Il mercato interno basterà per dare un senso a quel che resta del 2020?
Siamo seri: nessun può prevedere cosa succederà nel mondo turistico quando ci verrà comunicato che potremo riprendere le nostre abitudini. Nessuno di noi, consulenti, operatori, manovali del turismo ha mai vissuto una esperienza simile o assimilabile alla pandemia da coronavirus.
Qualcuno di noi è bravo a maneggiare i dati, altri sono bravi a “fiutare l’aria” , altri ancora continuano a dire cose ovvie spacciandole per sacre verità: di fatto, nessuno ha una visione e, soprattutto, una strategia da condividere con le migliaia di disperati italiani che lavorano nel comparto turistico.
La frammentazione del comparto alberghiero ed extra alberghiero italiano è nota: 32.896 strutture ricettive alberghiere e 183.097 strutture extra alberghiere significano 5.107.046 letti da occupare dei quali 2.260.190 nel comparto alberghiero e 2.846.856 in quello extra alberghiero. Per non tacere delle 11.000 agenzie di viaggi.
La previsione che sarà il comparto extra alberghiero a ripartire prima è ovvia per due motivi:
- media di posti letto (15,5 letti) e facilità nella gestione degli ospiti nei momenti critici della colazione e dei pasti (con l’inserimento dell’home cooking e delle “esperienze” culinarie oramai anche le cene sono sdoganate nelle strutture extra alberghiere),
- bassi costi fissi, personale non qualificato e stagionale
La previsione che il comparto alberghiero potrebbe tardare a ripartire potrebbe essere ugualmente ovvia se consideriamo che:
- riorganizzazione dei processi interni (spazi comuni, colazione, ristorante)
- alti costi fissi nella gestione della struttura, personale qualificato e spesso full time
ma un ulteriore elemento, secondo me, da prendere in considerazione è il seguente: dei 2.260.190 posti letto in strutture alberghiere italiane il 51,2% si trova nel Nord Italia, quel Nord Italia che, agli occhi del mondo, è il punto di partenza del coronavirus in Europa. Di fatto, se non si riparte da ora con una forte strategia di posizionamento e rebranding inserita in un processo di destination management mirato, la ripresa del comparto alberghiero potrebbe essere ancora più lenta di quella preventivabile oggi.
Volente o nolente in Nord Italia rappresenta il principale serbatoio di posti letto alberghiero in Italia, se non riparte il Nord, in termini quantitativi, anche le altre aeree geografiche del nostro paese potrebbero soffrirne a cascata. Nord Italia = Italia. Tutta.
La strategia di posizionamento e rebranding però non serve se a monte non si trova, concretamente, un processo di accoglienza e gestione degli ospiti basato su criteri nuovi quali la sicurezza sanitaria, rispetto delle distanze, certificazione delle modalità di pulizia degli ambienti. Sinteticamente se sino a ieri andavamo a promuovere la vicinanza alla spiaggia, i tramonti, ed il cibo, da domani dovremmo abituarci a parlare di “tecniche di pulizia certificate, sanificazione periodica, distanziatori sui tavoli”. Si lo so, è tutto cosi poco romantico e molti discepoli dello storytelling forzato avranno problemi a riciclarsi, ma è la vita dopo il coronavirus, baby.
Sorvolando sul fatto del come gli stranieri potrebbero tornare in Italia (perché siamo tutti consapevoli che più di una compagnia aerea lascerà gli aerei a terra almeno per il 2020 e qualche altra fallirà) vorrei concentrarmi su un’altra “previsione” (!) che vede gli italiani come principale target per ciò che resta della stagione 2020:
analizzando i soli dati alberghieri, le presenze italiane nell’anno 2018 si sono concentrate essenzialmente in:
Lombardia 22,6%
Lazio 10,9%
Emilia Romagna 8,8%
In regioni turisticamente appetibili come la Sardegna ad esempio, il peso delle presenze degli italiani è pari all’1,5%, in Molise (perché, ebbene si, il Molise esiste) è dello 0,4%
Mi piacerebbe quindi che qualcuno iniziasse a dirmi da dove andremo a tirare fuori gli italiani che servono a occupare tutti i 5.107.046 letti del comparto turistico visto che non nascono più bambini (n.b. riparliamone a Dicembre) e i maggiori viaggiatori italiani in Italia (i lombardi) probabilmente non si potranno muovere da casa per un bel po’ di tempo.
Paradossalmente in questo enorme caos si aprono nuove possibilità: ricostruire, ripartire, rinnovare, rinascere.
Se Kotler non avesse blindato le 4 S (sun sea sand sex) e Ejarque le 3 L Leisure, Landscape e Learning potrei immaginarmi un futuro radioso di creatrice di acronomi ma non posso, devo sconfiggere la paura di cosa sarà del mio lavoro domani e mi tocca riflettere sul serio sulle 4 R.
L’applicazione delle 4 R impone un’analisi sulle risorse umane e sugli skills utilizzati sino ad oggi nel comparto turistico italiano:
in una indagine di Unioncamere/Ministero del Lavoro Sistema Informativo Excelsior nel 2018 solo il 1,2% del campione di imprese turistiche analizzato ha previsto l’assunzione di laureati, il 28,2% ha previsto l’assunzione di persone con una formazione da scuola dell’obbligo, il 43,9% ha previsto di assumere persone con qualifica professionale.
Ma, dico io, in Italia abbiamo 66 corsi di laurea in turismo (fonte Miur relativo a corsi attivi nell’anno accademico 2018/2019) e 53 master universitari di 1° livello e 11 master universitari di 2° livello in turismo, enogastronomia e gestione dei beni culturali : è possibile che negli anni non siamo arrivati a costituire un think thank turistico, diffuso, differenziato e attivabile in situazione di crisi o, perlomeno, una base di competenze anche trasversali ed innovative da inserire nel comparto turistico nazionale?
Ricostruire, ripartire, rinnovare, rinascere non implica forse un necessario ribaltamento dei ruoli in grado di immettere nel mercato del lavoro (alberghiero o agenziale che sia) una nuova linfa in grado di dare, se non esperienza, almeno visione?
Dalla famosa analisi di Unioncamere/Ministero del Lavoro Sistema Informativo Excelsior emerge un altro dato molto curioso: nel comparto turistico le assunzioni previste per professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione per grandi gruppi professionali è pari allo 0,3%, nelle imprese differenti da quelle turistiche è il 4,7% .
Rinasciamo da questo fottuto 0,3% e facciamo progettare il turismo a chi vive di turismo: basta tavoli inutili, basta passerelle, basta con la rappresentatività malata (strutture aderenti a consorzi, che aderiscono a distretti, che aderiscono a cluster, che aderiscono ad associazioni di categoria, che aderiscono ai tavoli… sempre le stesse!, autoreferenziali!) e creiamo modelli aggregativi su basi diverse, dinamiche, efficienti ed orientate al risultato, non alle trasferte.
Ops, l’ho detto.
Fonti: Unioncamere – Ministero del Lavoro Sistema Informativo Excelsior 2018/2019, Istat – dati 2018
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Forse il basso numero di assunzioni per professionalità di alto livello nel turismo dipende anche dalla gestione approssimativa che fino ad oggi se ne è fatta in Italia: quello che dovrebbe essere uno dei cespiti principali di un Paese tra i più ricchi di arte, storia, cultura, beni ambientali viene di fatto amministrato localmente, spesso sottostando ad esigenze politico-clientelari, senza una visione d’insieme che metta a regine tutte le risorse. Certo che in seconda battuta poi bisognerà delegare agli enti locali alcune attività, ma è necessario che ci sia una regia centrale che dia al comparto turistico la stessa importanza economica (e quindi la stessa attenzione, gli stessi investimenti, e normative serie valide su tutto il territorio nazionale) che si da all’industria.
Leggo solo ora, concordo con tutto, soprattutto con l’ultima parte. E, a distanza di mesi dall’articolo, nulla, o molto poco, è cambiato. Cordialità e serene feste di fine anno.