Il marketing delle destinazioni. Gestire aspettative, obiettivi e risultati in un contesto complicato.
Qualche giorno fa leggevo i commenti di alcuni esperti di marketing delle destinazioni turistiche all’ultima pubblicità promossa da Svizzera Turismo che vede protagonista Federer. La dinamica è sempre la stessa. Chi elogia il tono (scherzoso) dello spot. Chi la qualità estetica. Chi l’impiego di personaggi famosi. Il focus dei commenti era sulla creatività. Mi veniva in mente una analisi di System 1 – azienda specializzata nel testare l’efficacia della creatività – che evidenziava come gli esperti di marketing non siano proprio bravi a capire se una pubblicità funzioni o meno.
La domanda che mi ponevo e che pongo quando mi chiedono di commentare questo tipo di spot è: quali sono gli obiettivi della campagna? Perché l’efficacia si misura rispetto alle aspettative. Inoltre, nel caso specifico, visto che non si tratta della prima con il celeberrimo tennista, quali sono i risultati (rispetto alle aspettative) delle campagne precedenti.
E qui viene il bello. Perché, le aspettative sono varie, opinabili e, nel nostro settore, poco trasparenti. Come sostengo da tempo, la vera differenza tra fare marketing per un prodotto e una destinazione turistica non è nella natura dell’offerta, ma nella governance. Il marketing manager di una azienda normale, anche quando grande, deve vedersela un Chief Financial Officer (CFO), un CEO e un Board. Il marketing manager di una DMO non ha un CFO, ma anche i politici che sostengono i finanziamenti alla sua DMO, gli amministratori che fanno la rendicontazione ai fondi che finanziano la campagna, l’Anac, la Corte dei conti, ecc. E ne ho citati solo alcuni. Oltre al CEO della DMO e al Board (nei casi in cui è presente), bisogna considerare le voci di operatori turistici e normali cittadini (nonché elettori) che contano molto, soprattutto se hanno eco nella stampa locale.
Mi è capitato di leggere rapporti di enti simili alla nostra Corte dei conti di USA, Australia, Nuova Zelanda e altri Paesi dove si metteva in dubbio l’efficacia della spesa in promozione turistica. Questo perché non sempre la spesa in marketing communication si trasforma in un incremento di visitatori nel breve termine. Diversi anni fa vidi un servizio sulla Patagonia, e da allora è il mio viaggio dei sogni. A volte mi capita di vedere qualche pubblicità che mi rinfresca questa memoria. Il viaggio non l’ho ancora fatto, ma il marketing ha funzionato benissimo. La comunicazione serve a questo: a conquistare e mantenere un posto nelle prime file della mente dei consumatori.
Per spiegare questo semplice concetto, come funziona la comunicazione e come misurare il successo di una campagna è però necessario molto più spazio di un paragrafo. Tanto che si tratta di questioni dibattute anche in grandi aziende che spendono decine e centinaia di milioni di euro o dollari in comunicazione. Il rapporto conflittuale tra responsabili finanza e marketing è noto.
Se nelle imprese il CFO tende a considerare il marketing come un costo immediato da giustificare nel bilancio (perché così è in tutti gli standard di contabilità), nel marketing territoriale ci troviamo di fronte a una molteplicità di policy makers – politici, amministratori pubblici, responsabili dei fondi, comitati di sorveglianza – che possono avere una visione diversa su cosa significhi “costo” o “investimento” per la promozione di una destinazione. Pertanto, il dibattito risultati di breve termine vs risultati di medio-lungo termine, campagne activation vs brand building già difficile in una impresa privata, diventa “spossante” nel marketing di destinazione.
Non solo. Se è vero che per molti professionisti del marketing e del turismo, la promozione di una destinazione è chiaramente un investimento a lungo termine, non è detto che si sia d’accordo su chi costruisce il “brand” e come lo si “costruisce”. Ad esempio, mi trovo in netta minoranza quando spiego che la DMO non costruisce un bel niente e al massimo, se lavora bene, può aiutare nella costruzione. E so di parlare arabo quando illustro il concetto di mental availability come quello più utile per pianificare e valutare campagne di brand building.
Dove voglio arrivare?
Nel marketing delle destinazioni turistiche, più che in altri contesti, non è sempre produttivo combattere sulla terminologia o imporre una visione unica. Invece, è più efficace avere voglia di imparare e di spiegare. È fondamentale cominciare ad uscire fuori dal gergo e dalle frasi fatte e spiegare in modo chiaro come e perché sostenere i costi di marketing per una destinazione possa concretizzarsi in ricadute tangibili per le imprese turistiche. Solo costruendo una narrazione che tenga conto delle diverse prospettive – dai benefici economici ai risultati tangibili e misurabili, nel breve come nel lungo termine – è possibile allineare gli interessi e ottenere il supporto di tutti o una parte gli attori coinvolti per il successo della destinazione.
Come si fa? Il primo e fondamentale passo è che gli operatori turistici chiedano più trasparenza nei processi decisionali e nella rendicontazione dei risultati. Il secondo, è tornare nei banchi, avere il gusto di imparare. Ho studiato marketing a metà degli anni 90. La maggior parte di quello che ho imparato è stata superata e sono sicuro che i pochi punti fermi di oggi, domani cominciano a vacillare.