Abbiamo passato gli ultimi anni a guardare l’intelligenza artificiale come una forza misteriosa, potente, potenzialmente rivoluzionaria. Ma ora che l’AI è ovunque – open source, commodificata, plug-and-play – si apre una nuova fase: quella in cui non conta più l’algoritmo in sé, ma l’esperienza che si costruisce attorno. E per chi lavora nel turismo, in hotel o nella progettazione di servizi digitali, è un cambiamento epocale.
Intelligenza come infrastruttura
Negli ultimi anni, i modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) sono diventati un bene accessibile, spesso gratuito, e sempre più potente. Il loro utilizzo è alla portata di tutti, e non richiede competenze tecniche avanzate: basta scrivere, parlare, chiedere. Questo rende l’intelligenza una sorta di commodity, alla stregua dell’elettricità o dell’acqua.
Di conseguenza, il vero vantaggio competitivo si è spostato. Non è più importante come risolvi un problema, ma quali problemi scegli di risolvere e come riesci a farlo in modo davvero centrato sull’utente.
Addio ai vantaggi difendibili
Un tempo, la tecnologia proprietaria, la velocità di esecuzione, i fondi raccolti, i canali distributivi consolidati erano i moats, i fossati che proteggevano le aziende dalla concorrenza. Oggi, tutto questo sta crollando: l’AI appiattisce le differenze. Tutti possono costruire strumenti potenti con team snelli, budget contenuti e distribuzione virale.
L’unico vero vantaggio difendibile rimasto è l’esperienza. Ma non parliamo solo di design: parliamo della capacità di comprendere l’utente, adattarsi in tempo reale e agire in modo proattivo per suo conto.
L’interfaccia è tutto
Ecco perché strumenti come ChatGPT, Cursor o Lovable hanno conquistato milioni di utenti: non perché fossero radicalmente più intelligenti, ma perché offrivano un’esperienza superiore. Interfacce intuitive, fluide, capaci di far dimenticare la tecnologia sottostante.
Nell’hotellerie, questo ci obbliga a ripensare i touchpoint digitali: dai chatbot alle mail automatiche, dai motori di prenotazione ai portali destinazione. Dobbiamo costruire strumenti che non richiedano spiegazioni, ma che imparino dall’utente e rispondano alle sue esigenze ancor prima che le esprima.
Da transazionale a conversazionale
Oggi la maggior parte delle app turistiche funziona ancora con logiche transazionali: cerca, confronta, prenota. Domani sarà tutto conversazionale. L’interfaccia non sarà più un menù da esplorare, ma un dialogo da vivere.
Pensiamo alla classica booking engine: oggi ci costringe a specificare date, camere, preferenze. Presto ci limiteremo a dire: “Voglio andare al mare, budget sotto i 1000 euro, con mio figlio, la prima settimana di giugno”. E il sistema farà il resto, anticipando bisogni, suggerendo opzioni pertinenti e completando le azioni.
Personalizzazione radicale grazie alla memoria
Questa rivoluzione poggia su un pilastro fondamentale: la memoria. Gli strumenti basati su AI possono ricordare le nostre preferenze, i nostri stili di viaggio, le risposte date a un quiz fatto sei mesi fa. Questa persistenza apre la strada a un livello di personalizzazione finora inimmaginabile.
Per chi lavora in hospitality, significa costruire CRM intelligenti, capaci di suggerire il pacchetto perfetto o il messaggio giusto al momento giusto. Non più “clienti tipo”, ma clienti unici, riconosciuti e serviti nella loro complessità.
Dall’assistenza all’azione: la rivoluzione degli agenti
La vera svolta, però, è quella agentica. Gli strumenti AI non si limiteranno a suggerire: agiranno per noi. Prenoteranno, compileranno dati, faranno check-in, invieranno documenti, organizzeranno appuntamenti.
Per l’utente, sarà come avere un assistente personale sempre attivo. Per il settore turistico, sarà una rivoluzione nella relazione con il cliente: l’esperienza non sarà più limitata a quello che offriamo, ma a quello che riusciamo a risolvere.
E ora?
In questo contesto, i “modelli” non sono più il cuore del vantaggio competitivo. Lo è l’esperienza che costruiamo sopra. Lo è la nostra capacità di ascoltare, comprendere, anticipare. Di creare strumenti e servizi che rendano la tecnologia invisibile, e l’utente protagonista.
Chi lavora nel turismo, nei territori o nell’ospitalità non può più ignorare questa transizione. Dobbiamo imparare a progettare esperienze, non più semplici interfacce. A ragionare in termini di bisogni, non solo di strumenti. A costruire non ciò che è più intelligente, ma ciò che è più utile.
Perché, a costo di ripetermi all’infinito, nel mondo dell’AI, vince chi sa restare profondamente umano.


 
					 
										







 
          
