Dalla rivoluzione cognitiva tratteggiata da Harari, che nel Paleolitico vide la prevalenza dell’homo sapiens sugli altri esponenti della sua specie, due cose sembrano attrarre fortemente questo ominide: costruire storie sul passato e immaginare il futuro. Le storie sul passato nascono come racconti mitologici o leggende e nei secoli si trasformano nella moderna ricerca storica, basata su rigorose metodologie di indagine e di ricostruzione dei fatti. Le fantasticherie sul futuro si evolvono dalle primitive pratiche profetiche e divinatorie in quell’insieme di tecniche che, dalla rivoluzione scientifica del XVII secolo, abbiamo imparato a esercitare usando i diversi metodi di previsione sviluppati da una vasta schiera di scienziati. Sibille, oracoli, vati, àuguri, indovini, astrologi han lasciato il passo a matematici, fisici, economisti, o, più recentemente, a scienziati dei dati che con le loro moderne apparecchiature fisiche e mentali soddisfano questo innato bisogno (o almeno ci provano).
La necessità di avere una visione sul futuro ha indubbiamente una funzione catartica di liberazione di tensioni o ansie, che si fanno più pressanti in periodi di profonda crisi, come quello che stiamo attraversando. E questo tanto più quanto più rilevante (almeno per quanto percepito) è l’oggetto contemplato.
E il turismo ha sicuramente queste caratteristiche di grande importanza, magari non tanto, o non solo, per i suoi risvolti economici o sociali, ma perché incarna l’innato desiderio di conoscenza e di movimento che ci caratterizza, come appartenenti al genere homo, fin dalla nostra comparsa su questo pianeta.
Altrettanto ovviamente, in periodi di crisi profonda come quello attuale, che ha avuto come primissimo effetto quello di eliminare (o ridurre quasi a zero) qualunque spostamento dalla nostra “residenza abituale”, le previsioni sul futuro del turismo non mancano.
Difficile, se non impossibile, provare a riassumere uno scenario condiviso. La lettura di decine di siti, rapporti, e lavori scientifici sull’argomento lascia abbastanza perplessi. Unico fattore comune è l’idea che i flussi turistici torneranno a livelli pre-pandemici. Per il resto nebbia. Sul quando, si va dagli ultra-ottimisti che dicono uno-due anni a quelli cauti che danno 2023-2025 come previsione, ai più pessimisti che pongono il punto di arrivo ancora più in là. Stessa cosa per quanto riguarda i comportamenti generali. Alcuni sostengono che si tornerà a quel che si è visto finora, altri (forse in leggera maggioranza) che cambierà tutto. Ma non si capisce bene cosa e come. E abbiamo visto alcune previsioni per le quali ci sarebbe da chiedersi se è stato usato il celebre pendolino di Maurizio Mosca, qualche discendente del famoso polpo Paul, o strumenti come quelli qua sotto.
Eppure, dovremmo aver da tempo sostituito ossa oracolari, fegati di animali, osservazioni di uccelli in volo, pendolini, sfere di cristallo, o fondi di caffè con complicati modelli econometrici o sofisticati algoritmi di machine learning, ma i risultati non sembrano essere spesso all’altezza dei metodi usati. In effetti, come pare abbia detto il buon Galbraith, famoso economista, “la sola funzione delle previsioni economiche è di rendere l’astrologia rispettabile”.
Al di là delle battute, previsioni in ambiti per i quali non esistono teorie e modelli ben consolidati sono estremamente macchinose. E il turismo è senza dubbio uno di questi ambiti. Inoltre, a parte gli innumerevoli fattori da tener in considerazione nel far previsioni su fenomeni socioeconomici complessi, esiste un noto problema dovuto al fatto che, quando gli attori sono umani, una volta resa nota una previsione, spesso questi cambiano abitudini e atteggiamenti e quindi cambiano le “regole del gioco” per cui bisognerebbe ricominciare.
Frequentemente poi le basi sulle quali queste previsioni sono costruite rischiano di soffrire di importanti “bias” (parola poco traducibile più o meno come pregiudizio e che indica un condizionamento che potrebbe inficiare il risultato). Fra questi i ben noti bias di conferma: trovo quel che vado cercando perché considero solo cose che rientrano nella mia visione del problema o che confermano le mie idee, o ritengo importante qualcosa, a prescindere dalla sua reale rilevanza e quindi mi concentro su quello. E questo a prescindere dalla fonte più o meno rigorosa o scientifica. Tralascio poi qui i bias derivanti da palesi, ancorché non dichiarati o non immediatamente evidenti, conflitti di interesse.
Un esempio provocatorio: leggiamo, o abbiamo letto, di massicce percentuali di popolazione che non vedono l’ora di ricominciare a viaggiare e ci costruiamo su un’ottimistica previsione di recupero. Ora, se io prendo un individuo, lo chiudo in 50 m2 per tre mesi e poi vado a chiedere se ha voglia di uscire e viaggiare, cosa credete che risponda?
Forse, pensando al futuro turismo post-pandemico, ci sarebbe da replicare quanto pubblicato da Ian Yeoman sul Journal of Tourism Futures (lo trovate qui: https://bit.ly/3n79mcM).
Ma allora, previsioni e congetture son tutte da buttare? No, ma vanno prese cum grano salis (anzi con parecchi grani) pensando bene sempre che la loro affidabilità potrebbe essere davvero scarsa, anche se condotte rigorosamente o provenienti da fonti affidabili.
E quindi? E quindi invece di rincorre chimere faremmo bene, come ho già detto più volte, a prepararci a quello che verrà. Prepararci rivedendo le cose che facciamo e come le facciamo, cercando di semplificare e rendere più efficienti le nostre procedure, le nostre attrezzature, soprattutto quelle tecnologiche, e rivedendo bene i modi con cui usiamo questi attrezzi, riorganizzandoci in maniera più flessibile. Solo così ci si può preparare al meglio per i prossimi anni, qualunque cosa accada.
Per il resto non resta che pensare che il nostro “turista”, come il buon vecchio Virgilio sostenne: quacumque viam dederit Fortuna, sequatur [seguirà qualunque via la sorte gli riservi].
Immagine di copertina: Photo by Drew Beamer on Unsplash