Pietrarsa, piano strategico del turismo 2016
Con il bel discorso di Matteo Renzi si è conclusa la tre giorni di Pietrarsa, una delle tappe per arrivare alla formulazione del Piano Strategico per il Turismo.
Ho già spiegato che il valore del Piano non è tanto nei suoi contenuti e nelle decisioni che scaturiranno, quanto nel confronto che è alla base del processo di “pianificazione”. Pietrarsa è stata, prima ancora delle presentazioni di Ministri e speaker, una grande occasione di confronto vero tra tante persone che fanno un lavoro pazzesco per il turismo italiano. A Pietrarsa erano assenti tante persone che hanno molto da dire e ci sono stati anche discorsi e presentazioni poco “inspiring” e inutili. Tuttavia, per una volta è giusto sottolineare un risultato per nulla scontato condiviso da tanti partecipanti all’evento: la sensazione che non sia stata una perdita di tempo. E, credetemi, non è facile organizzare con i vincoli e i rituali propri della pubblica amministrazione eventi che ricorderemo come utili e speriamo, l’inizio di una nuova era. Grazie a chi ci ha provato e ci è riuscito.
Il grande equivoco è nello slogan del Piano Italia paese per viaggiatori. Non mi riferisco alla consueta querelle turisti-viaggiatori, quanto al messaggio sotteso e cioè che ci sia un pianificatore capace di scegliere quale sia la domanda turistica adatta all’Italia. È l’equivoco dello stato interventista ed imprenditore. È vero che l’economia turistica dipende più di altre dall’intervento dello Stato; la tutela del paesaggio, la sicurezza, le infrastrutture sono esempi di beni che solo lo Stato può fornire. Tuttavia, ci sono altri ambiti dove la discrezionalità dell’intervento dello Stato andrebbe abrogata o quanto meno rivista. Prendiamo lo storytelling e l’innovazione tanto care al Premier. Fino a che punto l’ingresso alla professione di guida turistica regolata per legge è una garanzia di qualità del servizio? Davvero una preparazione in storia dell’arte verificata da un esame è il miglior modo per scremare innovatori del racconto dei nostri beni culturali? E che dire delle leggi su sicurezza e dintorni che costano alcune migliaia di euro alle imprese, una cifra che per quelle localizzate nei piccoli borghi cari al Ministro è spesso la differenza tra sperare o chiudere? E ancora, fino a che punto si favorisce l’incremento del turismo nelle località minori se lo sviluppo aereoportuale è stretto da un piano dove c’è spazio per tutti gli aeroporti e tasse per pagare contributi generosi agli ex dipendenti di Alitalia? Gli esempi potrebbero continuare. Per chi ha tempo e pazienza suggerisco la lettura di uno dei tanti post di Raffaello Zanini su urbanistica e turismo nella prospettiva di un rapporto più equilibrato tra stato interventista e libera iniziativa privata.
Insomma, se il Presidente del Consiglio ascoltasse di più le voci dal campo, si accorgerebbe di quanta competenza, ottimismo e capacità di storytelling è ricca l’Italia. E se il Ministro Franceschini parlasse con il mondo produttivo, capirebbe che più che un Paese per viaggatori, conviene avere paese bello per i turisti e per gli investitori.