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Continuiamo il nostro viaggio di lunghe digressioni necessarie ad argomentare come misurare l’efficacia della promozione turistica gestita dalle DMO (o dagli enti nazionali del turismo, NTO). Nella prima (e lunga) digressione abbiamo visto che le decisioni da prendere prima di un viaggio sono tante. Una di queste riguarda la destinazione del viaggio. Abbiamo anche visto che il contesto decisionale (con chi andare in vacanza, dove si abita, reddito, eccetera) influenza in modo determinante questo tipo di decisioni. Inoltre, ho fatto notare che conta, e pure tanto, il tipo di viaggio. Ci sono viaggi in cui si decide senza pensarci su e viaggi dove si arriva alla decisione dopo settimane e mesi di approfondimenti. In ogni caso, chi decide non è sempre in grado di capire come si formano nella propria mente le informazioni, le immagini, le credenze e le valutazioni sulle destinazioni dove andare in vacanza. Ci sono informazioni e immagini (anche indotte da campagne promozionali) che si intrufolano nella nostra testa e creano delle memorie che possono essere determinanti nelle nostre scelte. Queste memorie, cosiddette implicite, difficilmente sono rilevabili dalle normali interviste. Infine, abbiamo visto che la pubblicità può formare e influenzare queste memorie. Teniamo da parte questi appunti e andiamo all’argomento di oggi.

Come facciamo a sapere che la pubblicità funziona? Cosa ci dice la letteratura scientifica?

Per rispondere devo necessariamente aprire un’altra digressione che comincia dai  single-source data. Si tratta di un metodo di misurazione in cui si osservano i comportamenti di due campioni (con le stesse caratteristiche) rappresentativi di un certo mercato geografico. Uno dei dei due campioni è esposto ad una campagna pubblicitaria di un certo brand su diversi media (on line e off-line). L’altro campione, detto di controllo, non è esposto. I comportamenti dei due campioni, sia sotto il profilo del consumo dei media, sia di acquisto della categoria di beni e servizi del brand, sono tenuti sotto osservazione per un periodo di tempo che va dalle poche settimane fino ad alcuni anni. Se il campione esposto alla pubblicità del brand X compra più quantità di quel brand rispetto al campione di controllo (non esposto), c’e’ una elevata probabilità che la differenza di comportamento, a parità di altre condizioni, sia dovuta all’efficacia della campagna pubblicitaria. Questo tipo di dati consente anche di comprendere con una certa precisione quali sono i media più efficaci tra quelli analizzati.

Sebbene molto costosi, i single-source data sono stati utilizzati in diversi paesi e  con molte tipologie di prodotti e servizi. I loro dati sono stati quindi aggregati in studi accademici al fine di evidenziare pattern di comportamento omogenei e generalizzabili per vari paesi e varie categorie di prodotti e servizi. Le conclusioni a cui si giunge sono state confermate anche con studi di tipo econometrico (VAR, test di casualità di Granger) molto meno costosi da condurre e quindi più frequenti.  Inoltre, negli ultimi anni, ci sono alcune competizioni internazionali, come l’ IPA Award, che hanno l’obiettivo di evidenziare, dopo attente analisi, le campagne pubblicitarie che si distinguono per la loro efficacia.

Gli studi di cui ho appena scritto ci dicono che non abbiamo una sola teoria per capire se e come funziona la promozione. Dobbiamo accettare che ci sono cose che ancora non sappiamo e cose che conosciamo in modo probabilistico. Gli stessi metodi statistici sono messi sempre in discussione e affinati con il passare del tempo. A questa incertezza generale, dobbiamo aggiungere le peculiarità del marketing territoriale. Purtroppo, nonostante le mie periodiche ricerche sul tema, non ho trovato studi specifici con queste caratteristiche sul marketing delle destinazioni. Pertanto quanto scrivo di seguito, sono generalizzazioni che, a mio avviso, non sono sempre applicabili tout court al nostro contesto. Tuttavia, a partire dalle intuizioni generali che finora la lettura scientifica ci suggerisce,  possiamo fare delle inferenze utilizzando il contesto decisionale e le tipologie di viaggio.

Come la promozione turistica influenza il fatturato di un brand?

Il fine ultimo del marketing (di cui la promozione è uno degli strumenti) è contribuire all’incremento del fatturato (e/o della quota di mercato) senza intaccare (o accrescendo) il profitto.  La promozione contribuisce alla crescita del fatturato in due modi. La prima, molto diretta – nel gergo  sales activation – è misurabile nel giro di pochi giorni o settimane. La seconda indiretta, detta brand building–  meno visibile e più difficile da misurare,  si apprezza nel medio-lungo termine (trimestre, semestre, se non anni). La promozione finalizzata alla sales activation si focalizza nel richiedere ai destinatari una risposta intermedia (call to action). Le campagne di sales activation, se fatte bene, hanno un effetto rilevante nel breve termine (aumento immediato delle vendite), ma contribuiscono poco al raffazzonamento del brand (sotto spiego cosa si intende). Il perno di queste campagne sono messaggi di offerte, promozioni, notizie, ecc. Si tratta di messaggi razionali indirizzati a chi sta per comprare e per natura destinati ad avere un effetto sulla memoria limitato nel tempo. Proprio per questo motivo,  questi messaggi non influenzano le decisioni nel lungo periodo.

Una lunga e necessaria digressione sul brand building

La promozione finalizzata al brand building intende creare familiarità (anche inconscia) e una buona predisposizione verso il brand.  Per comprendere meglio cosa intendo con familiarità è utile richiamare il lavoro di Byron Sharp, di cui ho parlato in molte altre occasioni.  Sharp invita i marketer a massimizzare la disponibilità fisica (distribuzione fisica e digitale) e la disponibilità mentale. Quest’ultima è definita come la capacità (di un brand) di farsi notare o venire in mente in situazioni di acquisto. Insomma, un brand è tanto più forte quanto meno fatica si fa a trovarlo fisicamente, digitalmente e mentalmente. Per spiegare la disponibilità mentale, Sharp usa il concetto delle strutture della memoria, cioè la raccolta di associazioni mentali  (immagini, informazioni, parole, luoghi, ecc.) connesse ad un brand. Queste associazioni sono sviluppate e aggiornate nel tempo attraverso l’esperienza e la comunicazione. Attenzione, la comunicazione non è solo e sempre  controllata dai brand. Più le strutture della memoria di un brand sono ampie (numero di associazioni), fresche (veloci da ricordare), coerenti (situazioni rilevanti) ed emozionalmente positive, più è probabile che il brand venga notato o pensato nelle situazioni di acquisto.

Considerati gli argomenti di cui sopra, non sorprende che la campagne di brand building di successo hanno alcune caratteristiche. Primo, il messaggio  solitamente è divertente, fa ridere o mette di buon umore. Queste emozioni rafforzano la capacità di creare e rinfrescare le strutture della memoria. Secondo, le campagne efficaci sono sempre broadcasted. L’efficacia della pubblicità, infatti, guadagna molto dall’essere un’esperienza condivisa e parte della cultura popolare. La sua influenza è molto maggiore quando chi la vede sa che anche la sua cerchia di amici lo ha fatto. Ciò non solo attiva il bias della prova sociale (faccio questo perché vedo molti altri che lo fanno), notoriamente molto efficace nell’influenzare i comportamenti, ma può anche portare un brand o un particolare spot a diventare parte della cultura popolare.  Tutto questo rafforza la disponibilità mentale. Per tutti questi motivi la distribuzione della promozione (attraverso media popolari ad elevato reach) e la creatività sono ingredienti indispensabili di una campagna di comunicazione che funziona per il brand building.

Un aspetto importante da evidenziare è, come ho già scritto, il brand building non è influenzato dalla sola promozione. L’esperienza, cioè l’uso dei prodotti e dei servizi, ha un ruolo determinante nel rafforzare la disponibilità mentale e l’atteggiamento positivo verso il brand.  È noto da tempo che il rapporto tra brand building e acquisto è circolare: il brand building alimenta le decisioni di acquisto, l’utilizzo alimenta il brand building.  Per questo motivo, anticipo fin da adesso due qualità chiave dei progetti di misurazione delle campagne. La prima è avere un dato di partenza (baseline). La seconda è considerare il dato in relazione alla posizione del brand nel mercato (penetrazione o quota di mercato): chi è market leader nelle vendite dovrebbe primeggiare anche nelle metriche dell’impatto delle campagne di brand building.

In conclusione, cosa ci dice la ricerca scientifica – so far – sul contributo della promozione al brand building? Primo, la creatività senza la distribuzione (del messaggio) non basta. Nel nostro settore, dove è prassi comune valutare le campagne di promozione secondo i propri canoni estetici, pochi considerano i numeri molto importanti sulla circolazione delle campagne. Secondo, gli effetti della comunicazione per il brand building sono sottili, si verificano nel tempo e sono difficili da misurare. Terzo, la comunicazione è molto efficace a rinfrescare le memorie esistenti (associazioni), ma molto debole a crearne di nuove. In altri termini, molto più facile sfruttare gli stereotipi positivi, che crearne di nuovi.  Quarto, la comunicazione può cambiare l’atteggiamento verso il brand (intenzione di acquisto, preferenza) ma è molto raro. Gli studi seri sul tema che hanno controllato gli effetti della comunicazione sul purchase intention, dopo un controllo sul baseline (dato di partenza e previe esperienze con il brand), hanno evidenziato cambiamenti molto limitati e circoscritti ad alcune categorie di prodotti. Come ho già scritto, si tratta di conclusioni probabilistiche. In altri termini, non sono leggi universali.

Con questo secondo post, spero di aver aggiunto altri strumenti concettuali per introdurre metodi e metriche per valutare l’efficacia delle campagne di promozione nel nostro settore. Dal prossimo post faremo sul serio e cominceremo a parlare di metriche e del loro (ahimé) uso distorto.

Photo by Tolga Kilinc on Unsplash

Antonio Pezzano

Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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