La seconda domanda difficile a cui ho cercato di rispondere al GONG di BTO2017 è stata: fino a che punto si possono gestire le destinazioni turistiche?
Negli ultimi anni l’acronimo DMO è entrato nel lessico comune. M non sta per marketing, ma per Management, cioè quello che in italiano chiamiamo gestione/organizzazione. La dizione è una formulazione teorica, difficilmente praticabile. Quanti uffici turistici di vostra conoscenza hanno risorse economiche, competenze e controllo (diritto, possesso) di piazze, musei, fiumi, piste da sci, spiagge e di tutto il patrimonio pubblico su cui si fonda l’esperienza turistica? Risposta esatta, nessuna. Quindi, management di cosa? Cerco di rispondere a questa domanda.
Nel mondo reale la maggior parte delle DMO riesce a stento a gestire un solo elemento delle 4 P del marketing mix e questa è la promozione. Lo sviluppo del prodotto, i prezzi e la distribuzione sono generalmente controllati e gestiti da operatori pubblici e privati che, contrariamente a quanto auspicato, non sempre hanno interesse a stare insieme, cioè a fare sistema. Non si tratta di competizione, ma di legittime diversità di vedute nel leggere il mercato e il business. Mi spiego meglio. Supponiamo di mettere un chip sotto la pelle di un turista diverso da quello che si chiude in un resort o in una piccola località di villeggiatura. Alla fine della sua vacanza elaboriamo e mappiamo i dati sui suoi spostamenti e i suoi comportamenti. Non stiamo parlando di fantascienza, ma di dati realmente esistenti e depositati nei server di Facebook, Tripadvisor, noleggiatori di auto, circuiti di carte di credito, gestori di servizi di telefonia mobile, sviluppatori di apps, gestori di card turistiche, ecc. Se questi dati si mettono insieme possono portare a risultati, tutto sommato, intuibili ma di cui si fatica a comprendere le implicazioni. A Firenze lo hanno fatto aggregando i dati telefonici e della locale card turistica. Uno dei risultati è la mappa che potete vedere qui sotto.
Cosa ci dice questa mappa? Una cosa semplice che tutti sappiamo, ma spesso dimentichiamo. I turisti si muovono e disegnano itinerari che hanno un centro: i siti (se si muovono all’interno di una città) e le destinazioni più popolari (se consideriamo i movimenti in una regione o un paese). Su Airbnb – che ci tempesta con il moto travel like a local – la parola più utilizzata da host e fruitori è location (essere vicino al sito x, y…). E il sito a cui essere vicini è sempre un sito popolare. La prima scoperta (dell’acqua calda) è che i turisti (e i viaggiatori) disegnano itinerari che hanno due perni: il letto dove dormono e il sito che visitano. Ma non è solo questo. Il telefonino, le carte di credito e il contante (se potesse parlare) ci raccontano una storia molto interessante: i turisti non disegnano solo itinerari, ma reti di servizi, reti di informazioni (che prendono e che lasciano), reti di persone. Ora, se si sovrappongono queste reti, si vede che anche nella singola città non esiste quasi mai un prodotto turistico in cui tutti gli operatori hanno interesse a condividere strategia di promozione e distribuzione. Un piccolo hotel ha uno scarso interesse a promuoversi attivamente in progetti di attrazione di grandi convegni. Anche in questo caso non stiamo reinventando la ruota. Stiamo solo raccontando la realtà. Esistono già progetti come i club di prodotto, gruppi di promozione, consorzi, reti di imprese e progetti di promozione modellati su mercati e prodotti specifici. Qual è la morale? Soggetti indipendenti che hanno interessi diversi non sono gestibili, sono forse coordinabili ma solo se si parte dai loro “veri” interessi. Cosa intendo per “veri”?
Prendete il caso del recente matrimonio alla Reggia di Caserta. Un’operazione smart e al passo con i tempi. Si ottengono soldi privati per finanziare conservazione e valorizzazione del sito concedendolo dietro stretta osservanza di alcune regole per preservarne l’integrità. Eppure, per una buona parte degli italiani, si tratta di un’operazione di mercificazione. Sono gli stessi italiani che guardano con sospetto all’incremento dei visitatori nei siti culturali e nelle città d’arte. Dove voglio arrivare? Finché si tratta con le imprese, l’interesse è una variabile che ha un perimetro chiaro: il bilancio delle stesse. Se entrano in gioco beni pubblici, allora capire quale sia il vero interesse, cosa sia giusto o sbagliato e chi comanda non è poi cosi semplice. Si da il caso che se mettiamo una clessidra a misurare il valore dell’esperienza turistica in tempo, scopriamo che ne spendiamo tanto camminando o ammirando beni pubblici.
Come ho detto a Firenze fare sistema sempre e comunque è una cazzata. Oltre ad essere una frase fatta, omette di considerare una realtà di interessi economici e strategici non sempre coincidenti tra i vari attori del sistema. Molto più logico e produttivo fare sistemi. In termini molto più pratici. La DMO istituzionale che fa tutto per tutti è preistoria.
Per chi è interessato ad approfondire il tema del destination management attraverso la lettura delle teorie dei network geografici, rimando a queste due letture.
Lew, A., & McKercher, B. (2006). Modeling tourist movements: A local destination analysis. Annals of tourism research, 33(2), 403-423.
Beritelli, P., Reinhold, S., Laesser, C., & Bieger, T. (2015). The St. Gallen model for destination management (p. 200). IMP-HSG.
Immagine Virtual Shanghai (1)