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La mia prima esperienza nel mondo degli ostelli risale a oramai quasi 13 anni fa. Era il 2011, l’epoca della rivoluzionaria legge regionale sugli ostelli della Lombardia (rivoluzionaria perché permise anche ai privati di aprire un ostello in forma imprenditoriale). Rispetto ad oggi potremmo definirla un’epoca davvero da “pionieri”: il primo Ostello Bello era in cantiere, The Yellow (oggi Yellowsquare)  era uno dei pochissimi ostelli “europei” d’Italia e il panorama era ancora dominato dall’associazionismo con la AIG che governava i più grandi ostelli nelle città italiane.

Sono passati circa 13 anni eppure oggi la situazione è completamente e incredibilmente diversa e sono sincero: è stato davvero bello essere parte di quel processo di innovazione del settore.

Oggi però non vi voglio raccontare di quel periodo, ma parto da lì perché all’epoca conobbi, proprio grazie a uno di quei progetti, un ex dirigente di Accor che aveva avuto modo di seguire in Italia lo sviluppo di alcuni brand molto noti.

Durante le riunioni e le piacevoli chiacchierate più di una volta ebbe modo di palesare una certa insoddisfazione verso le catene che non parevano cogliere l’opportunità data dagli ostelli come formula ricettiva.

Fu lui, qualche anno più tardi a condividere con me un articolo in lingua inglese che raccontava lo sviluppo del brand JO&JOE da parte di Accor, leader mondiale dell’Ospitalità.

Ancora oggi, Accor è l’unica delle grandi realtà dell’hospitality ad aver creato una catena di ostelli e, a meno di clamorose acquisizioni, all’orizzonte nessun altro gruppo sembra interessato.

JO&JOE da prodotto “basic” è stato sin da subito riposizionato su un segmento diverso, ne è la riprova il fatto che il brand è stato “passato” sotto il cappello di Ennismore, Joint Venture tra l’omonimo gruppo inglese e Accor che oggi gestisce tra gli altri, brand innovativi e di qualità come TheHoxton, Mama Shelter, 25Hours, Mondrian e Fairmont (giusto per citarne alcuni).

Questo è un passaggio secondo me fondamentale, perché fa capire quanto Accor creda nel progetto JO&JOE spostandolo dai brand più standardizzati a quelli che necessitano di cura per  il dettaglio. Alcuni dei loro ostelli sono diventati un must non solo per i backpackers: tra i più belli sicuramente non posso non citare quelli di Medellin e Rio de Janeiro (io lo dico, per me è l’ostello più bello del Mondo. Ecco, l’ho detto). Per tutti questi motivi, quando Francesca Dinoia, la GM di JO&JOE Roma mi ha invitato a visitare il loro primo ostello italiano, non me lo sono fatto ripetere due volte.

Francesca è nella famiglia Ennismore già da due anni, prima con Mama Shelter e ora con Jo&JOE. Arriva nel gruppo dopo 5 anni di lavoro in MOXY (brand Marriott) tra Berlino, York ed Essen e dove aveva raggiunto il ruolo di “Assistant Captain” (vice direttrice). La scelta di Jo&JOE non solo non è casuale ma è stata fortemente cercata per  seguire la visione di un concetto nuovo del settore alberghiero.

Il primo Jo&Joe italiano

La incontro in una piovosa giornata di febbraio tuttavia la pioggia sembra restare fuori come per magia dalla loro corte. L’immobile, centralissimo (letteralmente a due passi dal Viminale e pochi metri da Termini) era un vecchio hotel che è stato ristrutturato direttamente dal fondo proprietario di Ennismore con l’aiuto dell’italianissimo studio di architettura Rizoma (i più attenti si ricorderanno di loro per i TheSocialHub di Firenze e Bologna).

Parliamo di 49 camere una diversa dall’altra per volumetrie, con complessivi 210 posti letto. Completano i servizi una lavanderia in collaborazione con Miele, un’area food, una meeting room, un bar e un rooftop oltre alla già citata corte che, per me, è il luogo del cuore di questo ostello. Chiaramente non mancano gli ambienti sociali classici dell’ostello, su cui è stata posta una cura da brand “upper scale”.

Una delle cose più belle di Jo&JOE Roma, ma comune in molti ostelli, è la grande apertura verso l’esterno, non a livello estetico intendiamoci, quanto più “concettuale”. La corte e i bar sono aperti a tutti, dagli ospiti interni ai quelli degli altri hotel fino, chiaramente, ai locals. Questo è un aspetto comune di molti ostelli: rispetto agli hotel c’è una maggiore apertura e voglia di contaminazione con la Comunità Locale. Molti hotel ci provano, alcuni ci riescono ma agli ostelli viene naturale in primis per via della presenza dei dormitori e quindi dei “solo travellers” che sono più propensi a condividere gli ambienti comuni e soprattutto a socializzare. E’ lì che si innesca tutto il processo di contaminazione con la Comunità Locale.

Durante la visita, ho fatto a Francesca alcune domande, incuriosito soprattutto da alcuni aspetti come l’impatto con la legislazione locale, l’appartenenza ad un loyalty program (un unicum nel settore) con uno sguardo anche al futuro.

M: Come è stato il processo di realizzazione del primo ostello Jo&Joe in Italia e quali sfide avete affrontato durante questo percorso?

F: Le sfide sicuramente sono state quelle di portare un brand non conosciuto su una piazza, quella italiana, che è completamente diversa dalle altre nazioni. Ogni aspetto della progettazione è stato curato tenendo conto delle normative italiane e regionali, adattando o sostituendo alcuni servizi che invece sono presenti negli altri Jo&JOE e sono caratteristici del “set up” del brand. Una sfida grossa che ci ha portato via molto tempo è stato sicuramente quella delle licenze e delle autorizzazioni il cui ottenimento impattato notevolmente sulle tempistiche facendoci aprire in ritardo rispetto ai piani. Ritardo che si è comunque attenuato grazie all’utilizzo di maestranze italiane che hanno aiutato il team di progetto francese a risolvere le problematiche.

M: Quali sono gli elementi distintivi di Jo&Joe e come avete cercato di integrarli nel contesto italiano?

F: Ogni ostello della catena è caratterizzato da decorazioni di “street art” pensate appositamente per la location e uniche. Ogni ostello ha un’opera dello street Artist Kelkin, nel caso di Roma la giraffa nella nostra corte. Una delle opere principali è stata realizzata da un artista romano. Un altro aspetto unico di questo ostello è che ogni camera ha una metratura sua, non ce ne sono due uguali e quindi anche la progettazione ha dovuto tenere conto di questo.

Un aspetto completamente nuovo per il mercato italiano è il nostro “Beerwall” dove gli ospiti possono spillare in autonomia diversi tipi di birra alla spina, gestendo il credito con la propria roomkey che per l’occasione diventa una vera e propria carta prepagata. La cosa che reputo interessante poi è che questo sistema vale anche per gli ospiti esterni, soprattutto per gli affezionati che tenendo la card possono ricaricarla e venire autonomamente a servirsi rimanendo poi a lavorare o a rilassarsi nei nostri spazi.

M: Jo&Joe è un marchio che è stato sviluppato da Accor e poi è stato inglobato nella joint venture con Ennismore, società nata nel 2011 e creatrice di brand iconici uno su tutti The Hoxton. Oggi Ennismore al suo interno ha oltre ai già citati Jo&Joe e TheHoxton altri brand iconici come Mama Shelter, 25Hours, Mondrian, Fairmont (per citarne alcuni). Come vivete a livello pratico questa cosa?

F: Lo stile dei brand gestiti da Ennismore è evidente. Non è facile da spiegare me c’è una cura, un’attenzione al prodotto non comune in una catena.

Riguardo al rapporto, oggi a Ennismore fanno capo i reparti di Marketing, sales e diciamo i ruoli di “comando” ma c’è un fortissimo rapporto di rete con Accor e con il team di vendita.

M: Considerando la vostra appartenenza ad Accor, come vivete la partnership con il royalty program  All – Accor Live Limitless? Quali iniziative specifiche sono state implementate per incentivare la fedeltà dei clienti presso Jo&Joe, e come si differenziano rispetto ad altri marchi del gruppo?

F: Premetto: ho la fortuna di essere seguita direttamente dal Sales Team Italia di Accor che ha iniziato a promuovere la struttura anche verso i grandi clienti del gruppo soprattutto team building.

Siamo chiaramente all’inizio anche perché con l’apertura non abbiamo avuto modo di fare molta rete ma stiamo iniziando anche a fare rete con i GM Accor e Ennismore della città.

A prescindere c’è stato davvero un enorme interesse da parte degli ALL Member, in particolare secondo le statistiche siamo il 1° Jo&Joe per membri del programma accolti. Pensa che addirittura uno dei primissimi ospiti è stato un livello platino, incuriosito dal brand che aveva provato in Brasile. I benefit  sono gli stessi del programma anzi in alcuni casi abbiamo anche più benefit di altri brand del gruppo.

M: Ci sono aspetti unici nell’ospitalità di Jo&Joe che emergono particolarmente nei commenti degli ospiti?

F: Siamo partiti da poco quindi non ho ancora molto da dire in merito tuttavia posso confermarti che sin dall’inizio abbiamo avuto molti ospiti che arrivavano da noi dopo aver provato altri ostelli del brand. È il caso dell’ospite “platino” che era stato da noi in Brasile, ma non solo non è stato l’unico, è stato il primo di una lunga serie.

M: Quali sono le iniziative specifiche che avete adottato per ridurre l’impatto ambientale e promuovere pratiche sostenibili all’interno di Jo&Joe?

F: Ennismore ha una forte attenzione verso l’ambiente, oserei dire che è uno dei capisaldi dell’azienda.. Gli altri hotel Ennismore di Roma hanno la certificazione GreenKey e vorremmo ottenerla in un futuro non troppo prossimo . Siamo praticamente plastic free, non abbiamo amenities usa e getta. Un aspetto interessante è che su ogni pagina del nostro sito c’è una parte dedicata all’etica dove comunichiamo quello che facciamo. In generale è un aspetto su cui l’azienda è davvero molto attenta.

M: Quali sono i vostri piani futuri per Jo&Joe in Italia? Ci sono nuove aperture o progetti che potete condividere?

F: In Italia al momento non c’è nulla, anche se avendo aperto Roma c’è molto interesse e non escludo che in futuro qualcosa possa arrivare. Apriremo a breve in Europa, a Budapest, poi in Nuova Zelanda e poi ben 6 ostelli in Cina, tutti nel corso del 2024. Questo è un aspetto molto interessante perché c’è una cultura completamente diversa in Cina, gli ostelli non possono essere aperti così come li intendiamo noi perché la camera in condivisione tra sconosciuti non è permessa.

Mi permetto una riflessione finale: Roma oggi è senza alcun dubbio uno dei luoghi più interessanti per chi si occupa di ostelli. Qua ci sono quasi tutti i gruppi internazionali e nazionali che trattano  la materia e più in generale l’ospitalità ibrida oltre a progetti completamente autonomi che hanno saputo ritagliarsi uno spazio importante. Rispetto a dieci anni fa il panorama è completamente cambiato e ha saputo adattarsi alle necessità del turismo internazionale, forse anche in maniera più veloce di altre realtà europee e Jo&JOE ne è l’esempio perfetto.

Michele Forchini

Bergamasco, dopo un percorso scolastico tra Beni Culturali e turismo si laurea con la prima tesi in Italia sulla figura del Direttore d’Ostello. Da dieci anni si occupa di ostelli e strutture ricettive innovative con una particolare predilezione per quelle ibride. Oggi è direttore operativo di Arkè Hostels, una piccola catena di ostelli tra Bergamo e il Lago d’Iseo. Guarda sempre avanti, aprendo nuove porte e facendo cose nuove perchè è curioso, e la curiosità lo porta verso nuovi orizzonti.

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Bergamasco, dopo un percorso scolastico tra Beni Culturali e turismo si laurea con la prima tesi in Italia sulla figura del Direttore d’Ostello. Da dieci anni si occupa di ostelli e strutture ricettive innovative con una particolare predilezione per quelle ibride. Oggi è direttore operativo di Arkè Hostels, una piccola catena di ostelli tra Bergamo e il Lago d’Iseo. Guarda sempre avanti, aprendo nuove porte e facendo cose nuove perchè è curioso, e la curiosità lo porta verso nuovi orizzonti.

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