Che rabbia, ho speso diversi post per teorizzare la “Sindrome dell’assessore” poi arriva Miriam Bertoli e sintetizza in pochissime parole il concetto
“Il mondo ci ama e noi rispondiamo a portali”
Il contesto è quello della conferenza Facebook F8 2015, dove Mark Zuckerberg ha più volte citato l’Italia come paese stupendo. Qua il resoconto di Roberta Milano sul suo blog.
Mi tornano in mente anche le parole di Antonio Pezzano al recente BMO15 quando ci si rendeva conto di quanto l’Italia fosse “intermediata” e che, in sostanza, risulta sempre più importante riequilibrare gli investimenti nazionali tra promozione e distribuzione.
Zuckerberg dimostra che l’Italia è storicamente promossa (abbiamo avuto una fortuna pazzesca) da tutti, in tutto il mondo. Indipendentemente da come si muove il Brand Index, alcune eccellenze italiane vengono percepite come costanti nel tempo, restiamo la meta turistica più sognata in tutto il mondo.
E allora perché in Italia si investono tonnellate di euro in promozione e realizziamo poco nella distribuzione?
Provate a contare quante strutture dal nome “[pincopallo] promotion” esistono in Italia.
In italia fa promozione il Ministero, l’Enit, la Regione, fino a poco tempo fa la Provincia, il comune, il consorzio, il Gal, l’associazione di categoria, la Pro Loco. Si inanellano fallimenti (non ultimo VeryBello che, tra parentesi è costato poco ma vedrete che le operazioni di promozione che gli verranno dedicate arriveranno alla cifra che qualcuno indicò come strafalcione) uno dietro all’altro, campagne pay per click sui social, portali come fosse rena, e quando si mette mano alla distribuzione arriva, come sempre, l’ennesimo portale con il booking online del consorzio che non parla con alcun channel manager in commercio.
Perché dunque, in Italia, si promuove così tanto e si distribuisce così poco e male?
Forse una spiegazione c’è. Chi promuove non lo fa con soldi propri ma amministra soldi che spesso originano da tasse (quella di soggiorno o di sbarco per intenderci). L’Italia, anche negli anni di crisi, è una meta che tira e quindi un qualche flusso seppur limato dalle contingenze arriverà sempre. Le statistiche almeno un dato da cavalcare interpretandolo positivamente lo regalano sempre. Le campagne sui social qualche fan lo portano sempre (salvo scoprire che la maggior fetta di audience di una pagina di una destinazione italiana è seguita da quattordicenni polacchi). L’effettivo engagement chi vuoi che lo vada a controllare?
La distribuzione, a differenza della promozione, è una scienza esatta. Non si scappa, le transazioni, gli scontrini, le carte di credito, il ricavo medio sono dati certi dai quali non si può fuggire.
Mentre gli arrivi aumentano, le presenze calano, e le medie son sempre ballerine. Le vendite sono tracciabilissime e restituiscono il valore di chi ha operato per realizzarle in modo inequivocabile.
Sarà per questo che tutti vogliono promuovere e nessuno distribuisce?
Prenderà un po’ di sconforto agli innumerevoli assessori “promotori” italiani pensando a quanto hanno speso per avere riscontri infinitesimali rispetto al ritorno dei selfie “gratuiti” di Katy Perry e Will Smith oppure alla performance di Zuckerberg?
“Lasciate fare quello che ai vostri clienti riesce meglio: chiacchierare” cit.
Intanto, mentre Franceschini lancia Verybello e la Barracciu litiga con Gassmann, c’è da sperare che Google (forse), Amazon, Facebook e altri entrino nella distribuzione, solo loro possono creare il terreno della concorrenza sana che potrebbe far scendere verso il basso i tassi commissionali di Expedia e Priceline. E pensare che Venere, come dice sempre una persona a me molto cara, era italiana…
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