Narrowcasting vs broadcasting.
A quasi due mesi di distanza da BTO 2017, in questo post, propongo l’ultima delle domande difficili del destination manager: broadcasting o narrowcasting? Cominciamo con questo brevissimo filmato.
Molti di voi ricorderanno questa scena del film cult Sideways. Il protagonista è un amante ed esperto di vino che odia il Merlot e ama il Pinot Nero. I suoi gusti non sono rimasti confinati al cinema ma hanno avuto effetti sulle vendite (globali) dei vini dei due vitigni.
Questo fenomeno è stato oggetto di molti studi che, fra tanti distinguo, arrivano ad un conclusione comune: per alcuni anni il consumo di Merlot è diminuito, mentre quello di Pinot Nero è aumentato. La potenza emulativa e persuasiva delle immagini cinematografiche sono note. Meno noto è – in questo caso – il meccanismo alla base di questo effetto. Lo spiego con una confessione. Per un periodo non ho comprato e ordinato Merlot (dopo aver visto il film) perché temevo di essere preso in castagna dai miei ospiti e commensali.
A parte la mia ignoranza sul tema (mi piace bere del buon vino, ma mi fermo lì), il mio comportamento si spiega con una logica (di comunicazione) molto banale. Proprio per il fatto che il film è uno strumento di comunicazione di massa di cui tutti sono consapevoli (ho assunto che i miei commensali/ospiti l’avessero visto), ho ritenuto che il mondo avesse recepito un messaggio: è sfigato bere Merlot. Detta in modo più raffinato, l’acquisto di una bottiglia di vino per una cena (o la la sua scelta al ristorante) è in cima alla piramide di Maslow. Con quell’ acquisto intendiamo mandare un segnale a chi cena con noi su chi siamo, cosa vorremmo essere e a che ambiente vorremmo appartenere.
Ora, supponiamo che la stessa scena fosse stata diffusa su internet o su Facebook. Quante persone – non vedendola su altri mezzi di comunicazione di massa – avrebbero visto il video fino in fondo? E quante avrebbero fatto – inconsciamente – lo stesso ragionamento? Se il messaggio è molto “targetizzato”, per definizione sono in pochi a vederlo. E se io, anche inconsciamente, so che siamo stati in pochi a vederlo non mi pongo allo stesso modo il tema compro o non compro il Merlot. Dove voglio arrivare? Mi capita spesso sia alle conferenze, sia sul campo di ascoltare casi positivi e raccomandazioni sull’uso efficace nel marketing delle destinazioni di strumenti digitali basati sul targeting o sul programmatic. Il punto, come in tante altre cose, non è capire e dibattere se siano efficaci in se, ma se sono efficaci rispetto ai vostri obiettivi. Qual è l’obiettivo di marketing di destinazione? Posizionare o riposizionare la vostra destinazione? Farla diventare la top of mind rispetto a un tipo di viaggio? Oppure venderla a chi sta già cercando una destinazione simile? Se l’obiettivo ha a che fare con il rafforzamento del brand di destinazione, ci penserei due volte prima di impegnarmi in campagne di comunicazione che parlano a pochi. Se l’obiettivo è vendere, allora il targeting e il programmatic fanno a caso vostro, purché abbiate un prodotto, nel senso di qualcosa da vendere con un prezzo e un sistema di vendita e pagamento efficace.
Quando compriamo qualcosa (anche un viaggio) andiamo due volte al supermercato, talvolta contemporaneamente. Una prima volta con la mente. In questo caso le destinazioni, meglio i loro nomi e immagini, competono per essere negli scaffali (della mente) ben in vista appena cerchiamo una risposta ad un desiderio/esigenza che nasce in un preciso contesto (fare un viaggio con i bimbi, non è la stessa cosa che farlo in coppia, come andare a sciare non è la stessa cosa che andare al mare). La seconda volta quando andiamo su internet (o in agenzia) a scegliere e (molte volte) a comprare il viaggio che abbiamo già adocchiato al supermercato dei desideri. La comunicazione di massa costa tanto; ma è necessaria ed efficiente per fare diventare la vostra destinazione saliente in determinate scelte di viaggio. Il targeting è apparentemente più economico, ma può risultare meno efficiente se consideriamo il ritorno in termini di posizionamento.
Morale della favola. Non c’è nessuna strategia di comunicazione della destinazione turistica migliore di tutte le altre in assoluto. La realtà è fatta di obiettivi e vincoli. Una DMO che sa fare bene il proprio lavoro dovrebbe tenerne conto. Purtroppo, gli incentivi (anche politici) e le mode del momento sono ancora molto efficaci nell’influenzare le scelte.
Per chi intende approfondire questi temi, consiglio la lettura del breve articolo di Dave Trott che ha ispirato questo post
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