Nel turismo c’è qualcosa che non quadra
Quando parliamo di turismo in Italia i dati non quadrano, in particolare quando si parla di presenze e posti di lavoro. La Fipe nel suo comunicato sostiene che “i turisti stranieri in Italia spendono 8,4 miliardi in bar e ristoranti nel 2015″ il 5% in più rispetto al 2014. Addirittura, prosegue nel suo comunicato mettendo in evidenza che “Anche tra le imprese c’è maggiore fiducia nel futuro; nel terzo trimestre di quest’anno il sentimento è tornato ai livelli del 2007″.
Nel recente convegno nazionale Fiepet a Cesena la relazione dell’Ufficio economico Confesercenti annunciava che “nel secondo trimestre 2015 tornano ad aumentare le imprese della somministrazione; tra aprile e giugno la variazione è positiva per il 2%, con una crescita più veloce della ristorazione (3%) rispetto ai bar (0,7%)” prosegue lo studio notando che “i consumi totali crescono tra lo 0,2 e lo 0,5%, cresce il clima di fiducia.”
Anche Federalberghi con il suo Barometro del Turismo evidenzia: “+3,2% pernottamenti alberghieri da gennaio a settembre, +3,8% il saldo attivo delle spese per turismo di italiani e stranieri a luglio (rispetto al luglio 2014), +4,5% visitatori di musei, momumenti ed aree archeologiche da gennaio ad agosto”
Dunque va tutto bene? Siamo in ripresa? E no, siamo un po’ come nei film della seconda guerra mondiale, alla fine del primo tempo i tedeschi sembrano sempre in gran forma, ma dalla seconda metà del secondo tempo inizia l’inesorabile declino.
Sono le chiusure dei vari comunicati, infatti, che mi creano qualche dubbio. Dice la Fipe: “non tutto però va a gonfie vele” e poi continua “Questo si traduce in un numero molto elevato di chiusure: tra gennaio e settembre del 2015 sono state aperte quasi 13.000 imprese mentre ben 20.000 sono quelle che hanno chiuso i battenti: un saldo negativo di 7.000 imprese“.
Lo studio della Confesercenti a Cesena evidenzia nel finale che: “I pubblici esercizi presentano un tasso di tournover più elevato sia rispetto al totale e che al commercio al dettaglio. Più della metà delle imprese iscritte nel 2010 ha cessato la propria attività nel I semestre 2014“.
Se poi approfondite il Barometro di Federalberghi noterete che: “da una parte le presenze in albergo sono aumentate del 3,6% dall’altra, nel settore alberghi ed esercizi complementari – secondo Infocamere-Unioncamere il saldo imprese iscritte-cessate, al lordo delle cancellazioni d’ufficio, è pari a -345 imprese; nello stesso periodo gli occupati in albergo sono scesi dell’1,3%“. Tra l’altro il calo dei dipendenti si registra nel periodo gennaio-settembre – in pratica quello del cosiddetto boom estivo – e per giunta in controtendenza con il job acts si nota un calo del tempo indeterminato (-1,9%) più elevato di quello a tempo determinato (-0,6%).
Ditemi che lavoro è il lavoro che non crea posti di lavoro?
Mentre Renzi annuncia un eccezionale clima di fiducia, quello del turismo è in grande declino dopo l’euforia di agosto, periodo nel quale – quello ferragostano – i destination manager annunciavano esterrefatti che in agosto il “mare Italia è di gran moda” intramezzando i loro annunci con il nunzio vobis gaudium magnum “tutto esaurito dal 14 al 16 agosto” – #sticazzi n.d.r.
Chi è che debilita il circolo virtuoso (non sempre per la verità) dell’italico turismo? Un po’ il critico rapporto con le OTA, mentre diminuisce la fiducia in Italia, in USA Expedia e Booking viaggiano in borsa ai massimi storici e Tripadvisor, anche se penalizzato da alcuni analisti, sta recuperando il terreno perso dopo l’ultima trimestrale con utili in calo.
Mentre in Europa, lo ripeto, ci si balocca con le lotte sull’inutile polemica della parità tariffaria (nonostante la sconfitta le quotazioni dei titoli delle OTA continuano a volare) e adesso si blindano le regole sui pacchetti acquistati online, la sola sharing economy del food sposta in italia 7,2 milioni di euro (2014) con 37 mila eventi social eating, 7.000 cuochi attivi che spuntano da ogni parte. Lo studio Cst per Fiepet Confesercenti posiziona in Lombardia (16,9%) Lazio (13,3%) e Piemonte (11,8%) le regioni in cui il fenomeno è più diffuso. Nel mentre, a San Francisco, Airbnb annuncia il lancio dei pacchetti tutto compreso – in Europa si sta cercando di normarli adesso. “Il portale home sharing starebbe testando ‘Journeys’, una piattaforma attraverso cui si possono prenotare viaggi dai 3 ai 5 giorni a San Francisco. Si tratta di pacchetti all inclusive, con sistemazione, ovviamente, pasti escursioni e trasporti“. E’ meraviglioso scoprire che Airbnb o qualsiasi operatore mondiale potrebbe organizzare un pacchetto turistico a Canicattì, mentre l’albergatore di Canicattì non ne avrebbe titolo alcuno.
Sono dunque i lavori sempre più precari quelli che prendono piede nel turismo? Chiudono le aziende di ristorazione e fioriscono i cuochi del social eating, chiudono gli alberghi e aumentano gli appartamenti in affitto, diminuiscono i dipendenti delle strutture regolarmente registrati ma aumenta forte la domanda di turismo con aziende che, per restare competitive, terziarizzano parte della produzione a organizzazioni che accettano condizioni di precarietà spinta quando va bene e abusivismo totale quando va male.
Un settore che si sostiene nella precarietà, nell’approssimazione e che all’aumentare della domanda reagisce con il calo dell’occupazione, anche quando i fatturati aumentano potrebbe far pensare ad una accresciuta efficienza del sistema produttivo ma, se siete un po’ dentro a questo mestiere, sapete che non è così. Un settore che da sempre gioca nell’equivoco sottile tra sharing e shadow economy non sta per niente bene.
Stiamo precarizzando questo lavoro per restare competitivi e raschiamo il costo del lavoro e le professionalità interne alle aziende per far fronte a mille carenze. Per semplicità elenco quelle evidenziate dagli operatori intervistati dalla Fiepet: pressione fiscale, costi elevati, complessità burocratica, concorrenza di attività non regolari, scarsa domanda. Direte voi che è facile dare la colpa a chi decide la fiscalità e dimentica le infrastrutture ma, se siete italiani, sapete bene che è così.
Ecco, se non capisco il nesso tra gioia turistica e posti di lavoro e aziende create o chiuse, abbiate la pazienza di spiegarmelo e di non catalogarmi tra i gufi.
Poi ci sarebbe da capire come reagisce il turismo italiano al flop di Amazon nel travel, a Ryanair che apre un portale che venderà tutti i prodotti del turismo, all’istant booking di Tripadvisor, Google e Trivago, ai metamotori ai canali distributivi che si stanno appiattendo sulle basse marginalità, ma queste sono altre storie, o forse no.
Immagine di copertina MaxPixel (1)
La parola d’ordine è approssimazione. Il punto è che tutti (o quasi) gli attori dello scenario descritto sono dei dilettanti. Dai destination manager a chi si organizza per portare a casa la pagnotta con la sharing economy. E, quando non sono dilettanti, si muovono comunque come cani sciolti, come non facenti parte di un sistema (ma è poi possibile arginarli?). In parte è il frutto della cultura dell’improvvisazione, del #tuttosipuòfare, delle professionalità da talent show. Oggi faccio lo chef, domani vendo camere, dopodomani canto ai matrimoni, tra una settimana sono ministro. Esagerata accessibilità a qualunque strumento senza le dovute basi culturali. Quando basterebbe parlare con dieci albergatori o con le pro-loco che organizzano la festa della ciaccia fritta, per capire che c’è poco da gioire.
L’analisi della situazione così descritta dice una sola cosa, secondo me: il mercato turistico (dell’imprenditoria o del lavoro, vedi te) va a trovare spazio dove non ci sono regole o imposizioni, perché laddove sono pesanti e costose (prendiamo ad esempio l’Italia?), lo sono a tal punto da essere difficilmente convenienti e sostenibili.