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La grande incomprensione del turismo?

Il turismo, che tutti vorrebbero essere la grande industria del nostro Paese, ha ancora molta strada da fare prima di sviluppare realmente le proprie potenzialità. 

In primo luogo, va stabilito il prodotto, che nel caso del turismo non è così semplice, dato che il prodotto, detto in breve, siamo noi. 

In secondo luogo va stabilito il target, e anche qui non si può ragionare come un negozietto di provincia. È necessario ricordare il concetto di profilazione, e fin qui è tutto semplice. È però anche necessario ricordare che l’effetto diretto del turismo è soltanto uno degli effetti economici correlati a questa industria. 

In terzo luogo va concepita, realmente, la catena di creazione del valore, trovando una sinergia tra quei processi che favoriscono lo sviluppo del territorio e quelli che favoriscono l’industria turistica in senso stretto. 

Si tratta di scelte, e azioni che generalmente vanno condotte “prima” che un prodotto o un servizio vengano immesse nel mercato. Non perché siano concretamente essenziali al successo di un prodotto, ma perché fornendo obiettivi espliciti, permettono di adeguare ogni azione, ogni scelta, ogni strategia, al raggiungimento dei fini prioritari che con quel prodotto o quel servizio si intende raggiungere. 

L’Italia del turismo, ad esempio, ne è un caso esemplare: nel Bel Paese non si è mai reso davvero necessario un piano per poter ospitare turisti. I turisti c’erano ben prima che la cultura manageriale si diffondesse e con essa, la sensibilità di lasciarsi guidare non solo dal profitto di breve termine, ma anche al perseguimento di risultati di lungo periodo. 

E così, pur senza alcuna reale consapevolezza strategica, nei decenni l’Italia ha sempre ospitato milioni di turisti internazionali, che alle volte arrivavano malgrado la nostra offerta turistica fosse alquanto carente rispetto ad altre destinazioni internazionali. 

Questo tipo di condizione ha determinato una certa improvvisazione nella gestione dei flussi turistici, nella pianificazione degli interventi, persino nelle logiche di promozione dell’Italia nel mondo. 

E questo ha naturalmente condotto a condizioni di disagio, sia da parte dei cittadini, sia da parte dei commercianti, come dimostrano le recenti affermazioni del presidente dei commercianti di Piazza San Marco a Venezia.  

Si tratta di affermazioni che è facile criticare come faziose, ma che invece hanno radici ben più profonde. 

Come dichiarato al Corriere del Veneto, infatti, Setrak Tokatzian ritiene “che si debba mettere una soglia almeno ai granturismo e, aggiungo, a queste persone farei pagare 100 euro a testa.” Si tratta di una proposta forte, che tuttavia affonda in una visione quotidiana della città: “Ci sono maree di persone con il braccialetto bianco che arrivano dai camping. Questa gente non sa nemmeno cos’è la cultura e lo si vede perché arrivano, non sanno nemmeno dove sono, e se ne vanno, senza aver comprato nulla.” 

Un’opinione criticabile, ma che ha un grado di autenticità maggiore di moltissime altre dichiarazioni che trattano il tema cercando di evitare possano emergere gli interessi specifici: quando si parla di overtourism, infatti, le tematiche che vengono più affrontate non prevedono quasi mai il rapporto economico diretto, ma si incentrano sulla cultura, sulla necessità di creare dei flussi turistici sostenibili, e via discorrendo. 

Anche nelle parole del gioielliere fa capolino la cultura, è vero, ma si riesce a percepire con estrema facilità che il tema non è quale sia il livello di educazione formale delle persone che passano per Piazza San Marco. 

È chiaro che il turismo non può essere un’affaire per ricchi. Viaggiare, anche se male, è forse una delle pochissime esperienze che oggi consente di entrare in contatto fisico e diretto con una diversità di luoghi, di persone, di visioni, di organizzazioni presenti nel mondo.  

Le parole del gioielliere, che rappresenta i commercianti di una delle piazze più famose del mondo, sono però il riflesso di quell’assenza di visione che ha contraddistinto e che ancora caratterizza l’approccio italiano al turismo. 

Il problema di Piazza San Marco, infatti, non è nella grande quantità di persone che attraverso la piazza senza acquistare prodotti di lusso. Il problema è che la politica che è stata adottata negli anni ha fatto sì che la città si svuotasse sempre più di abitanti. 

Questo genera una dipendenza verso i consumi turistici che, chiaramente, sono differenti da quelli dei cittadini, e che magari preferiscono acquistare prodotti differenti da quelli di un’oreficeria, o da qualsiasi altro negozio di Piazza San Marco dove i prezzi sono comunque più alti che altrove. 

L’idea che il turista debba essere alto-spendente è un’idea che anche se spesso formulata in modo molto più edulcorato attraversa moltissime parti d’Italia. Il turismo mordi e fuggi, il turismo fatto da persone che non vanno nel ristorante ultra-caro e ultra-turistico perché oggi tutti sanno che si può mangiare benissimo a pochi passi dal centro, viene spesso etichettato come turismo di massa, come turismo di chi non riesce a creare una connessione con il territorio. 

Nella maggior parte dei casi, però, quella tipologia di turismo è composta da persone informate, che sanno esattamente cosa vogliono visitare, e che, come naturale sia, preferiscono spendere dei soldini per visitare un museo, o per fare esperienze autentiche, piuttosto che spendere soldi e minuti preziosi all’interno di un negozio. 

Nell’era dei “servizi”, la dimensione dell’esperienza è totale. Si compra un determinato oggetto soltanto se quell’acquisto è di per sé un’esperienza irripetibile altrove. Per il resto, c’è internet. 

Diviene allora chiaro che l’Italia ha bisogno di riprogrammarsi sulla base di scelte strategiche reali e di lungo respiro.  

Ricominciamo dalle basi, dunque, e iniziamo a chiederci quale sia realmente il “prodotto Italia”, e iniziamo a riscoprire, per esempio, che il prodotto Italia è esattamente ciò che l’Italia smette di essere quando un territorio viene scelto come meta turistica di rilievo internazionale. Il prodotto Italia è la cordialità, il buon cibo, l’eleganza dei modi, la nostra lingua, la nostra storia, una serie di esperienze che altrove è praticamente impossibile da fare, il saper fare artigiano, che hanno un carattere di esclusività geografica ancor prima che economica. 

L’Italia del lusso è soltanto una delle interpretazioni che vengono solitamente attribuite al nostro Paese, ma si tratta di una derivazione, e non delle reali motivazioni che hanno reso i nostri luoghi famosi nel mondo. 

Per farla semplice: Capri non è Dubai. Non è il Principato di Monaco. Capri è un luogo che ha una storia, un fascino incredibile e che, nel tempo, anche per la naturale scarsità di posti, ha visto incrementare la presenza di persone alto-spendenti fino a diventare poi una delle icone del turismo di lusso nel nostro Paese. 

Questa riflessione ha un corollario: se il prodotto turistico italiano siamo noi, in nessuna circostanza il turismo deve avere un ruolo eccessivamente importante all’interno delle economie territoriali. Anche se gli abitanti di Venezia dovessero diventare una specie protetta, i turisti continuerebbero probabilmente a visitarla, perché il fascino che questa città ha di notte è eterno. Ma l’Italia non è tutta così esclusiva. 

Si tratta di una condizione che non sempre viene sufficientemente evidenziata: date le caratteristiche della domanda turistica internazionale e domestica, ai fini dello sviluppo turistico è necessario fare in modo che il turismo non venga interpretato come un’industria su cui puntare in modo significativo le speranze di crescita della città. 

Quando a Napoli scopri che la pizza non è più buona come una volta, quando a Roma diventa impossibile mangiare una gricia degna di nota, quando a Venezia si parla più inglese che veneziano, stai riducendo il valore turistico del territorio. 

Se questo accade è perché chiaramente i ristoratori vogliono massimizzare i profitti, e così vogliono i proprietari di casa, i commercianti, gli ambulanti, le guide turistiche, lo stesso Comune.  

È invece saggio comprendere che il prodotto turistico italiano non è fatto soltanto dal Colosseo. Se così fosse, vivremmo in un mondo gremito di appassionati di archeologia, ma da nessuna statistica emerge questa passione così diffusa. 

Sotto il profilo della pianificazione territoriale queste evidenze lapalissiane implicano delle scelte che però nessuno, né cittadini, né commercianti, né pubbliche amministrazioni pare vogliano realmente adottare: se le persone vengono in Italia per l’Italia, allora il turista deve beneficiare di un’offerta sicuramente importante, ma che ben si inscrive all’interno dell’offerta territoriale, che deve essere invece indirizzata prioritariamente ai cittadini stessi. 

La ricerca dell’autenticità dell’esperienza turistica è un trend che è emerso in modo sempre più evidente negli ultimi anni. È comprensibile. Non viviamo più negli anni ’70. Tutti noi sappiamo che vivere una “ricostruzione in chiave turistica” di qualcosa di tipico è di certo meno stimolante di qualcosa di reale e vibrante. Vedere uno spettacolo di flamenco in un ristorante turistico di Madrid di certo non ha lo stesso valore esperienziale di trascorrere una serata in uno di quei bar in cui a Madrid come a Granada, i cantori e i ballerini di flamenco trascorrono il proprio tempo libero, suonando, cantando e ballando per il semplice piacere di farlo. 

Questo porta alla terza risposta. E vale a dire alla catena di creazione del valore dell’industria turistica in Italia. 

Che tipo di ricchezza il turismo porta alle nostre città? Come si può incrementare? Verso quali tipi di consumi il turismo sposta la bilancia dell’economia? Le professioni che il turismo rende più richieste sono coerenti con gli sviluppi di medio-lungo periodo di cui il nostro Paese ha bisogno?  E se così non fosse, in che modo si può pianificare uno sviluppo territoriale che sia in ogni caso attraente per il turismo, ma che permetta di sviluppare professioni più sostenibili di quelle che possono essere gli impieghi stagionali? 

Cosa vendiamo? A chi? In che modo? 

Se non rispondiamo a queste domande, se nemmeno proviamo davvero a farlo, allora sarà la nostra stessa interpretazione del turismo a trasformaci in un luna park. 

Al Presidente dei Commercianti di Piazza San Marco, quindi, va sicuramente chiarito che se il suo target è soltanto turistico, allora è necessario adeguare la propria offerta sulla base della sua nuova clientela potenziale. A chi invece ci governa, è invece importante ricordare che se i Commercianti di Piazza San Marco non riescono più a vendere, è perché nessuno ha mai davvero immaginato una strategia che possa valorizzare il turismo attraverso la valorizzazione del nostro Paese. 

Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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