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Prepararsi alla riconversione del turismo?

Negli ultimi anni, i flussi turistici hanno segnato una crescita costante e significativa, generando flussi economici sempre più rilevanti, condizione che, a propria volta, ha indotto un sempre maggior numero di operatori economici ad avviare attività nel settore.

Si parla, per esser chiari, di un giro d’affari che secondo l’Istat, nel 2024, si è attestato su una spesa diretta di 127 miliardi di euro. Un volume economico che corrisponde al 10,8% del Prodotto Interno Lordo Nazionale, e al 13% dell’occupazione.

Si tratta, a tutti gli effetti, di un’industria che, seppur regolata da dinamiche differenti da quelle che regolano altri settori, ha nel tempo assunto connotati sempre più delineati, sia in termini di funzionamento interno, sia in termini di intervento all’interno delle città.

Un’industria che, attraverso la dinamica della domanda e dell’offerta, ha iniziato pian piano a modificare anche le strutture urbane maggiormente interessate dai fenomeni turistici: dimensione immobiliare, commercio di prossimità, servizi, infrastrutture, casse comunali.

Un’industria il cui impatto, come dimostrato dalle restrizioni che sono state imposte per contrastare la diffusione del COVID, è tuttavia particolarmente esposta a cambiamenti esogeni, vale a dire ad eventi che, per qualsivoglia ragione, riguardano dimensioni su cui i singoli operatori dell’industria turistica non possono in alcun modo intervenire.

Quella del Covid è stata chiaramente una condizione-limite che ci si augura continui a mantenere la propria unicità all’interno della nostra storia. Al di là di tale dimensione estrema, però, sono numerosi i fattori che potrebbero influenzare negativamente la domanda turistica, con conseguenze che potrebbero essere davvero incresciose per il nostro Paese.

E non si tratta soltanto di “shock”, come quello che potrebbe essere rappresentato dall’acuirsi dei conflitti che, dal Mar Mediterraneo agli Urali stanno interessando i confini del nostro continente.

Anche il progressivo inasprimento dei cittadini nei confronti dell’overtourism può segnare una tendenziale riduzione degli arrivi. Così come l’affermazione di nuove destinazioni sullo scenario globale, azione su cui ad esempio gli Emirati Arabi stanno investendo non poche risorse economiche e finanziarie.

Elementi a cui si aggiunge, infine, quella consapevolezza storica che in fondo ci racconta che in fondo sono pochissime le dimensioni umane che hanno conosciuto un trend sempre crescente nel tempo, e che quindi è molto più probabile che si assista ad oscillazioni, anche importanti nell’analisi di un fenomeno.

L’ipotesi che i flussi turistici possano subire delle battute d’arresto è quindi quantomeno possibile. Si tratterebbe, in fondo, di un andamento naturale, soprattutto a seguito di anni in cui il fenomeno turistico è stato anche favorito dalla presenza di eventi straordinari, non ultimo il Giubileo del 2025.

Se tale ipotesi è possibile, allora è importante anche considerare quali effetti potrebbe avere sulla struttura della nostra economia, perché è bene ricordare che la struttura dell’offerta turistica è strutturalmente meno reattiva della domanda. Anche la cosiddetta offerta non alberghiera, come quella delle case vacanza, è regolata da contratti pluriennali, che possono sicuramente essere disdetti, ma di certo non possono essere annullati con la stessa rapidità con cui le persone possono scegliere di visitare la Grecia o l’Olanda, o il Giappone, piuttosto che l’Italia.

Ma pur intervenendo sulla dinamicità dei contratti (sia quelli di affitto che quelli occupazionali), il problema sarebbe tutt’altro che risolto. Perché l’immobile vuoto dovrebbe poi essere riconvertito, così come il negozio di souvenir e i suoi dipendenti, o il lavoratore stagionale che, a fronte di un calo dei turisti, dovrebbe trovare un’altra occupazione.

Si tratta di condizioni che potrebbero generare un impatto economico e sociale molto importante per il nostro Paese, e quanto più la filiera turistica cresce, tanto più significativi potrebbero essere anche le ripercussioni intersettoriali.

Un insieme di evidenze a partire dalle quali sarebbe forse giusto iniziare ad immaginare una strategia di riconversione dell’industria turistica nel caso in cui tale industria dovesse conoscere dei cali strutturali dovuti a ragioni non direttamente collegate alla qualità della nostra offerta.

Una strategia, quindi, che limitasse al minimo i danni, e che consentisse alle città di potersi adattare in modo dinamico alle nuove condizioni.

Certo, ipotizzare una strategia che tenga conto di ogni possibile scenario è impossibile. È però vero che pur essendo potenzialmente infinite le ragioni che potrebbero causare un calo turistico, meno numerose sarebbero le conseguenze. In altri termini, differenti eventi potrebbero generare effetti simili, e questo potrebbe aiutare a definire degli scenari credibili e soprattutto utili.

Linee di intervento che, a fronte di un evento avverso, potrebbero indirizzare le reazioni spontanee verso direttrici considerate auspicabili in una logica di medio e lungo periodo. Anche in termini di scelte politiche.

Se crollano gli affitti brevi, per intervento legislativo o per mancanza di turisti, è preferibile favorire l’insediamento di famiglie all’interno degli immobili ormai sfitti, o è preferibile destinare tali alloggi a studenti fuori sede? Se chiude una struttura alberghiera è preferibile riconvertire tale edificio in una residenza per anziani o ad una struttura per disabili? Social Housing o immigrati? Se chiude un negozio in centro, è auspicabile che apra un negozio internazionale o un negozio di alimentari?

Quello che il nostro Paese può fare è segnare delle linee, e favorire poi l’applicazione di tali linee attraverso strumenti di incentivi diretti o indiretti, stimolando quindi gli operatori privati ad adeguarsi a tali logiche. Di fronte a tali condizioni, il privato avrà poi la possibilità di definire la propria scelta in totale autonomia, valutandone autonomamente i pro e i contro.

Definire quindi 7

Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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