Turismo sostenibile: smettiamola di raccontarcela, e cominciamo a raccontarlo meglio.
In passato mi è capitato di leggere e ascoltare esperti di turismo raccontare la storia che i turisti sostenibili, pardon i viaggiatori, siano disposti a pagare di più e a essere più “fedeli” se un hotel o una destinazione è green. A sostegno di questa tesi si citano studi e ricerche basati su dichiarazioni di intenzioni e valutazioni (quanto sei d’accordo con questa affermazione…). Peccato che i dati sui comportamenti effettivi ci dicano un’altra storia.
Un recente studio dell’Ehrenberg-Bass Institute, uno dei centri di ricerca di marketing più prestigiosi a livello globale, analizza 22 set di dati su acquisti veri (transazioni, non opinioni) di brand sostenibili nel retail nel Regno Unito. Nello specifico caffè istantaneo, tè, prodotti da bagno e shampoo. I risultati dello studio, non particolarmente originali per chi studia i comportamenti (reali) di consumo, sono chiari e sfatano due miti “classici” degli “acquisti” di beni e servizi sostenibili.
Primo mito: “Chi compra sostenibile è un tipo di cliente diverso”
Falso. Chi compra brand sostenibili assomiglia in tutto e per tutto agli altri clienti della categoria. Nessuna nicchia verde. Solo una leggera sovra-rappresentazione delle classi sociali più alte.
Secondo mito: “Chi sceglie sostenibile è più fedele”
Falso. I clienti dei brand sostenibili comprano in modo identico agli altri: provano, cambiano, mischiano.
I risultati di questa ricerca sono estendibili al destination marketing?
Secondo me si, perché il comportamento osservato nel retail e quello osservato nel turismo (scelta di destinazioni e di servizi turistici) seguono le stesse logiche di consumo:
- In entrambi i casi il consumatore sceglie in condizioni di bassa attenzione, con decisioni rapide e tutt’altro che razionali. So che questa frase sarà contestata. Ci tornerò, ma non vorrei solo farvi riflettere che non tutte le vacanze sono come il viaggio di nozze o quello a New York. Il primo è unico (o quasi). Il secondo è una rarità.
- In entrambi i casi compra un mix di funzionalità, emozioni e prezzi.
- In entrambi i casi non si cambia radicalmente abitudini e criteri decisionali solo per motivi ideali.
Se nel retail sostenibile i clienti si comportano come clienti normali, possiamo aspettarci lo stesso per il turismo. Anzi, ancora di più: quando si viaggia si spendono più soldi e si cercano ancora più compromessi tra desideri e realtà. Ad esempio, non sempre è possibile rinunciare al viaggio aereo. Altro esempio, quasi mai scegliamo un hotel con marchio di sostenibilità se non ci soddisfa prima nel rapporto qualità-prezzo.
Cosa deve fare davvero una destinazione che vuole crescere puntando anche sulla sostenibilità?
- Parlare a tutti, non solo ai “green lovers”.
- Lavorare sulla accessibilità fisica e commerciale: essere facili da raggiungere, facili da capire, facili da prenotare.
- Lavorare sulla accessibilità mentale: essere conosciuti da tanti e venire facilmente in mente come meta di vacanza.
Questo punto è importante e merita un approfondimento. Lavorare sull’accessibilità mentale significa fare in modo che la destinazione sia conosciuta da un ampio pubblico e che venga subito in mente quando una persona pensa a fare una vacanza. In altre parole, è importante essere presenti nella memoria del viaggiatore nei momenti in cui si attiva il desiderio o il bisogno di viaggiare.
Per raggiungere questo obiettivo, la sostenibilità deve essere comunicata come un valore aggiunto, non come l’unico messaggio. Non basta dire “siamo green” o “siamo certificati”, perché questi concetti parlano più agli addetti ai lavori che al turista comune.
Serve invece associare la destinazione a situazioni concrete e rilevanti per il viaggiatore — i cosiddetti Category Entry Points (CEP), ovvero gli stimoli che attivano la voglia di partire. Alcuni esempi:
- “Voglio respirare aria pulita e staccare dal traffico”
→ allora comunico l’esperienza di camminare in una foresta certificata, o dormire in una baita a energia solare. - “Cerco un posto fresco per l’estate con i bambini”
→ racconto fiumi balneabili e parchi naturali accessibili, senza dire solo “eco-friendly”. - “Voglio spendere meno evitando le grandi città”
→ posso parlare di piccoli borghi sostenibili, dove si mangia locale e ci si muove a piedi.
Il punto chiave è questo: per entrare nella mente del turista, si deve parlare il suo linguaggio e rispondere ai suoi bisogni pratici, facendo in modo che associ spontaneamente la destinazione a uno di quei momenti-chiave in cui nasce l’idea di partire. La sostenibilità, in questo contesto, diventa un elemento distintivo e coerente, ma non è il centro della comunicazione.
In breve:
Se vogliamo portare la sostenibilità nel turismo, dobbiamo smettere di sperare in clienti diversi. Dobbiamo imparare a vendere la nostra offerta in modo migliore, a più persone.
Più marketing (conoscere comportamenti e pensieri dei turisti reali), meno prediche.