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Promozione turistica, i metodi più moderni per misurare l’efficacia dell’attività di un destination manager.

Il case method, tipico dei sistemi di common law è un metodo di insegnamento del diritto seguito dalle law schools statunitensi. Proposto da Christopher Columbus Langdell, preside ad Harvard nel 1870, ha influenzato e influenza la formazione dei giuristi americani e manager di tutto il mondo. Manager? Si, perché il case method è anche il modello di insegnamento su cui si basano alcune tra le  più prestigiose business school del nostro pianeta. L’idea è semplice. Nelle lezioni non vengono insegnate agli studenti delle regole generali, bensì si discute (in modo molto animato) dei singoli casi concreti, cercando di capire contesto e prospettive con cui vengono prese le decisioni.  Dalla discussione e dal confronto di opinioni e argomenti, gli studenti, con l’aiuto del professore, cercano di capire se si può generalizzare qualche insegnamento. I casi forniscono informazioni, ma non analisi né conclusioni. Il lavoro analitico di spiegare le relazioni tra gli eventi nel caso, identificare le opzioni, valutare le scelte e prevedere gli effetti delle azioni è svolto dagli studenti durante la discussione in classe.

Perché vi parlo del case method? Perché, come ho già scritto nei post precedenti di questa serie, vorrei superare le dicotomia successo-insuccesso, bene-male, si fa così-non si fa così  che tipicamente associamo ai casi che studiamo. Nell’ultimo post ho trattato del caso Dundee – The Son of a Legend Returns Home con l’intento preciso non di valutarlo, ma di esplorare i criteri che ci possono portare a certe valutazioni. Per la storia del marketing, la campagna è stata un successo. Per me, per chi studia o per i destination manager che non si accontentano del copia e incolla,  la campagna dovrebbe essere una sfilata di punti interrogativi le cui risposte possono innovare il modo in cui promuoviamo le destinazioni.

La strategia: la scelta dell’obiettivo di fondo

Uno dei motivi per cui la campagna ha vinto l’EFFIE, è la presenza di una strategia chiara. Per strategia si intende l’articolazione logica e causale che lega le decisioni prese, al fine ultimo, cioè l’incremento di turisti americani sul suolo australiano. Da questo punto di vista, l’obiettivo finale della campagna era chiaro. Attrarre turisti americani in una misura tale da fargli spendere più di 6 miliardi di dollari (dei turisti americani) alla fine del 2020. Posso affermare con ragionevole certezza che l’obiettivo non sarà centrato e, non per causa di Covid e incendi. Come ho già scritto, l’implicazione di questo traguardo era raddoppiare il numero di turisti americani leisure in tre anni. Obiettivo non raggiungibile, non fosse altro che per motivi fisici. La capacità del trasporto aereo non può essere raddoppiata in un lasso di tempo così breve, anche perché il segmento leisure si concentra sempre – quando va bene – su massimo quattro mesi. E allora perché fissare un obiettivo palesemente irraggiungibile? Vediamo alcune possibili risposte.

  1. Non si sono fatti bene i conti. Può essere, ma ne dubito. Tourism Australia ha un piccolo dipartimento che si occupa di statistica che in passato ha dimostrato di saperci fare con i numeri.
  2. Il traguardo dei 6 miliardi serviva solo come segnale per giustificare il budget sostanzioso e per fare capire all’agenzia creativa da ingaggiare la portata della sfida. Ne sono convinto, ma il rischio è che poi qualcuno ti chieda conto del risultato non raggiunto. In Australia, su questi temi c’è molta partecipazione e i soldi investiti in comunicazione sono spesso oggetto di critica. È anche vero che si possono sempre trovare buone argomentazioni per giustificare il mancato raggiungimento del risultato atteso.
  3. L’obiettivo ultimo serve a dare una direzione, ma l’efficacia di una campagna di comunicazione, soprattutto di una comunicazione turistica, non si giudica dal numero dei turisti arrivati. Anche in questa affermazione c’è un po di verità, ma se i flussi turistici sono completamente indipendenti dalle campagne di comunicazione, allora tanto meglio non investici affatto.

Obiettivi per una campagna di promozione turistica

Tutte e tre le riposte e le obiezioni hanno un fondo di verità.  L’insegnamento generale da annotare è che più è raffinato e credibile l’obiettivo finale, più è chiaro a chi deve comunicare la sfida che ha davanti. Non solo, sarà anche più facile capire in futuro quali motivi esterni (alla comunicazione) hanno aiutato o sdarrupato (concedetemi il calabresismo). Per essere più concreto e meno sibillino, alcuni criteri a cui i destination managers possono atternersi:
  • l’oggetto dell’obiettivo da considerare è il flusso di turismo discrezionale. Questa statistica si ottiene incrociando le motivazione di vacanza (leisure) con il pernottamento in strutture commerciali. Scegliete voi la variabile preferita, se i pernottamenti, i viaggi o la spesa;
  • la metrica per misurare l’obiettivo non deve solo considerare il valore assoluto, ma anche la quota di mercato. Se i visitatori provenienti dal mercato americano sono aumentati nella mia destinazione sono contento. Ma se sono aumentati di più nelle destinazioni dei concorrenti, ho perso una opportunità.
  • l’obiettivo non è tale se non si considerano i tempi in cui deve essere raggiunto: due, tre o cinque anni?
  • Simulare degli scenari. Banalmente avere dei semplici file xls con i dati della metrica scelta e le variabili che possono influenzarla, da quelle più strutturali come reddito disponibile, tasso di cambio delle valute, capacità del trasporto aereo, a quelle più soft come capacità dei posti letto, forza commerciale, ecc.

Non sono cose complicate e costose da avere. L’ostacolo principale è avere la consapevolezza che questo tipo di informazione serve.  Perché serve? Ecco alcune semplici ragioni.

Capire l’entità dello sforzo richiesto alla comunicazione. Valutare fino a che punto segmentare è una strategia corretta. Comprendere fin dall’inizio quanto incidono le variabili strutturali e meno sull’andamento dei flussi. Avere una base per porsi altre domande per raffinare le informazioni. Ad esempio. Se ho un obiettivo di +600mila turisti in tre anni, quando normalmente in periodi normali faccio +100 all’anno e non ho mai raddoppiato prima, devo chiedermi se ci sono le condizioni per farlo. Basteranno i posti in aereo?

Se sono il destination manager di ente del turismo di una Regione o un Paese e vedo che il mio flusso è schiacciato su poche destinazioni, mi dovrò pur porre il problema  di dove li metto tutti questi  nuovi turisti se faccio il miracolo di centrare l’obiettivo. Restando sul piano della promozione, avere un obiettivo chiaro in termini di dimensione della crescita attesa aiuta a capire l’terno dilemma: segmentare o non segmentare? Ma questo lo vedremo nel prossimo post.

Photo by Felicia Buitenwerf on Unsplash

Antonio Pezzano

Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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