattaforma nel Web2.
– Le recensioni (l’importantissima reputazione): nostra nel Web3, della piattaforma nel Web2.
Infatti, se chiudiamo il nostro account Airbnb, le mille recensioni guadagnate col sudore della fronte svaniscono nel backup della OTA che non sa più cosa farsene ma si guarda bene dal rilasciare, magari certificate, a noi, per poterle utilizzare nel nostro sito di prenotazioni dirette.
Poco importa se le recensioni sono contenuto scritto dai nostri clienti, per le nostre strutture.
Nel Web3 invece, restano, associate al nostro account.
Le OTA contro Internet: chi vincerà?
Il Web3 ha un’altra caratteristica fondamentale: i “programmi” che fanno girare le prenotazioni sono aperti.
Mi riferisco a sistemi di pagamento, escrow, messaggistica, recensioni e così via.
Aperti vuol dire che sono a disposizione di tutti, come lo sono le mail e i siti web.
Questo è possibile non solo perché questi programmi sono dei protocolli, il cui codice può essere ripreso, ma girano già in un mega computer aperto a tutti: una blockchain.
Un esempio: un Hotel che vuole accettare Direct Booking oggi si deve fornire di un Booking Engine che viene solitamente fornito da un’azienda.
Ce ne sono molti in giro, tutti con codice proprietario, e tutti a un certo costo.
Un nuovo player che volesse creare una booking engine migliore deve partire da zero, non può copiare il codice di un concorrente.
Questo rende lo sviluppo e l’innovazione più difficile rispetto a un codice aperto e soprattutto crea un panorama di prodotti molto frammentato.
Nel Web3 una booking engine sarà del codice aperto, che già gira su una blockchain, e all’Hotel basta integrarlo con uno snippet di codice, un po’ come quando si integra un video di Youtube.
L’utente andrà a prenotare su quella booking engine aperta, sapendo di utilizzare un sistema, o meglio un protocollo, già usato da migliaia o milioni di persone, e quindi sicuro.
Una specie di Booking Engine mondiale, unica e utilizzabile da tutti (come noi utilizziamo tutti l’SMTP per la mail).
Allo stesso modo appariranno dei protocolli di recensioni, per cui un qualsiasi Hotel può integrare in cinque minuti e permettere la scrittura di recensioni per il proprio hotel.
Recensioni che a loro volta potranno essere utilizzate da qualsiasi OTA, oltre che dall’Hotel stesso.
Una specie di Reputation Engine mondiale.
Ovviamente qui sto speculando su scenari imprevedibili, ma la direzione è questa.
A quel punto un Hotel avrà gli stessi strumenti della OTA, e potrà trasmettere la stessa sensazione di protezione del cliente che trasmettono le piattaforme.
La terza parte neutrale non sarà un’azienda, ma il web stesso.
Questi ragionamenti mi hanno portato recentemente ad un considerazione nuova:
La guerra che le OTA del Web2 si troveranno ad affrontare, non sarà contro piccole startup native del Web3.
Sarà contro internet stesso.
E sarà epica.
COME APPROFONDIRE
Pochi nel mondo parlano di Web3 in Travel e ancora meno in Italia, sono quindi costretto a puntare il lettore a risorse che ho creato io!
Il libro “Come stanno cambiando internet e le prenotazioni nel mercato extralberghiero“, che è un’introduzione a questi concetti valida per il Travel in generale.
Il mio Podcast gratuito in inglese “Web3 in Travel“.
La prima conferenza sul settore che terremo a Porto, il 14 Settembre 2022: “Web3 in Travel“.