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Campagne: come misurarle?

Il post odierno parte da una constatazione. La valutazione dei risultati delle campagne di promozione delle destinazioni turistiche non è una priorità per le DMO (o NTO). Almeno fino ad ora. Qualcosa è cambiato negli ultimi quindici anni. A mio avviso per due motivi. Da una parte la necessità di giustificare le risorse pubbliche investite nelle campagne, dall’altra l’ampia disponibilità di dati dalle piattaforme digitali. Questi stessi motivi determinano due situazioni. In primo luogo, la maggior parte delle valutazioni (sia su commissione, sia indipendenti) riguardano paesi anglosassoni. In questi paesi è più sviluppato il concetto di accountabiity (in italiano non abbiamo un termine adatto per la traduzione letterale). Secondo, la valutazione è schiacciata sui conversion studies, cioè studi (in teoria) capaci di quantificare un investimento X per la promozione in un rendimento Y in termini di turisti in arrivo o spesa turistica. I modelli di attribution, popolarizzati nel marketing digitale, fanno parte di queste analisi.

I risultati in termini di conversion

La popolarità di questa tipologia di studi, anche prima dell’avvento della promozione attraverso i canali digitali, è dovuta in gran parte alla sua metodologia semplice, facile da implementare, (relativamente) poco costosa e con risultati facili da interpretare. La valutazione della promozione (non solo) turistica, non si esaurisce ai conversion studies. Prima di passare in breve rassegna gli altri metodi ritengo opportuno fare alcune precisazioni e fornire i punti cardinali della geografia della valutazione di efficacia della promozione turistica. Chi inTende valutare la performance delle campagne pubblicitarie deve sapere che i risultati di una campagna possono essere diversi e dipendere da molti fattori, non tutti controllabili dalle DMO (o NTO).

La qualità di esecuzione delle campagne

Cominciamo dalla qualità di esecuzione delle campagne, sicuramente influenzabile dalla DMO. Strategia (brand building vs sales activation), media planning, creatività sono gli ingredienti da considerare.  Gli enti del turismo, soprattutto i più quotati, riportano con orgoglio i dati sulle impression, sui visitatori al proprio sito, sui referrals, ecc. Tutto molto bello, ma quante persone hanno prestato veramente attenzione alla campagna? Riportare i dati sulle impression dei canali digitali senza considerare la viewability ci dice davvero poco.  La viewability ci dice a a quanti utenti effettivamente è stato mostrato nella porzione X di monitor (per un tempo Y) dove stanno navigando, l’annuncio pubblicitario. È una metrica importante dal momento che, a differenza di altri mezzi dove la pubblicità è spesso un’interruzione alla fruizione del contenuto, su internet un banner viene mostrato nella stessa pagina.

E cosa si intende per attenzione? Facciamo riferimento al concetto di attenzione esplicita o anche a quella implicita? Come abbiamo visto nel primo post della serie, la pubblicità funziona anche (e soprattutto) lavorando sulla memoria in modo inconscio. Un altro risultato importante e da copertina dei report sono i vari premi conseguiti nei diversi concorsi. Si tratta di un risultato che riempie (giustamente) di orgoglio e aiuta le DMO a costruire consenso presso i propri stakeholder. Ma fino a che punto le campagne premiate sono creative, originali e oggetto di discussione allo stesso tempo?

Il brand tracking

Una terza tipologia di risultati sono classificabili sotto la voce “brand tracking”. Si tratta delle metriche che monitorano l’impatto delle campagne sull’atteggiamento o  sulle memorie dei potenziali turisti. Il brand tracking è di fondamentale importanza per le DMO che intendono rafforzare il brand (brand building). Questo intento fa parte delle missioni formali delle DMO (o NTO). Tuttavia, le NTO che fanno brand tracking sono davvero poche (nessuna DMO di mia conoscenza lo fa). Nei successivi post spiegherò le possibili ragioni.

I flussi turistici e la spesa dei turisti

La quarta tipologia di risultati sono i classici dati sui flussi e sulla spesa turistica. I dati sono riportati in termini di incremento percentuale, raramente espressi per quote di mercato.  I report delle DMO (e NTO) abbondano di questi dati, soprattutto quando sono positivi. Il messaggio, neanche troppo sottile, è  “vedete come siamo stati bravi, se il turismo va bene, è anche merito nostro”. Se le cose vanno invece meno bene o male, i colpevoli sono altri: la situazione economica, i tassi di cambio, le crisi geopolitiche, ecc. Ed è vero. L’andamento dei flussi turistici in una destinazione dipende dal contesto soci-economico e dalla competizione. La promozione, come vedremo, soprattutto nel breve termine, ha poca o nulla influenza.

Un altro problema noto dell’utilizzo dei flussi turistici come parametro di riferimento dell’impatto pubblicitario è la questione molto sottile del periodo di riferimento. Quando inizieremo esattamente a conteggiare gli effetti di una campagna? E quando proponi di smetterla? Peter Field e Les Binet, due popolari e stimati studiosi del tema,  sostengono che molti degli effetti principali della pubblicità possono essere valutati solo due o tre anni dopo che l’esecuzione è stata trasmessa. Come potete intuire questo fatto è un grosso problema nel nostro settore. Le DMO (NTO) sono sotto pressione per riportare il prima possibile gli effetti delle loro campagne. Inoltre, sappiamo che per alcune categorie di prodotti e servizi, ci vogliono anni prima che si possa fare una stima corretta dell’impatto di una campagna sui flussi turistici.

Gli studi di impatto economico

Infine, l’ultima tipologia di risultati, strettamente legati agli studi di conversione, sono gli impatti economici generati dai flussi turistici. Gli enti del turismo impazziscono per i modelli econometrici input-output. Il gioco è semplice. Con gli studi di conversione si stimano i turisti che sarebbero influenzati dalle campagne di marketing. Poi si moltiplica questo dato per la spesa media. Si ottiene così la spesa turistica che – secondo i promotori di questi studi – non si sarebbe verificata senza le campagne di promozione. Questa spesa ha un impatto economico. Non ci si limita all’impatto diretto. Meglio abbondare e aggiungere quello indiretto e indotto.  Esce un numero molto più grande. Et voilà,  ecco il risultato da strombazzare nelle copertine patinate dei report, nei file pdf, e su tutti i social media. Per ogni euro investito in promozione, la comunità locale ne ha ricevuti 20, 30 0 70. Un rendimento talmente alto da rendere le DMO gli asset manager più efficaci del mondo. Troppo bello per essere vero, e come vedremo, ci sono abusi ed errori davvero grossolani.

Nota di chiusura e appunti per i prossimi post sul tema

L’intento di questo post è quello di evidenziare i modi in cui le DMO (NTO) potrebbero riportare i risultati ottenuti con le loro campagne. Le tipologie di risultati sono diversi e in qualche modo collegati tra di loro. Nei prossimi post evidenzierò come le attuali (poche) pratiche di performance sono influenzate più dalla necessità di dover dimostrare con numeri altisonanti il proprio valore, piuttosto che dalla volontà di capire cosa funziona e cosa no. Si tratta di una opportunità persa e vi spiego perché.

Qualche anno fa avevo letto su eMarketer che  a livello globale venivano spesi circa 630 miliardi di dollari in pubblicità. Forrester suggerisce che circa 1 – 1,2 miliardi di dollari vengono spesi per la misurazione della performance della pubblicità. Ricordo di aver letto su Forbes (o da qualche altra parte) che chi spende il 10% del budget di marketing per la misurazione ha 3 volte più probabilità di raggiungere o superare i propri obiettivi di fatturato.  Se metto in relazione i tre dati (lo so è una forzatura metodologica) ottengo che si spende solo una frazioncina della spesa di promozione (0,2%) per attività che consentirebbero di avere un maggiore rendimento.

Ovviamente si tratta di numeri che non sono direttamente esportabili nel nostro contesto. Tuttavia una riflessione va fatta. La mia esperienza è che in Italia la spesa per comprendere gli effetti dalla promozione turistica è vicino allo zero nel 95% degli enti di promozione. E con questa spesa non intendo solo gli studi commissionati ad esperti e università. Faccio invece riferimento a una cultura della misurazione che implica approcci, competenze e modalità di lavoro completamente diversi da quelli in uso oggi.

Photo by Agence Olloweb on Unsplash

Antonio Pezzano

Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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