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L’operazione Super Bowl di Tourism Australia: obiettivi, risultati e interpretazioni.

La trasmissione di uno spot pubblicitario (di 30 secondi) durante il Super Bowl può costare fino a 6 milioni di dollari. Una cifra mostruosa in apparenza. In realtà è un investimento a buon mercato per chi si può permettere queste cifre.

In questo bel post Rachel Kennedy, professoressa di Marketing Science, ci spiega perché. Il Super Bowl è visto da circa 100 milioni di consumatori americani in diretta. Gli spot che catturano l’attenzione e l’interesse del pubblico e dei media riescono a fare, nei giorni e settimane seguenti,  anche centinaia di milioni di visualizzazioni sui canali digitali. Ora, sebbene questi dati non ci dicono quante persone hanno realmente visto i 30 secondi di pubblicità, le stime fatte dalla prof. Kennedy ci dicono che le campagne di successo arrivano ad avere un costo per contatto di pochi centesimi di dollari.

Il Super Bowl è quindi una occasione davvero unica per chi intende fare brand building in modo efficiente sul mercato americano. Si tratta di budget e di strategie fuori portata per il 90% delle DMO e NTO del pianeta. Tuttavia, Tourism Australia, l’agenzia di marketing turistico internazionale del Paese dei canguri, ci è riuscita e il caso, se studiato bene, ci consegna riflessioni da annotare. Potranno tornare utili, in molte situazioni. Anche nelle nostre piccole e sgangherate DMO.

Il mercato USA per la destinazione Australia

Gli USA sono un mercato significativo per il turismo australiano, al secondo posto in termini di spesa e al terzo per numero di visitatori.  Nel 2017, Tourism Australia si è fatta due conti. Mentre il numero di americani in vacanza fuori dal paese era incrementato notevolmente negli ultimi anni, anche nel segmento long haul, la percentuale di visite in Australia era rimasta di poco superiore al 1%. Insomma, il numero di turisti americani negli ultimi anni era aumentato perché cresceva  il mercato (la torta). La NTO Australiana ha valutato che era opportuno sfruttare un mercato in crescita aumentandone la propria quota. Nel primo decennio degli anni 2000, la quota di mercato – in termini di numero di turisti – era stabilmente sopra il 2%. L’aspirazione (nel 2017) era tornare a quei livelli e arrivare ad avere (nel 2020) 6 miliardi di dollari (australiani) di spesa dei turisti americani sul suolo australiano.

L’obiettivo era di avere circa 1 miliardo di dollari in più di quanto si è calcolato sarebbe cresciuta la spesa (sempre nel 2020). In altre parole, le previsioni indicavano che, a meno di sconvolgimenti di qualsiasi natura, a politiche invariate, si sarebbe passati dai 3.8 miliardi del 2017 ai 5 miliardi nel 2020. In pratica, questo scenario prevedeva di mantenere invariata la propria quota di mercato.  Si è valutato che per  trainare la crescita oltre i 5 miliardi, e quindi aumentare la quota di mercato,  lo scatto di reni avrebbe dovuto darlo il segmento leisure.

Un dato che spesso sfugge a molti osservatori è che i numeri del turismo internazionale sono un collage di diversi segmenti. Solo parte di questi sono spinti da motivazioni strettamente turistiche e discrezionali. Nel caso australiano, dei 734.233 turisti americani che ci sono stati nel 2017, solo 326.512 erano lì per motivi leisure. Il 44,4% per l’ esattezza, meno delle metà.  Il resto, sono andati per visitare partenti e amici, affari e studio. Chi è bravo nelle proporzioni si è già fatto due conti sulle implicazioni. Per raggiungere il traguardo dei 6 miliardi di dollari il numero dei turisti leisure deve praticamente raddoppiare.

Le implicazioni per il marketing e il branding

In realtà, dai report in mio possesso non risulta che Tourism Australia abbia fatto un’analisi così articolata. Il target dei 6 miliardi è stato probabilmente indicato per dare un segnale chiaro sulle dimensioni delle ambizioni. L’aspirazione non era varare una campagna business as usual per mantenere la quota di mercato. L’obiettivo era molto più ambizioso, cioè imprimere una svolta fruttando il trend di deprezzamento del dollaro australiano su quello americano in atto dal 2014 . Gli esperti di marketing, su questa spinta, si sono messi a lavoro e hanno cercato di capire quali potessero essere gli ostacoli tra la realtà e queste ambizioni. L’analisi si è basata su uno dei due approcci generali che ho indicato nel primo dei due pipponi iniziali di questa serie di post. Tourism Australia ha esaminato il funnel del proprio target, i cosiddetti High Value Travellers, cioè i viaggiatori americani che fanno frequenti viaggi intercontinentali. L’ Australia – come destinazione di vacanza long haul –  a prima vista ha gli indicatori in linea con le aspettative. Un tasso di notorietà del 100%, di considerazione del 27%,  di intenzione al viaggio dell’8% e di meta dei desideri del 5%.

Tuttavia, come ci ricordano gli esperti di analisi di funnel, ci sono due aspetti da valutare. I tassi di conversione da un livello all’altro e il confronto tra questi tassi e quelli rilevati per altre destinazioni concorrenti. Se ricordate il pippone, la base logica del funnel è la gerarchia del modello decisionale. Il brand building, per i seguaci di questo approccio, consiste nello spostare più persone possibile dalla notorietà alla considerazione di fare un viaggio in un certo posto, da qui all’intenzione di fare quel viaggio, fino ad arrivare al desiderio,  per seguire il modello di Tourism Australia. Tornando ai dati, solo 27 turisti target americani su 100 che conoscono l’Australia la considerano per una destinazione di vacanza. Di questi 27, solo 8 hanno intenzione di andarci (cioè il 30% passa a livello superiore) e di questi 8, solo 5 ne hanno proprio il desiderio. Il confronto del funnel di altre destinazioni concorrenti sul mercato americano ha portato un risultato interessante. Destinazioni come Italia, Francia e UK hanno tassi di conversione tra intenzione di viaggio e considerazione molto più elevati. In altre parole, l’Australia viene considerata al pari dei propri concorrenti come meta di viaggi e vacanze, ma è meno capace di trasformare questa considerazione in intenzione di viaggio. Perché?

Ostacoli da superare e strategia di marketing

Il motivo è il titolo di un bel libro, The Tyranny of Distance.  Come si legge su Wikipedia, pubblicato per la prima volta nel 1966, il libro esamina come la lontananza geografica dell’Australia, in particolare dalla sua colonizzatrice Gran Bretagna, sia stata centrale nel plasmare la storia e l’identità del paese e continuerà a plasmare il suo futuro. Un viaggio aereo tra NY e Sydeny – ad eccezione di qualche sperimentazione – dura quasi 35 ore (con gli scali) e costa non meno di 4 mila dollari. Se avete dimestichezza con il mercato turistico americano, sapete che il tempo libero è molto scarso. Gli americani non hanno più di 15 giorni di ferie pagate.  Non c’è da biasimarli se in tanti non se la sentono di investirne 4 nel solo viaggio.

Data la chiarezza delle ambizioni e dell’analisi, i marketing manager non sono stati da meno e hanno illustrato una strategia altrettanto chiara, a partire dagli obiettivi.

  1. Brand Building. Modificare l’atteggiamento dei potenziali turisti americani incrementando a doppia cifra il numero di chi considera l’Australia per un viaggio, di chi ha intenzione di andarci e di chi la desidera. Come scrivono loro stessi in modo molto efficace, passare da una destinazione da bucket list a una della to do list.
  2. Comunicazione. Con obiettivi di brand building così ambiziosi e un budget limitato (36 milioni di dollari australiani in tre anni), bisognava impostare una campagna di comunicazione molto efficiente (elevato reach a basso costo per contatto ). Ora 36 milioni di dollari australiani possono sembrare tanti, ma tradotto in cifre più comprensive, sono 8,5 milioni di dollari all’anno. Numeri molti piccoli per gli standard del marketing nel mercato americano. L’implicazione era chiara: doveva essere una campagna capace di generare un volume di earned media almeno pari a quello diretto (paid media).
  3. Sfruttare il buzz generato dalla campagna per creare lead sui canali di vendita (digitali e tradizionali) propri e, sopratutto, dei partner. Si sono dati anche un target, cioè fare 2 volte meglio che in passato.

La strategia di comunicazione

Capite bene che un’agenzia che riceve un brief così chiaro ha un lavoro molto facilitato. Nella realtà i brief sono tanto più chiari quanto più dialogo c’è tra committenza e agenzie.  Ma andatelo a spiegare a chi deve fare questi principi con il codice degli appalti. Tornando al nostro caso, l’agenzia che si è aggiudicata e ha curato la campagna è nota non solo per i numerosi premi ricevuti, ma anche perché motivano le loro scelte (anche creative) con dati e argomenti solidi. Cosa hanno fatto?

  1. Hanno scelto la TV e in particolare il Super Bowl come media driver. L’efficacia dell’evento in termini di brand building (misurato anche in termini di incrementi di purchase intent e search) è studiata e nota da tempo. Come si sa che chi riesce a fare centro la sera del Super Bowl ha anche un effetto traino da record in termini di earned media.
  2. Hanno valutato che, per fare centro, cioè per generare earned media ed effetti misurabili di brand building, la pubblicità deve avere un effetto sorpresa.  Anche in questo caso, la valutazione si basa su tonnellate di letteratura scientifica sul tema.
  3. Hanno trovato un punto di equilibrio tra familiarità  (cosa gli americani sanno e vogliono dall’Australia) e una delle mode culturali del momento (il reboot di film famosi)

Nasce così la campagna nota come Dundee – The Son of a Legend Returns Home. L’esecuzione della campagna è stata veramente brillante. Tra dicembre 2017 e metà febbraio 2018 una combinazione di tattiche di social media, PR e fake trailer lanciano il buzz sull’imminente reboot di Dundee.

Il 4 febbraio 2018, durante il super bowl, circa 100 milioni di americani vedono la pubblicità e scoprono che non c’è alcun ritorno di Dundee, ma  vengono invitati a visitare l’Australia. Il successo (anche rispetto la strategia di earned media) è immediato. La mattina dopo, secondo alcune rilevazioni, il video dello spot fa segnare più di 58 milioni di visualizzazioni on line. A questo punto parte il resto della campagna che è fatta da diverse componenti utilizzando un approccio multi piattaforma.

Due cose sono degne di nota. La prima è che i protagonisti del falso trailer e dello spot girano dei video dove cercano di convincere i potenziali turisti americani che il viaggio in Australia non è poi così lungo e scomodo. La seconda cosa è la strategia co-op della campagna. Non solo e ovviamente le compagnie aeree, ma anche tour operator e piattaforme digitali con cataloghi e landing page dedicate.

I risultati raggiunti

Ma andiamo al cuore del tema oggetto di questa serie di post, i risultati:

  1. Il falso trailer e lo spot hanno superato e raggiunto il target indicato. Si calcola che essi abbiamo generato un valore di earned media di circa 85 milioni di dollari americani.  A prescindere dalle modalità di calcolo, i dati sulle visualizzazioni sono lampanti. Secondo Facebook, al 2018, il video è stato il trailer più visto della storia del cinema sulla propria piattaforma. In questo post potete leggere un ragionamento più articolato sui risultati di organic reach raggiunti.
  2. In termini di brand building, Tourism Australia riporta, l’anno seguente, incrementi a doppia cifra rispetto ai KPI monitorati, quindi in linea con i target sperati.
La campagna ha vinto numerosi e prestigiosi premi in termini per la creatività e l’efficacia sotto il profilo della comunicazione e del brand building. Come si è tradotto tutto questo in termini di prenotazioni e visite reali?
Come ammettono loro stessi nei report ufficiali governativi,  given the travel planning and booking patterns of USA consumers, we anticipated a 12 to 18-month lead time before seeing tangible increases in visitation and spend for Australia. Quindi bisogna vedere i dati a partire dalla fine del 2019. Sebbene la quota di mercato nel 2019 sia aumentata (da 1,4 a 1,5%), gli arrivi di turisti americani non sono proprio in linea con le attese. Il segmento leisure ha segnato +8% nel 2019 (rispetto al 2018), maggiore del +6% del 2018 su 2017, ma lontano dagli incrementi a doppia cifra registrati dal 2014 al 2017.

Purtroppo, il 2020 non sarà un buon test per fare analisi in linea con i tempi pianificati.  Dobbiamo tenere conto di un dato significativo. Al netto del traguardo – fin troppo ambizioso – che ci si era dati, i partner commerciarli non hanno riportato dati significativamente diversi rispetto agli anni precedenti. Google trend e le principali piattaforme del travel non hanno registrato impennate significative e sostenute di ricerche e intenzioni di viaggio.  Insomma, posso concludere che la campagna è stata un successo mediatico che non ha avuto un impatto concreto in termini di incremento dei turisti. Il successo in termini di brand building si presta a diverse interpretazioni. Ma di questo ne parleremo nei prossimi post.

Per chi vuole approfondire, qui trovate le principali fonti delle informazioni che ho utilizzato:

https://www.tourism.australia.com/en/about/our-campaigns/dundee.html
https://www.tourism.australia.com/en/news-and-media/news-stories/crocodile-dundee-inspires-new-american-tourism-push.html
https://www.thedrum.com/news/2018/03/09/dundee-campaign-add-860m-australian-economy-2020
https://www.effie.org/case_studies/download/15904/9937
https://www.marketingweek.com/ritson-effectiveness-tourism-australia-super-bowl-ad/
https://www.transparency.gov.au/annual-reports/tourism-australia/reporting-year/2018-2019-17
https://medium.com/better-marketing/the-fake-movie-that-created-86-million-in-ad-value-for-australia-658b5a337471

Photo by Srikant Sahoo on Unsplash

Antonio Pezzano

Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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