Il futuro del turismo balneare tra nuove stagioni, generazioni e scenari globali.
Un tuffo nella storia: da privilegio d’élite a fenomeno di massa
Il turismo balneare ha una storia affascinante e profondamente legata all’evoluzione socio-culturale dell’Europa. Nato come privilegio aristocratico nel XIX secolo, il viaggio verso il mare era inizialmente riservato alle classi alte inglesi e francesi, attratte dalle proprietà curative delle acque marine. Località come Brighton, Biarritz e San Sebastián fiorirono sotto l’egida di regine, nobili e poeti.
Nel secondo dopoguerra, con l’aumento del benessere economico e l’introduzione delle ferie pagate, il turismo balneare si trasformò radicalmente: le coste del Mediterraneo divennero l’emblema del turismo di massa. Italia, Francia, Spagna e Grecia cominciarono ad accogliere milioni di turisti europei, creando un modello culturale e imprenditoriale ancora oggi dominante.
Il ritorno del turismo costiero ai livelli pre-Covid (e oltre)
Dopo il tracollo dovuto alla pandemia, il turismo balneare europeo non solo si è ripreso, ma ha superato i livelli pre-2019. Basti pensare che nel 2022 il valore aggiunto lordo (GVA) del settore ha raggiunto gli 82 miliardi di euro, con un balzo del 62% rispetto al 2021, superando di slancio il picco del 2019.
Un risultato trainato soprattutto dalle destinazioni costiere, che continuano a rappresentare la spina dorsale della Blue Economy dell’Unione Europea: da sole generano oltre il 30% del valore del comparto e impiegano più della metà della forza lavoro totale. Una progressione che conferma l’attrattività del mare come asset economico, sociale e culturale, anche in un contesto di forte ricalibratura delle abitudini turistiche.
Il paradosso del mare: alta manovalanza in un settore che punta in alto
Ma se il valore cresce, la qualità del lavoro tiene il passo? Purtroppo no. Nonostante l’aumento della domanda e l’indotto economico che ne consegue, il turismo balneare resta un comparto ad alta intensità di manodopera e bassa qualificazione, con ruoli stagionali, turni estenuanti e salari spesso al minimo sindacale. Il cuore operativo delle spiagge italiane (e non solo) è ancora oggi composto da lavoratori poco formati, sottopagati e scarsamente valorizzati, in particolare nelle attività di somministrazione, pulizie, assistenza bagnanti e servizi accessori.
A differenza di altri settori turistici dove si è investito in digitalizzazione, formazione e welfare aziendale, il balneare continua a replicare un modello labour-intensive, incapace di attrarre nuove generazioni o di offrire percorsi di carriera strutturati. Il rischio? Che anche i business più redditizi si trasformino in ecosistemi fragili, incapaci di garantire continuità e qualità nel tempo. È tempo, insomma, che il settore faccia un salto culturale oltre che economico.
La domanda
La domanda di sole e mare è particolarmente forte nei paesi dell’Europa orientale (Slovenia, Croazia, Grecia), ma i mercati più rilevanti in termini di spesa e volumi, nonostante le criticità socio-economiche dei singoli paesi, restano Germania, Francia e Regno Unito. Gli italiani, pur mostrando una predilezione per il mare, restano penalizzati da un reddito disponibile inferiore e da una produttività stagnante: due fattori che limitano la crescita del turismo domestico, soprattutto se confrontato con le economie più forti del continente.
Secondo Eurostat, il budget medio delle vacanze dei turisti italiani è di circa 1.377 euro, contro i 1.522 dei francesi e i 1.583 dei tedeschi. A fronte di una concorrenza internazionale sempre più agguerrita, la sfida è intercettare queste fasce con offerte ben profilate, digitalizzate e scalabili.
Giovani, clima e nuove priorità
La Gen Z e i Millennials approcciano il turismo balneare con occhi diversi rispetto alle generazioni precedenti. Il mare non è più (solo) sinonimo di relax, ma di experience: sport acquatici, eventi musicali, ospitalità eco-consapevole, digital detox e itinerari alternativi sono oggi fondamentali nella scelta della destinazione. Il mare piace ancora, ma deve parlare il linguaggio della personalizzazione e dei valori.
In parallelo, cresce la preoccupazione legata al climate change: le temperature estive troppo elevate spingono sempre più turisti verso mete meno affollate e più temperate – Irlanda, Danimarca, Repubblica Ceca, Bulgaria. Le vacanze al mare restano centrali, ma la stagione estiva potrebbe non essere più il fulcro unico della domanda. Le località costiere intelligenti si stanno già attrezzando per promuovere la primavera e l’autunno, puntando anche sul remote working come leva destagionalizzante.
Il mercato italiano: tra nostalgia e innovazione
In Italia, il turismo balneare ha ancora un peso fondamentale. Regioni come Puglia, Sicilia, Sardegna, Emilia-Romagna e Liguria continuano ad attrarre milioni di turisti ogni estate. Tuttavia, l’offerta resta in molti casi poco innovativa e scarsamente digitalizzata, con strutture balneari che non riescono a rispondere alla domanda di servizi personalizzati, esperienziali e sostenibili.
La Liguria, ad esempio, continua a puntare sul villeggiante storico, ma potrebbe aprirsi a un pubblico più internazionale. La sfida per le destinazioni italiane è integrare meglio la promozione territoriale con la gestione degli stabilimenti balneari, investendo in tecnologie, accessibilità, cross-selling e up-selling.
Nel 2025, la sfida non è solo attirare turisti. È gestire flussi e redditività. Il settore delle spiagge può (e deve) evolvere e diventare la porta di ingresso per esperienze complesse e memorabili.
Un esempio virtuoso è l’integrazione tra stabilimenti e territorio: il mare diventa solo il punto di partenza per un racconto che coinvolge colline, borghi, arte, vini, cammini. La spiaggia come hub, non come fine.
Dall’alta stagione all’alta strategia
Se l’estate perde centralità, il futuro del turismo balneare sarà sempre più legato alla capacità di creare prodotti flessibili, orientati al valore e in grado di parlare a pubblici diversi. Non si tratta solo di difendere una tradizione, ma di trasformarla in un sistema dinamico, pronto a rispondere a nuovi bisogni e nuove sensibilità.
Il turismo balneare italiano ha bisogno di ripensarsi: non solo come immagine, ma come modello economico quindi. Serve una narrazione più matura, più sostenibile, più vicina ai desideri (e ai limiti) del presente. Il futuro non sarà fatto di file di ombrelloni e parcheggi pieni ad agosto, ma di luoghi capaci di accogliere con intelligenza tutto l’anno. Anche d’inverno, come una volta.
La Riviera del futuro non sarà solo un luogo dove stendere un asciugamano. Sarà uno spazio connesso, fluido, accogliente e autentico. Dove il mare non è una cartolina, ma un ecosistema da vivere, proteggere e raccontare.