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Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza #nextgenerationitalia è un bel tomo di quasi 300 pagine che è pubblicamente consultabile sul sito del nostro Governo.

Questa banale premessa mi sembra utile per ricordare che l’impostazione di fondo non solo delle scelte economiche dei prossimi anni, ma dell’intera visione dell’Italia da consegnare alle prossime generazioni parte da questo documento, che quindi dovrebbe essere sempre di più (magari in maniera più agevole, dai) patrimonio comune.

PNRR e turismo

Sinteticamente, dalla lettura complessiva del PNRR mi sono rimaste due cose:

  • L’Italia ammette di essere indietro praticamente su tutto. Siamo stati incapaci di cogliere tutte le opportunità che si sono presentate almeno negli ultimi vent’anni, schiacciati dalla lentezza e dalla mancanza di sviluppo, investimenti e riforme. Oltre che per noi stessi, questo è un problema anche per l’Europa. Non è un caso che siamo i primi beneficiari in valore assoluto dei due principali strumenti del Next Generation EU, si cui il solo RFF vale 191,5 miliardi € e forse non è un caso che non ci sia una persona qualunque a gestirne l’impiego. 
  • L’Italia che Draghi si immagina non ha alcuna intenzione di “tornare ai livelli precedenti”, ma invece di superarli ampiamente. L’idea è quindi non solo di ritrovare una domanda in crescita, ma di riuscire mettere a regime un sistema economico che impieghi pienamente le proprie risorse. Per questo il collegamento con le raccomandazioni europee e il tema delle riforme interne (quelle attese, strutturali, reali e non reversibili) diventa essenziale per mantenere la promessa di una crescita stabile per l’Italia che faccia da esempio, traino a tutta l’economia europea. La struttura a patchwork del PNRR attuale, finalizzato in poche settimane e diretta espressione della frammentazione politica, avrà bisogno di ulteriori importanti specificazioni già nei prossimi mesi per rimanere in linea con l’ambizioso obiettivo nel medio termine, permettendo inoltre la sostenibilità del debito contratto. Rimaniamo ancora nelle mani, ahinoi, della politica, che sembra però già essere all’opera per il dopo Draghi. 

Sul turismo nello specifico ci sono 2,4 miliardi €, che diventano 6,68 contando l’intero pilastro “Turismo e Cultura”. Conti alla mano parliamo di meno del 3,4% dell’ammontare complessivo, per un settore che in Italia vale direttamente il 5,5% del PIL diretto e oltre il 13% nella sua totalità degli effetti.

Anche aggiungendo gli 1,46 miliardi del Fondo Complementare (in capo però al Ministero della Cultura) la cifra è stata giudicata da diversi rappresentanti di categoria decisamente insufficiente o comunque di ordini di grandezza nettamente inferiori ad altri settori. Ad uno sguardo superficiale sembra quasi un controsenso, soprattutto mentre il premier costantemente cita il rapporto simbiotico tra Italia e turismo, quasi incarnando la figura del promotore turistico oltre a parlare dell’industria turistica come preminente nel PNRR. 

Una possibile spiegazione invece è identificabile nella natura stessa del turismo, ovvero di un’attività tipicamente associabile al concetto di rendita. Senza aprire un dibattito iniziato decenni fa sul ruolo della rendita all’interno dell’economia italiana (privilegio o pregio?), è indubbio che il turismo si basa spesso su elementi di rendita presenti nel territorio: il patrimonio artistico, culturale, culinario, naturale si unisce all’amenità di tanti luoghi in grado di diventare motivi di attrazione e di visita di persone da ogni parte del mondo. Questo ha situato il settore in un piano molto diverso dagli altri, ponendo anche questioni problematiche come ad esempio su come si distribuisce la rendita all’interno della comunità, dove spesso alcuni se ne avvantaggiano in modo netto, mentre altri ne pagano le conseguenze (basti pensare al mercato immobiliare nelle zone a vocazione turistica).

Certo nella deindustrializzazione italiana il turismo è servito a fornire una alternativa interessante a uno sviluppo che altrimenti sarebbe mancato, ma è anche vero che si è creato un conflitto sull’uso del suolo e delle risorse, impedendo in parte uno sviluppo diverso e probabilmente anche contribuendo a formare una mentalità complessivamente conservativa che proponeva un modello con al centro lo sfruttamento delle rendite, anche differenziali delle plusvalenze immobiliari, piuttosto che uno incentrato sulla produttività. 

Rispetto agli obiettivi di crescita del PNRR, quindi, diventa probabilmente meno rilevante investire nel turismo, mentre è molto più forte l’impegno che dev’essere messo sulla produttività e competitività del sistema produttivo a partire dal manifatturiero. A questo si aggiunge che la trasversalità del settore turistico, lo porta comunque a beneficiare dei grandi investimenti sugli altri pilastri del piano, dalla salute alle infrastrutture, dalla tutela e riqualificazione del territorio e degli edifici alla mobilità sostenibile. 

Se siamo consapevoli di questo allora più che sull’ammontare complessivo diventa più importante capire su quali poste sono andate le risorse allocate direttamente. Su questo mi sembra di vedere luci ed ombre. 

Il crollo della domanda da marzo 2020 ad oggi ha portato a uno sfoltimento degli operatori di servizi turistici. Nel rispetto delle singole realtà aziendali, non tutte le imprese che operavano anche negli anni della crescita costante potevano vantare una sostenibilità economica, quindi quando il turismo è andato a zero sono state le prime a dover chiudere.

Quello che ci si augura è che questa auspicata ripartenza non si apra con una tabula rasa dell’offerta. E’ necessario che la nostra proposta sia adeguata e in linea con le esigenze di una domanda che richiede servizi sempre più personalizzati, ricordandosi che  i 44 miliardi € di valore aggiunto prodotti nel periodo pre-covid erano un risultato di prestigio. Inoltre, esiste un orizzonte di destinazioni estere che si pongono sul mercato con il coltello tra i denti, potendo anche sfruttare leve che in Italia sono più difficili da toccare. Gli 1,8 miliardi su 2,4 di turismo 4.0 dedicati alla competitività delle imprese turistiche vanno sicuramente in questa direzione, mi auguro che tutta la filiera ne possa beneficiare integralmente.

Tutto il resto, dalla digitalizzazione del patrimonio culturale, alla rimozione delle barriere architettoniche alla sicurezza sismica mi sembra più una riproposizione di piani preesistenti e mai attuati piuttosto che una vera risposta al cambiamento. Non che non siamo temi importanti, seri e utili, ma mi chiedo: dov’è finito il covid-19? Sembra che il turismo italiano alle grandi sfide che si pongono dopo l’annus horribilis del 2020, ritenga più opportuno spolverare idee già in cassetto ora che ci sono le risorse per farle, invece di proporre un nuovo modello di destinazione, di sostenibilità, di innovazione. E lo stesso si dica per l’industria culturale, che sembra auto-relegarsi al compito della tutela, dimenticando che la cultura è soprattutto attività culturale, specialmente in un anno in cui l’industria globale dei videogiochi ha surclassato tutte le altre.

Ma davvero pensiamo che da questa pandemia non ne siamo usciti cambiati? Che il nostro modello di consumo non ha subìto delle modifiche profonde a partire dallo spostamento al virtuale? Probabilmente la prima ripresa avverrà nelle modalità pre-covid, visti i tempi relativamente contenuti e le risposte attuali dell’offerta più legate alla contingenza. Abbiamo bisogno di avere un orizzonte di sostenibilità e competitività di medio-lungo termine. Ritenere che il settore che ha molto più degli altri la necessità di fare i conti con le dinamiche in atto, vista la continua relazione con il mercato che è intrinseca alla definizione stessa di turista e di produzione di esperienze, rimarrà tal quale a sfruttare le rendite come prima è un’illusione.

Cercando di essere positivi, qualcosa nel PNRR c’è in questa direzione, come i 100 milioni € per lo sviluppo di un data lake e l’adozione di modelli di intelligenza artificiale per analizzare i dati sul comportamento online degli utenti e i flussi turistici. Un primo passo nello sviluppo di una coscienza data driven e un nuovo approccio analitico alla gestione e allo sviluppo delle destinazioni turistiche, non più mero contenitore di flussi per la ricettività. Un percorso verso la consapevolezza di prepararsi a utilizzare nuovi indicatori di performance e nuove statistiche che misurino le relazioni di valore e consumo anche quando la visita non sarà necessariamente fisica.

Damiano De Marchi

Damiano De Marchi è Tourism & Destination Expert per The Data Appeal Company. Dopo una laurea e un master in Economia e gestione del turismo, dal 2005 inizia una brillante carriera nel settore turistico in Italia e all’estero in aziende private, enti pubblici e centri di ricerca occupandosi prevalentemente di analisi e di consulenza strategica e operativa. Dal 2010 è inoltre docente e formatore in ambito accademico e professionale. Dal 2019 collabora con UNWTO come Esperto Statistico per lo sviluppo del sistema turistico nazionale di diversi paesi asiatici.

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Damiano De Marchi

Damiano De Marchi è Tourism & Destination Expert per The Data Appeal Company. Dopo una laurea e un master in Economia e gestione del turismo, dal 2005 inizia una brillante carriera nel settore turistico in Italia e all’estero in aziende private, enti pubblici e centri di ricerca occupandosi prevalentemente di analisi e di consulenza strategica e operativa. Dal 2010 è inoltre docente e formatore in ambito accademico e professionale. Dal 2019 collabora con UNWTO come Esperto Statistico per lo sviluppo del sistema turistico nazionale di diversi paesi asiatici.

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