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La cultura e il turismo nazionale potevano essere buone opportunità in questo periodo?

Con la firma, avvenuta in data 3 novembre 2020, del nuovo DPCM da parte del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, si instaura, nel nostro Paese, un nuovo tentativo di “scongiurare” il lockdown generalizzato, spettro che aleggia sull’Italia dal momento in cui, una decina di giorni fa, il Presidente della regione Campania, divenuto nel primo periodo di lockdown del 2020 un’icona del “pugno di ferro” nella gestione dell’emergenza, ha dichiarato di voler ricorrere alla chiusura generale per la propria regione.

Sebbene tale chiusura incontri ancora molti pareri opposti all’interno del Governo, primo tra tutti quello del Presidente del Consiglio, il livello di contagi, sempre più elevato e preoccupante, e le condizioni dei Paesi vicini e lontani dell’Unione Europea, hanno portato il nostro esecutivo alla definizione di una serie piuttosto incalzante di decreti urgenti, con una progressiva chiusura di tutte quelle attività che, di fatto, non sono state considerate dai nostri decisori politici come essenziali e/o necessarie per i cittadini.

Decreto dopo decreto, sono state chiuse, o sottoposte a forti limitazioni, le attività di ristorazione, le attività legate alla cosiddetta “movida”, sono state chiuse tutte le attività relative alla fruizione dello spettacolo dal vivo.

Poi, con il decreto che il 4 novembre verrà inserito in Gazzetta Ufficiale, sono stati chiusi anche i “musei” e sono state inserite delle misure di limitazione degli spostamenti e di chiusura delle attività progressive per regione, con l’individuazione di regole differenziate sulla base del livello di “gravità” dell’emergenza sanitaria nel territorio regionale.

In una condizione del genere, con un tasso di contagiosità crescente, mentre si va incontro alla stagione “influenzale”, rivendicare il ruolo centrale del turismo per il nostro Paese e, soprattutto, per la nostra economia può risultare un ingenuo esercizio di stile.

È chiaro che la priorità sia quella di tutelare la salute pubblica, la vita delle persone ed evitare che il nostro Sistema Sanitario Nazionale, da anni “orgoglio” e “vanto” dei nostri decisori politici, al pari dei settori culturale e turistico, e da anni “malgovernato”, al pari dei settori culturale e turistico, vada in difficoltà.

Cionondimeno, è necessario condurre alcune considerazioni per poter comprendere l’indirizzo del Governo nei riguardi del settore turistico e culturale, binomio importantissimo per l’occupazione e la creazione di “reddito” nel nostro Paese.

Da un lato, infatti, non si può semplicemente “depennare” la questione risolvendola in una qualunquista affermazione sull’importanza per la salute (i dati sul contagio derivanti dalla fruizione delle attività di spettacolo dal vivo pare conducano a conclusioni differenti dalle scelte assunte dal Governo). Dall’altro non si può nemmeno sperare di “vivere di ristori”.

Come indicato dalla stessa Commissione Europea, nel documento di indirizzo delle politiche nazionali di ripresa e di resilienza, bisogna “imparare” dall’emergenza. È necessario farlo nel settore sanitario (che è il focus della Commissione, al riguardo), ma è necessario farlo anche nel settore culturale e nel settore turistico.

In primo luogo va compresa la necessità, da parte degli operatori, di incrementare il loro “potere contrattuale” e di “rappresentanza” all’interno dei meccanismi democratici. Il Governo guidato da Conte, infatti, persa la condizione di “pieni poteri”, ha dovuto iniziare a creare i tipici “compromessi” per poter giungere a soluzioni che potessero risultare quanto più condivise possibili.

L’evidente “facilità” con cui il nostro Presidente del Consiglio ha potuto “chiudere” lo spettacolo dal vivo, è un sintomo di “mancanza” di potere contrattuale. La prima lezione che dobbiamo apprendere, in questo senso, è la necessità di “modificare” tale condizione nell’immediato futuro.

Per farlo, però, non basterà semplicemente attivare una politica di “lobby”. I motivi che sottostanno a questa scarsa rappresentatività sono semplicemente imputabili da un lato ad una “microconflittualità” tra tutti gli operatori del settore, e dall’altro, a una scarsa “contezza” delle reali “consistenze” mostrate dai settori del turismo, della cultura e della creatività, sia in termini “assoluti”, sia tenendo conto delle ricadute positive (il famoso indotto di cui spesso parlano i nostri politici), sui restanti settori dell’economia.

E qui la seconda lezione: la prima necessità è quella di avviare una intensa attività concreta di definizione del settore, e che tale attività dovrà essere, con ogni probabilità, il frutto di un impegno “privato”, poiché al riguardo il settore pubblico non ha mostrato né la forza, né probabilmente una volontà concreta in questo senso.

Con la chiusura del 4 novembre dei Musei, il nostro Governo ha chiuso qualsiasi attività del tempo libero a connotazione “culturale”.

Ciò detto, ha trasformato, fino al 3 dicembre, i cittadini in “produttori” e “consumatori”. Restano aperte le fabbriche e gli esercizi commerciali, ma non resteranno aperti i Musei. Come dire: solo beni di prima necessità, tra cui, al di là dei proclami, evidentemente, cultura e turismo non rientrano.

In questo modo, il Governo ha eliminato l’unica ultima “leva” per il turismo. Non il turismo internazionale, che ovviamente in una condizione come quella che stanno vivendo la maggior parte dei Paesi del mondo è naturalmente in crisi (non solo per le limitazioni, ma anche per un calo fisiologico della domanda).

Qui si parla del turismo “nazionale”, del turismo di “prossimità”, della capacità, che era in mano all’offerta turistica e territoriale, di riscoprire e incentivare flussi turistici da parte dei cittadini italiani.

Una condizione che, a dirla tutta, non doveva essere semplicemente un palliativo della crisi, ma anche un modo per coinvolgere i cittadini nell’offerta turistica della propria città, potenziando quel legame identitario che negli anni va sempre più affievolendosi, e che per molti aspetti potrebbe essere invece una delle leve più importanti per il futuro del nostro Paese, in cui la crisi sanitaria ed economica emergenziale, si aggiungono ad una crisi economica che va avanti ininterrottamente da almeno un ventennio, una crisi sociale con l’incremento delle disuguaglianze che hanno causato una altrettanto evidente crisi demografica, con l’esodo di persone in cerca di un futuro migliore.

Lo sforzo di indirizzare la propria offerta ai turisti “italiani”, stava iniziando a dare qualche seppur minimo risultato, come dimostrato dai flussi turistici di alcune regioni (ad esempio il Veneto) che nel 2020 ha visto crescere, in alcuni mesi, il dato nominale degli arrivi nazionali.

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Le condizioni, seppur precarie, seppur emergenziali, avevano comunque potuto definire “potenziali” sviluppi futuri. Perché nel settore privato, non è importante “il dato presente”, ma la traiettoria futura. Dove ci si aspetta crescita si investe.

Ora alle strutture ricettive, così come alle strutture culturali, alle società che si occupano dello spettacolo dal vivo, non resta che vivere di sussidi, consapevoli che il loro ruolo nella società è stato ancora una volta sminuito.

Di certo, ed è questa forse la lezione più importante che il settore deve apprendere, è necessario definire nuovi strumenti di governo, nuove modalità di gestione, nuove rappresentanze politiche e nuove politiche industriali di sviluppo rispetto a quelle che, sinora, sono state espresse dal settore pubblico.

Vale dunque la pena avviare una riflessione per comprendere come “modificare” la condizione attuale. Perchè è sempre più evidente che, nel breve, così come nel lungo periodo, non presenti caratteri di sostenibilità.

Foto di Juan Pablo Donadías su Unsplash

Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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