Esperienze e RevPAR: una riflessione per DMO e operatori turistici
Una recente analisi di Turneo, piattaforma che consente a hotel (soprattutto di fascia premium) di vendere esperienze tramite i propri canali digitali, ha rilevato una correlazione diretta tra focus esperienziale e performance economica. I dati, raccolti da oltre 136.000 strutture a livello globale, mostrano che gli hotel in cui almeno il 30% degli ospiti prenota esperienze registrano un incremento del RevPAR fino al 55%. Inoltre, ogni punto in più nell’Experience Index sviluppato da Turneo corrisponde a circa €2.564 di ricavi annui per stanza in più.
Ma cosa misura davvero l’Experience Index?
L’indice di Turneo assegna un punteggio da 0 a 15 in base a cinque criteri:
Attenzione ai limiti dello studio
Prima di saltare alle conclusioni, serve una nota metodologica. I dati usati da Turneo provengono da diverse fonti senza indicare quali variabili siano state controllate (es. tipologia di clientela, dimensione dell’hotel, localizzazione, fascia di prezzo). In più, l’Experience Index è una metrica proprietaria, non validata indipendentemente. La correlazione positiva col RevPAR non dimostra automaticamente causalità. Può essere pure vero il contrario: proprio per il fatto di avere una fascia di clientela alto spendente (che spinge il revpar in alto) gli hotel si “dotano” di esperienze. Quindi: studio interessante, ma da prendere con molte pinze.
Una tendenza che non possiamo ignorare
Pur con questi limiti, la tendenza è chiara: esperienze locali, autentiche e personalizzabili non sono solo semplici accessori. Per molti hotel sono un asset di comunicazione e una fonte di ricavi. Ma c’è un aspetto che mi preme sottolineare: lo stesso Turneo consente agli hotel di trasformare il proprio sito in un marketplace di esperienze, facendo concorrenza alle piattaforme specializzate (Getyourguide, Viator), a quelle più generaliste (Booking, Expedia) e ai portali delle DMO.
Anche Airbnb si sta muovendo nella stessa direzione: ha rilanciato la sezione “Esperienze” e ha introdotto la possibilità di prenotare servizi accessori (come chef o guide locali), allargando il suo raggio d’azione.
Cosa significa per le DMO? Alcune indicazioni concrete
La mia opinione è che il ruolo dei portali di destinazione, anche come marketplace, sia destinato a ridurre la propria rilevanza. Questo è un trend inarrestabile da oltre dieci anni. Continueranno ad esistere laddove vi siano risorse sufficienti per mantenerli competitivi, ma non possono competere con la potenza e la capacità del settore profit, né con gli hotel e gli aggregatori.
Pertanto, da più di dieci anni, suggerisco alle DMO di non pensare solo in termini di portale, ma di back-office, cioè di creare le condizioni per aumentare la disponibilità di offerte di esperienza su tutti i canali che fanno mercato. Come? Formazione, voucher per consulenze, confronto continuo, visite studio in altri contesti, ecc.
Un nodo spesso ignorato: il costo (e il valore) delle esperienze
Le esperienze turistiche, per loro natura, sono labour-intensive: richiedono tempo, presenza, competenze relazionali e spesso artigianali. Il costo del lavoro dietro a un’escursione guidata, un workshop o un’attività culturale non è comprimibile come accade per i servizi digitali o scalabili.Questo pone una questione di fondo: esiste davvero una disponibilità a pagare sufficiente a sostenere un mercato delle esperienze su larga scala?
C’è un dilemma economico che spesso si sottostima quando si parla di esperienze turistiche: personalizzazione vs standardizzazione. Personalizzare significa offrire qualcosa di unico, adattato ai bisogni del singolo. Ma più si personalizza, più aumentano i costi. Al contrario, rendere un’esperienza accessibile a molti richiede standardizzare il processo, ridurre la variabilità, abbassare il costo unitario di produzione. E questo comporta rinunce, anche sul piano della profondità relazionale o dell’autenticità percepita.
Questo implica che i modelli standardizzati e i piccoli gruppi, prima osteggiati anche da Airbnb, possono rappresentare una soluzione sostenibile: mantengono un buon rapporto tra esperienza personalizzata e costo per partecipante, rendendo il tutto più scalabile senza compromettere la qualità. Non sono da demonizzare: sono semplicemente più compatibili con un equilibrio economico sano. Bisogna però evitare l’equivoco di etichettarli come esperienze “esclusive” o “su misura” quando non lo sono davvero. Come non bisogna “demonizzare” o “sminuire” tutto ciò che non è “personalizzato”. Le DMO potrebbero educare il pubblico e gli operatori al valore del lavoro che c’è dietro ogni esperienza.
Conclusione
Il turismo esperienziale sta maturando. Non è solo hype, ma una componente dell’economia turistica. E come ogni pezzo di economia, funziona solo se sta in piedi: costi, ricavi, scala. Le esperienze vanno progettate, vendute e gestite in modo professionale. Non basta dire “esperienza autentica”. Serve sapere chi la fa, quanto costa, quanto rende e a chi serve davvero. Le DMO, se hanno poche risorse, farebbero bene ad investirle nel rendere più facile questa “professionalizzazione”. La vetrina e la vendita, in molti casi, la fanno molto bene tanti altri.