Un’intima staffetta sta percorrendo la blogosfera, il testimone se lo sono passato Roberta Milano e Tommaso Sorchiotti. La prima, lo sapete è la mia prof ganziale preferita che, quando non snocciola numeri e non tira le orecchie a qualche cecchino miope, ci regala post che definire intensi è poco. Ne è un esempio proprio quello dell’intima socialità. Il secondo è Tommaso Sorchiotti, che ha ripreso e espanso il pensiero di Roberta. Il secondo non lo conosco personalmente, ho di recente letto (con imperdonabile ritardo, ma c’è sempre tempo per rimettersi in pari) il libro “Come si fa un blog 2.0“, a parte il fatto che ho capito che non si fa come il mio, devo dire che è stata una lettura interessante. Ma ritorniamo al motivo di questo post. Questa staffetta di due post è in sostanza la spiegazione di un evolversi dei media sociali. Come nella vita di tutti i giorni ognuno sta creandosi i suoi spazi vitali (anche in rete) condividendo in vari luoghi con varie intimità. Forse stiamo arrivando a non disturbare tutti per dire poco. Cerchiamo intensità e intimità diverse perché tutto non va bene con tutti. Per esempio Instagram, anche per me, è uno strumento per condividere uno scatto, una emozione al massimo, forse non tutti i gironi e poter scegliere su quale social lo vuoi postare è un bivio di sensazioni e scelte oltre che di rispetto per gli altri. Ho tre/quattro contatti su Instagram e li difendo, unici e intensi, solo loro.
Ho passeggiato su altri luoghi, tanti li ritengono raffinati luoghi di riflessione: ho visto cazzottate da scaricatori di porto, donne che con una mossa d’anca sbirillano chiunque con una veemenza da littorine delle FS, fa vintage ma non credo che debba funzionare così. In certi casi è bene limitarsi a guardare da fuori, basta e avanza guardarli come le luci nelle case degli altri.