Personas nel marketing turistico: un mito dalla dubbia utilità.
Qualche giorno fa chiacchieravo con Massimo Caria prima del nostro talk sull’utilità delle Personas, quei profili creati per rappresentare segmenti di pubblico.
È uno strumento di analisi e pianificazione che ha molto appeal. Piace ai marketer. Piace alle agenzie. Piace ai manager. Ma aiutano davvero a fare marketing in modo efficace?
Nel rispondere alla domanda, mi è venuto in mente un post su Linkedin di un ex manager di PayPal dove raccontava di aver speso 1 milione di dollari. Ipsos ha intervistato centinaia di persone, raccolto migliaia di dati. Hanno creato personas sofisticate: con tolleranza al rischio, sensibilità al prezzo, ambizioni e altro. E sapete qual è stato il risultato dal punto divista pratico? Zero. Un milione di dollari per informazioni interessanti che non sono state utilizzate perché inutili.
Quindi, perché si continua a commissionare ricerche per segmentare la domanda in profili ideali?
Che cosa conta davvero nel marketing, in particolare nella comunicazione?
Immaginate di gestire la comunicazione di una destinazione turistica di montagna. Volete attirare visitatori in inverno.
Qual è l’informazione più utile?
- Luca, 42 anni, avvocato di Milano, amante dei viaggi e degli sport.
- Luca è stressato dopo una settimana pesante in ufficio e vuole rilassarsi con una spa e un po’ di sci.
La seconda opzione, ovviamente. Perché vi dà indicazioni precise su cosa offrire e sul modo di presentalo.
Le personas? Fanno scena, ma spesso non servono.
La lezione dell’Ehrenberg-Bass Institute for Marketing Science: restare nella testa del cliente
I ricercatori dell’Ehrenberg-Bass Institute for Marketing Science, il più importante e rinomato centro di ricerca di marketing al mondo, hanno spiegato da diversi anni cosa conta nelle decisioni di acquisto: la mental availability e la physical availability.
In poche parole, il brand (la destinazione) deve essere facilmente ricordato al momento giusto. Il brand (i servizi turistici) devono essere presenti e ben in vista dove si compra.
Non importa chi sia il cliente: giovane o anziano, cittadino o rurale. Ciò che conta è che, quando pensa a una vacanza, quella destinazione sia nella sua mente.
Le situazioni in cui si pensa a dove andare in vacanze non sono sempre le stesse per ognuno di noi. Segmentare il mercato in profili rigidi significa ignorare questa fluidità.
Il pericolo degli stereotipi
Creare personas può portare a stereotipi. Prendiamo “Antonio, padre di famiglia”. Pensiamo che cerchi solo vacanze sicure per i figli. E se invece volesse anche momenti di relax per sé stesso? O una fuga romantica con sua moglie? O esperienze che coinvolgano tutta la famiglia?
Invece di ridurre le persone a cliché, chi fa marketing delle destinazioni turistiche deve comprendere quali sono le diverse (e più comuni) situazioni in cui si pensa dove andare in vacanza.
Dati comportamentali, non teorie astratte
Basiamoci sui dati reali.
Facciamo ricerche dove analizziamo i pensieri e le situazioni in cui viene in mente dove andare in vacanza. Non perdiamo tempo con domande tipo “cosa evoca la destinazione”.
Osserviamo come e dove i turisti cercano, prenotano e scelgono. Cerchiamo di capire che media utilizzano e per quanto tempo.
Conclusione: abbattiamo i miti
Il marketing turistico deve evolversi. Dobbiamo smettere di affidarci ad archetipi che forniscono informazioni poco utili.
Solo così potremo impostare brief chiari per i partner tecnici e avviare fin dall’inizio strategie basate su evidenze con cui poi misurare i risultati effettivamente raggiunti.