Ho riflettuto molto sulle ragioni che mi spingono a trattare quest’argomento in un post e su come verrà interpretata la mia posizione. Il rischio è quello di sembrare un dinosauro (e probabilmente lo sono) alle prese con una generazione di lavoratori che non comprendo fino in fondo. Credo però che una riflessione e un dibattito possano essere costruttivi e possano aiutare anche chi, come me, fatica a capire del tutto i cambiamenti enormi che gli operatori turistici hanno vissuto nel post Covid.
Parto da alcune considerazioni oggettive:
- Nel settore turistico nel mondo (alberghi e ristorazione principalmente, ma non solo) mancano milioni di posti di lavoro. Solo in Italia le ultime stime parlano di un’offerta annua media di 300.000 posizioni, con circa un quarto (fonte rapporto Unioncamere) che non riescono a essere coperte.
- Le scuole alberghiere e turistiche hanno subito un calo di iscrizioni che è cominciato ben prima del periodo Covid (dai 65.000 iscritti del 2014 ai 34.000 del 2022, fonte Miur), denotando che lo scarso appeal del settore ha origini ben più lontane.
- La percezione generale del settore per i lavoratori è di un comparto dove si lavora molto e si guadagna poco.
- Le nuove generazioni fanno fatica a sceglierlo. Si pensa a un settore con limitate possibilità di carriera e da “usare” come lavoretto estivo in attesa di qualcosa di diverso.
Tutte queste condizioni hanno finito per generare un mismatch, ovvero un disallineamento enorme tra domanda (cresciuta in modo esponenziale nel post Covid) e offerta. Le ricadute sulle aziende del settore sono enormi:
- Aumento esponenziale dei costi di recruiting.
- Alta necessità di formazione in azienda, con relativi costi.
- Offerte monetarie superiori alla norma per cercare di stabilizzare il personale, che è attratto da continue offerte di concorrenti al rialzo.
- Comportamenti non etici tra gli operatori del settore, che non esitano a fare offerte al rialzo per figure manageriali o anche di secondo piano.
Tutto questo ha generato un mercato del lavoro in cui si è passati dal “le farò sapere” del datore di lavoro a esattamente il contrario, con figure professionali non di primo livello che ricevono offerte incomprensibili per il loro grado di professionalità e preparazione. Confrontandomi con diversi operatori del settore, abbiamo avuto modo di constatare comportamenti che erano impensabili solo qualche anno fa. Ne cito alcuni come esempio:
- Un tasso spaventoso di persone che non si presentano ai colloqui senza neanche avvertire preventivamente.
- Persone che dopo alcuni giorni di lavoro scompaiono letteralmente senza avvertire nessuno, costringendo il datore al licenziamento per assenza ingiustificata. Una volta erano casi rarissimi, ora sono la norma in molte aziende, costringendole a licenziare, con il dipendente che ha a quel punto diritto alla NASPI. Questo comportamento, diventato seriale, ha fatto nascere molti dubbi ai governi che si sono succeduti in questi anni (ricordo una promessa del governo Meloni non appena insediato), ma di fatto non è stato dato nessun seguito.
- Insofferenza di molte risorse verso quelle che da sempre sono le caratteristiche di un impiego nel settore turistico: lavoro anche nei weekend, grooming impeccabile, conoscenza di almeno una lingua straniera, flessibilità negli orari.
- Difficoltà a recepire le indicazioni dei capi servizio. Si è progressivamente affermata una condizione per cui è diventato molto più complicato far rispettare regole che sono alla base di questo lavoro: rispetto per gli orari, rispetto per le procedure, rispetto per gli altri colleghi di lavoro.
Chi vi scrive ha ricevuto nella sua carriera una sola lettera di richiamo per aver timbrato il proprio cartellino alle 23:59 invece che alle 00:00. Sono d’accordo, erano altri tempi, ma quel rigore, quella disciplina, mi ha fatto comprendere in quegli anni (erano gli anni ’80 in una nota compagnia alberghiera italiana) che cosa significasse il rispetto e la correttezza nel rispettare le indicazioni aziendali. A oggi, la maggior parte dei lavoratori non approfondisce la parte “doveri” e si concentra sui propri “diritti” (che sono sacrosanti per l’amore del cielo) con un evidente disequilibrio.
Lungi da me voler fare una polemica “sindacale”, sono solo considerazioni su un mercato del lavoro in deciso cambiamento che abbiamo l’obbligo di comprendere in tutti i suoi aspetti. Da albergatore e presidente di un’Accademia di Alta Formazione, ho necessità di capire come si può uscire dal mismatch e riportare in equilibrio il settore.
Ecco alcune proposte:
- Investire nella formazione: fornire una formazione completa e continua ai dipendenti può aiutare a instillare una cultura della disciplina e dell’etica.
- Promuovere una cultura aziendale positiva: le aziende devono creare un ambiente di lavoro che valorizzi l’integrità, il rispetto e la responsabilità.
- Implementare politiche rigide: stabilire e far rispettare politiche chiare riguardo alla condotta professionale può aiutare a prevenire comportamenti scorretti.
- Lavorare sugli incentivi: premiare chi lavora con abnegazione, rispetto e correttezza. Stabilire contrattazioni di secondo livello esclusivamente sul merito.
- Informazioni precise: per chi, come me, viene da lontano, è forse scontato rispettare alcune condotte basiche, ma è una buona prassi integrare i contratti di lavoro con manuali operativi che riportino le regole basilari del rapporto di lavoro (rispetto degli orari e delle comunicazioni, rispetto dei luoghi di lavoro, utilizzo dei telefonini e dei social). Alcune potranno sembrare scontate, ma vi assicuro che non lo sono per tutti.
Il mio amico Robi Veltroni, che ha fatto nascere questo blog, scrisse tanti anni fa la “Lettera al Turista”, nella quale, con grande intelligenza e sottile ironia, auspicava la nascita di un nuovo patto tra albergatore e turista. Oggi c’è la necessità di un nuovo patto tra datore di lavoro e risorse e sarebbe quindi l’ora di scrivere la “Lettera al collaboratore”. Da una parte dobbiamo far evolvere le modalità di gestione del lavoro di alcuni albergatori che fanno male al settore, ma che non possono nemmeno diventare “il settore” per gli organi di stampa. Dall’altra, mi piacerebbe che le nuove generazioni che si approcciano a questo lavoro capissero sin dall’inizio quali sono i principi fondamentali che non possono essere intaccati.
Con l’Accademia, nel nostro piccolo, noi ci proviamo e cerchiamo di far innamorare le giovani risorse al lavoro più bello del mondo. L’accoglienza.
Buon Ferragosto!
Io credo che il suo punto di vista non sia quello di un “dinosauro” ma quello di un innovatore che s’impegna a cercare soluzioni ai problemi di un comparto (quello turistico) ancora troppo in difficoltà per molte ragioni.
Il famigerato mismatch non ha, poi, origini così antiche. Probabilmente è solo il frutto di una nuova cultura del lavoro affiancata alla tecnologia che ha illuso le nuove generazioni (e anche le vecchie!) che è possibile raggiungere obiettivi senza percorrere le doverose tappe formative che “dovrebbero” portare un lavoratore a svolgere con competenza il proprio ruolo, qualunque esso sia.
Ritengo senza dubbio interessanti le Sue proposte… tuttavia etica, cultura, informazione e formazione sono tutte attività che meritano un impegno che le aziende che operano nel settore turistico (soprattutto quello stagionale molto determinante nel nostro Paese), stentano ad interpretare con continuità e attraverso “programmi ben strutturati” ed esperti formatori capaci di trasmettere passione… ecco, al di là delle infinite considerazioni che si potrebbero fare in merito al Suo articolo, mi sento di evidenziare l’aspetto che maggiormente penalizza, a mio parere, il settore turistico: l’aridità umana che contraddistingue il comportamento di molti imprenditori e manager, la presenza di troppi direttori (o presunti tali) giunti a gestire aziende e personale senza aver condotto gli opportuni percorsi formativi ma attraverso comode scorciatoie o amicizie influenti (deleteri per gli ambienti di lavoro), di formatori e docenti capaci di “insegnare” e “trasmettere” passione per quello che resta uno dei lavori più belli al mondo: l’accoglienza turistica!
Grazie per le sue parole rassicuranti.
Grazie Roberto!
Io lavoro all’estero e non tornerei in Italia per i salari da fame nel turismo. Mi sembra solo un bene che siamo noi lavoratori a dire “le faremo sapere” perché nel settore turistico italiano non esiste professionalità.