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Lo smart tourism come estensione dello smart working?

Nel 2019, i lavoratori dipendenti che prestavano il proprio lavoro in modalità smart working costituivano, in Italia, un numero esiguo rispetto al totale della forza lavoro, e più precisamente poco più del 3,6%. Percentuale che invece saliva in modo consistente nel caso dei “self-employed” attestandosi a circa il 12% dell’intero campione (dati Eurostat).

Le previsioni adottate dal governo per ridurre il rischio contagio da COVID ha invece portato in auge questa modalità di lavoro, che ha riscosso non poco successo tra i lavoratori stando ai dati dell’indagine “Quando lavorare da casa è SMART?”, nella quale la maggioranza degli intervistati ha mostrato di apprezzare quella che in molti casi si è rivelata essere una nuova modalità di lavoro possibile.

Sulla base di questi dati è dunque possibile supporre, nel caso ciò fosse reso possibile dal punto di vista organizzativo, una maggiore adesione al lavoro smart anche nei prossimi anni, e questa scelta potrebbe favorire l’emergere di nuovi modi di trascorrere il proprio tempo libero.

Per fornire una dimensione del fenomeno, i dati Eurostat 2019 relativi agli Stati membri indicavano un range molto ampio di adesione a questa forma di lavoro: nel caso dei dipendenti l’adesione variava dallo 0,5% della Bulgaria, fino a picchi di più del 14% in Finlandia e nei Paesi Bassi, percentuali che salivano in modo significativo nel caso dei lavoratori autonomi (self-employed), con picchi pari a quasi il 45% del campione.

smart tourism

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Numeri che, se accompagnati da una strategia ben ponderata, potrebbero rappresentare una consistente opportunità per il nostro “turismo”, non solo durante questi mesi “particolari”, ma soprattutto quando la normalità sarà completamente ripristinata.

Dallo Smart Working allo Smart Tourism

Ipotizziamo, ad esempio, che la modalità di “smart working” venisse “integrata” all’interno dei normali rapporti di lavoro in modo che, previa comunicazione, i dipendenti (che svolgono mansioni compatibili) possano decidere di lavorare alcuni giorni in modalità di smart-working e che questa possibilità possa essere estesa anche agli studenti (su questo blog già Antonio Pezzano parlò del calendario scolastico come risorsa turistica).

Il risultato?

Un incremento netto delle possibilità delle famiglie di viaggiare.

La disponibilità di tempo libero rappresenta, infatti, insieme alla disponibilità economica, una delle variabili che maggiormente incide sulla curva della domanda turistica.

Certo, questo non necessariamente si tradurrebbe in un immediato incremento dei consumi turistici: la suddetta curva di domanda presenta infatti una elevata elasticità rispetto al reddito disponibile (Messina, Santamato), il che, fuor d’accademia, indica che ad un incremento del reddito disponibile si tende ad osservare un incremento della domanda turistica.

È qui che entrerebbe in gioco la definizione di una strategia nazionale per favorire lo sviluppo del fenomeno dello smart tourism, il cui obiettivo sarebbe dunque quello di incidere su entrambe le variabili (reddituali e di tempo disponibile).

Malgrado questa affermazione possa apparire quantomeno “onerosa” per la spesa pubblica, in realtà la soluzione potrebbe essere più semplice (ed economica) di quanto possa sembrare.
In primo luogo la disponibilità “aggiuntiva” di tempo, si strutturerebbe soltanto durante i giorni feriali (in cui, in condizioni di normalità, il prezzo dei voli e delle strutture ricettive tende ad essere più basso).

In termini aggregati, quindi, sarebbe lecito attendersi un incremento della domanda di voli e di pernottamenti in giorni feriali, che andrebbe a rendere più omogeneo, nel medio periodo, anche il prezzo dei voli e degli alberghi durante i periodi più “caldi”.

Oggi, infatti, il prezzo dei voli e degli alberghi è più elevato durante alcuni periodi da un lato per effetto della domanda e dell’offerta, e dall’altro perché i ricavi dei periodi caratterizzati da un più alto livello di domanda vanno in parte a coprire i costi di gestione dell’intero anno, quando si registrano anche pochissimi viaggiatori o ospiti. Incrementando il numero di questi ultimi, quindi, i fenomeni della concorrenza tenderebbero, nel medio periodo, a riposizionarsi su livelli più bassi di prezzo.

In secondo luogo, l’onere della spesa potrebbe ulteriormente ridursi nel caso in cui fossero le organizzazioni (le imprese) a siglare accordi con gli albergatori. Si tratterebbe di estendere una pratica già largamente adottata nel quotidiano, ma estendendo le convenzioni in atto anche con strutture non appartenenti a “grandi catene”, fenomeno che potrebbe beneficiare sia le strutture di medio-piccola dimensione, sia potenziali intermediari.

In terzo luogo, questa tipologia di “turismo” potrebbe essere favorita estendendo le prescrizioni legate ai benefit aziendali così che il pagamento della camera rientri tra i benefit da fornire al proprio dipendente.

Ancora, il settore pubblico potrebbe adottare il meccanismo del “credito d’imposta cedibile”, per favorire questo tipo di pratica.

Quali vantaggi?

L’attuazione di una tale strategia coinvolge una serie di difficoltà di non poco conto: in primo luogo organizzative, poi fiscali, nel caso del credito d’imposta, anche in termini di minore entrate erariali, senza menzionare le azioni che sarebbe necessario adottare per scongiurare possibili utilizzi impropri di tali previsioni.

A fronte di tali difficoltà, però, ci sono alcuni vantaggi che vale la pena prendere in considerazione.

In primo luogo, la già citata estensione del tempo da dedicare ai viaggi, così come il potenziale effetto di medio periodo sui prezzi.

In secondo luogo, la creazione di opportunità turistiche per “destinazioni alternative”. A poter beneficiare di questa tipologia di turismo non sarebbero solo le grandi città, ma anche e soprattutto i piccoli comuni. A penalizzare queste destinazioni, più che la disponibilità reddituale (i piccoli comuni sono in genere più economici da visitare rispetto alle grandi città), è il trade-off in termini di “tempo”. Di converso, il turista “smart” tenderebbe proprio a privilegiare questa tipologia di destinazione: con poco tempo a disposizione (prima del lavoro – pausa pranzo e orario post-lavorativo), si tenderebbe a scegliere mete più piccole.

Questo potrebbe comportare anche un effetto positivo sull’infrastruttura turistica nazionale: non sarebbe infatti inverosimile immaginare lo sviluppo di servizi di smart-working all’interno delle camere o la creazione di veri e propri spazi di co-working destinati agli ospiti lavoratori anche nelle strutture ricettive dei territori a minore vocazione turistica, e questo potrebbe spingere verso l’alto il livello di concorrenza delle strutture alberghiere del nostro Paese, spesso ancora carenti su temi fondamentali come connessione in camera e spazi di condivisione.

In terzo luogo, una politica di questo tipo potrebbe portare alla riduzione di quello che oggi tutti amano definire overtourism e a una presenza turistica all’interno delle città più ambite, più omogenea e meno stagionale.

Ancora, attraverso una strategia ben ponderata, si possono innescare fenomeni che possono comportare un incremento netto del fatturato delle strutture ricettive e di altre attività strettamente correlate al fenomeno turistico, e questa considerazione apre ad ulteriori elementi positivi: sia di natura erariale (maggiori ricavi equivalgono a maggiori gettiti), sia di natura occupazionale (con una parziale stabilizzazione dei lavoratori stagionali).

Infine, l’affermazione di questo modello organizzativo potrebbe comportare effetti positivi anche sul settore culturale: incremento dei visitatori nei musei “minori”, ma anche altri tipi di consumo come spettacoli teatrali, concerti, e affini.

Certo, in un periodo di forte crisi del settore può sembrare assurdo concentrarsi su una strategia che possa mitigare gli effetti dell’overtourism e che miri a mitigare i prezzi medi di viaggio a vantaggio dei consumatori, ma è proprio questo il momento giusto per favorire il turismo anche domestico e creare le condizioni più adatte per presentarsi sul versante internazionale con esperienze turistiche nuove ed inedite.

Non è stata l’emergenza a causare i danni peggiori. L’emergenza ha solo reso più acuti gli effetti di debolezze sistemiche che minano la competitività e il livello di salute del nostro Paese. E non solo sul versante turistico.
Smettiamo dunque di guardare al sintomo e cerchiamo una buona volta di curare la patologia.

Photo by bruce mars on Unsplash

Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

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