La distribuzione è cambiata grazie alla rivoluzione digitale
La rivoluzione digitale ha abilitato una profonda trasformazione dei comportamenti delle persone portando ad un cambiamento sostanziale del modo di concepire, organizzare, gestire e raccontare un viaggio. In Italia questa trasformazione non è ancora stata compresa appieno, ed il turismo italiano non ha saputo sfruttare le opportunità proposte; se ne parla da anni con pochi risultati.
Una delle ragioni che spiega la nostra incapacità di intercettare questo cambiamento sta anche in una sostanziale ambiguità negli obiettivi da raggiungere.
Nel valutare i limiti del turismo nostrano infatti non sempre si pone l’attenzione sugli elementi davvero critici. Nel tempo grande attenzione è stata posta sulla nostra incapacità di comunicare e promuovere il nostro paese, con un focus significativo sui portali di destinazione (Italia.it, i portali regionali, ecc) e sulla loro inefficacia nel raccontare l’Italia, incapacità addirittura conclamata dagli stessi attori chiamati a svolgere il compito. I dipendenti di ENIT, nel descrivere il ruolo dell’Agenzia, scrivono recentemente: “l’Agenzia che […] sta compromettendo l’immagine turistica del Paese nei confronti della stampa estera e degli operatori internazionali” http://espresso.repubblica.it/inchieste/2015/05/21/news/enit-la-lettera-dei-dipendenti-a-matteo-renzi-1.213514.
A dirla tutta, se ci limitiamo al digitale, i servizi di ENIT compromettono ben poco, visto che alla prova dei fatti la visibilità (e quindi il danno) dei servizi esposti è davvero scarsa.
L’attenzione dei turisti internazionali per l’Italia rimane però straordinariamente alta (malgrado ENIT, sarebbe da aggiungere); lo testimoniano i dati di Google Trends, le analisi di TripAdvisor e di tutti gli operatori che studiano le intenzioni di viaggio a livello globale.
L’Italia è una meta ambita, desiderata, cercata, trovata online. In cima alle preferenze dei turisti ed alle intenzioni di viaggio. Malgrado ciò, non riusciamo ad essere competitivi come altre nazioni che non hanno la nostra stessa capacità di appeal.
Per essere efficaci online si deve riuscire a costruire una efficace azione in grado di combinare comunicazione, promozione, commercializzazione e dialogo coi turisti, potenziali e reali.
La promozione in salsa italica è spesso un mix tra una descrizione fredda ed enciclopedica dell’offerta di un territorio, mescolata a spunti di modernità, a volte fine a se stessa. Si fa un gran parlare di nuovi trend di comunicazione che riempiono la bocca di chi li promuove, ma lasciano le tasche vuote a chi li applica.
Invece dello “story-telling”, applichiamo il “fairytale-telling”. Invece di descrivere in maniera efficace l’offerta del nostro territorio, sui portali italiani ai turisti raccontiamo favole, magari bellissime favole, che iniziano con “C’era una volta…” e finiscono con “E vissero tutti felici e contenti”. Alla fine della favola, il nulla, e il turista è abbandonato, costretto a tornare alla realtà, fatta di operatori privati (le OTA, per dire) e finiscono per prenotare su piattaforme internazionali che nulla hanno a che spartire con l’unicità italiana.
Invece dovremmo raccontare delle ”storie”, ed il turista dovrebbe trovare oltre al sogno anche la concretezza, chessò la possibilità di dormire nella stanza della nonna di Cappuccetto Rosso, comperare le fragoline di bosco, prenotare una guida per fare il percorso breve che permette al lupo di arrivare prima a destinazione, ecc..
È la distribuzione del prodotto online il vero problema dell’offerta turistica italiana. Non in senso lato, sia chiaro, perché di prodotto ce n’è tantissimo. Ormai non essere su Booking.com è una scelta, Airbnb offre una quantità di alloggi incredibile, Getyourguide, Musement, Uber, Misiedo ecc sono piattaforme che offrono sempre più prodotto.
Peccato che tutto questo prodotto, raccolto e veicolato dagli operatori, è proposto esclusivamente sui canali di distribuzione delle OTA stesse e fatica ad essere proposto anche sugli altri spazi digitali.
I siti degli alberghi offrono una opportunità unica agli operatori per veicolare il loro prodotto. Godono della fiducia e dell’attenzione dei turisti e sono facilmente rintracciabili online. Nella maggior parte dei casi però non integrano il booking online, oppure richiedono un triplo salto carpiato in usabilità, offrendo condizioni non competitive con quanto proposto dalle OTA.
Il sito dell’albergo è potenzialmente il vero antagonista delle OTA; però vendere online è un mestiere complesso e la competizione richiede competenza ed attenzione che l’operatore medio italiano non può/vuole permettersi. Le dimensioni “micro” delle nostre strutture ricettive non aiutano, ma non può essere la scusante (come troppo spesso si sente dire) per non provarci.
I portali di destinazione invece sono la vera tragedia. A fare la promo-commercializzazione ci hanno provato in tanti. Dal primissimo italia.it a quasi metà delle regioni italiane, con risultati deludenti.
Tutte le regioni hanno adottato lo stesso (fallimentare) approccio: la destinazione mantiene la regia, gestisce un software centralizzato di prenotazione chiedendo agli operatori di caricare disponibilità e prezzi (e condizioni di vendita, e anagrafiche, e bla bla bla), per poi vendere sul bellissimo portale old style.
Il risultato? Poco prodotto caricato, condizioni non competitive, vendite quasi nulle, contrapposizione tra destinazione e operatori, accuse reciproche, fiducia minata: un fallimento annunciato.
I due assi fondamentali su cui si basa la strategia delle destinazioni sono infatti entrambe deficitari:
1) Governance: per poter condurre una azione di questo tipo, è necessaria una azione forte da parte della DMO che deve essere in grado di gestire il prodotto, governarne le politiche di prezzo e di revenue, coordinare aperture e chiusure, amministrare i flussi ecc. Non è impossibile, per esempio ci riescono in Austria, dove le DMO dell’arco alpino gestiscono la commercializzazione online di molte strutture. In Italia, non ci riesce neppure l’Alto Adige, che è tutto dire.
2) Partecipazione: questi progetti dovrebbero vedere un ruolo attivo da parte degli operatori, consapevoli e parte attiva nella definizione delle strategie. Invece si trovano solo un altro sistema informativo da alimentare (il sistema di booking della destinazione), senza pressoché averne ritorni.
Dieci anni fa l’approccio centralizzato poteva avere senso, quando la consapevolezza sull’importanza di vendere online era inferiore, le soluzioni tecnologiche rudimentali ed il ruolo delle OTA ancora minoritario. Una DMO che avesse provato a creare le condizioni di governance adeguate, avesse avviato un programma di educazione al digitale insegnando a vendere online, avrebbe avuto qualche speranza di successo.
Oggi il panorama è cambiato.
Il dialogo con le DMO è spesso inconcludente. Le DMO insistono con slogan del tipo: “partecipate ai progetti di destinazione, dobbiamo fare squadra”. Ma gli operatori devono fare business, non squadre.
Questi slogan buoni per i convegni non servono agli operatori. Per risolvere il problema della distribuzione si deve partire dai due elementi chiave nella filiera: l’operatore ed il turista.
Un progetto di valorizzazione territoriale deve permettere ai singoli operatori di rendere più appetibile la loro offerta commerciale con servizi pensati su misura per il turista; tutto il resto deve essere posto in secondo piano. I dibattiti relativi al ruolo della destinazione, gli scontri sull’efficacia del logo, gli eventi fatti per marketing interno, le sfide sulla destagionalizzazione e tutte le problematiche classiche di una destinazione non possono togliere priorità all’interesse primario.
Al turista va offerta l’intera esperienza turistica offerta da un territorio, creando in digitale tutto il prodotto extra-ricettivo e rendendolo fruibile in maniera semplice in tutti i modi possibili. Sui portali, nelle app, ma anche ai tour operatori e in B2B, perché l’importante è vendere a margini ragionevoli, mica fare i fighetti all-digital. Devono essere costruiti servizi ad alta usabilità ed in modalità omnichannel (integrando canali offline e online) dove trovare supporto per la programmazione, l’acquisto ed il racconto di tutta l’esperienza turistica.
E’ evidente che non si può immaginare di delegare al singolo operatore un compito così complesso, sia in termini strategici che operativi.
Agli operatori va chiesto di concentrarsi sulla costruzione in digitale del loro prodotto e sull’identificazione delle tipologie di cliente e di mercato, avendo cura degli spazi di comunicazione propri (soprattutto il sito!) fornendo al turista non solo generiche informazioni, ma servizi concreti e soprattutto un booking online efficace.
E proprio su questo punto può nascere un nuovo patto tra il territorio e gli operatori, nell’aggregazione di tutto il prodotto digitale generato nel territorio in un marketplace che permetta alla destinazione di proporsi in maniera completa e coerente. Un approccio che parte dal basso, dagli operatori ed arriva alla destinazione.
Il marketplace digitale permette agli operatori di commercializzare la loro offerta, mettendo in campo le classiche logiche commerciali, compreso un meccanismo di cross-selling che permetta di allargare l’offerta di prodotto proponibile su ogni canale di comunicazione. Non si tratta di “fare sistema”, gli operatori devono pensare prima di tutto a vendere il loro prodotto, attivando le logiche commerciali che ritengono più adeguate. Si tratta invece di accrescere l’efficacia commerciale di ogni operatore arricchendo la capacità di offerta con prodotto coerente e compatibile che il territorio è in grado di offrire. Per esempio, attingendo al marketplace, un albergatore sarà in grado di offrire, direttamente dal suo sito, non solo la vendita del proprio albergo, ma anche di servizi ancillari che ritiene interessanti per la propria clientela, secondo le normali logiche di affiliazione commerciale.
Partendo dal basso, fornendo agli operatori un sistema che permette di migliorare l’efficacia commerciale, si fa in realtà un servizio alla destinazione, che diviene in grado di accedere ad un patrimonio straordinario raccolto sul proprio territorio, il prodotto turistico creato dagli operatori. Il marketplace diventa quindi la fonte a cui si alimentano i portali turistici, che potranno utilizzare il prodotto per dare senso alla loro presenza online.
Si potrebbe spendere un intero articolo a dibattere sulle modalità di ownership e di governance di questo marketplace. Appare evidente che la gestione pubblica di uno strumento di questo tipo appare inadeguata. Se parliamo di prodotto, le logiche di mercato devono essere preponderanti, definendo in maniera adeguata i flussi economici, costi e commissioni, modalità di revenue sharing ed altro. Il pubblico, con tutti i suoi canali di comunicazione, dovrebbe diventare uno dei principali canali di distribuzione del prodotto. Le DMO avrebbero a disposizione strumenti di distribuzione e vendita del prodotto da organizzare secondo le loro logiche di comunicazione e/o commercializzazione, organizzato per territorio, tematica, tipologia di prodotto ecc, senza doversi accollare l’onere della vendita (delegato al marketplace), dando allo stesso tempo valore al resto della comunicazione.
Il compito principale di chi gestisce il marketplace diviene quindi la distribuzione del prodotto, trovare i canali adeguati dove comunicare e vendere l’offerta, creare partnership commerciali per veicolare il prodotto ecc, compresa la relazione con gli attori che hanno il compito istituzionale di promuovere la nostra offerta.
Si tratta di un passaggio complesso, di un ribaltamento completo della prospettiva, spostando il focus dalle destinazioni a operatori e turisti, che devono diventare il centro di ogni nuova strategia. Per ridare un ruolo alle destinazioni stesse, oggi schiacciate da una concorrenza che non sono più in grado di sostenere.
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