Il traffico aereo passeggeri deve molto a vettori come Ryanair, EasyJet e poche altre compagnie cosiddette low-cost, alla base di buona parte dell’incremento del flusso turistico internazionale degli ultimi decenni.
Agendo sulla variabile “prezzo”, infatti, questi operatori non solo hanno abbattuto alcune barriere al consumo, ma hanno anche abbattuto barriere psicologiche, avvicinando sempre più persone all’utilizzo di questo mezzo di trasporto e, di conseguenza, riducendo sempre più le distanze percepite, generando il grande flusso di visitatori in entrata e in uscita che ha caratterizzato l’ultimo decennio.
Dati che si commentano da soli: nel 1999, secondo ENAC, il numero dei passeggeri (nazionali ed internazionali) mobilitati (per servizi di linea e non di linea) si attestava a poco più di 82 milioni, mentre il dato utile più recente, riferito al 2019, indicava un totale di circa 192 milioni.
Altrettanto chiari sono i segnali relativi ai vettori.
Nel 2019, il solo traffico aereo internazionale di Ryanair (circa 29,2 milioni di passeggeri) superava il traffico totale (nazionale ed internazionale) di Alitalia.
Dato che risulta ancora più incisivo se si guarda alla classifica dei vettori nel triennio precedente (2016 – 2018):
Il futuro del traffico aereo passeggeri
Dopo un periodo di così forte ascesa, tuttavia, è possibile che il grande e pandemico stop degli ultimi anni, possa avere impatti diretti anche nel prossimo breve periodo, condizione dalla quale potrebbero emergere anche nuovi potenziali modelli di business, che vadano oltre il semplice modello del “prezzo”.
Come molti osservatori hanno infatti già sottolineato, particolarmente interessante è il caso delle “mini compagnie”, così come è stato definito.
Trattasi di piccole compagnie aeree, che investono su trasporti di corto e medio raggio, e che, sfruttando la loro “agilità”, in termini di struttura dei costi, possono presentare un potenziale bacino di innovazione, andandosi a posizionare su una porzione di mercato che al momento è lasciata assolutamente libera sia delle compagnie di bandiera, sia dalle compagnie low-cost.
Se dal punto di vista imprenditoriale il breve termine è sicuramente “chiaro”, con tutte le incertezze che ovviamente, caratterizzano il nostro tempo, meno definito è l’orizzonte di medio periodo: senza una valida strategia di sviluppo, sia sul profilo industriale, che sul profilo dei servizi, queste compagnie rischiano di essere un “mercato anticiclico”, destinato a ridursi non appena il mercato del settore tornerà a mostrare i segni di crescita pre-Covid.
Sul profilo nazionale ed europeo (il dato è meno netto per quanto riguarda gli altri continenti), la crisi da Covid ha portato nuovamente al centro dell’attenzione il concetto di “prossimità”: un concetto che riguarda tanto il lato produttivo (incentivando il reshoring), tanto il lato dei consumi (turistici, culturali, ecc.), e l’interesse in località “minori”, come mostrato, tra gli altri, anche dal Centro Studi del Touring Club, che nel 2020 ha registrato un incremento dei flussi turistici in luoghi dell’entroterra, a fronte del ben noto e drastico calo registrato, nel medesimo periodo, nelle cosiddette città d’arte, destinazioni notoriamente preferite dai nostri turisti (nazionali ed internazionali).
Per le “mini-compagnie”, quindi, queste condizioni dipingono uno scenario estremamente interessante, ma ci sono due potenziali minacce, di cui bisogna tener conto: da un lato la fine dell’effetto Covid, vale a dire il potenziale rientro di ogni preoccupazione e il ritorno ai flussi turistici “tradizionali”, con effettiva riduzione dei passeggeri diretti a mete meno “inflazionate”; dall’altro lato, invece, un’importante crescita del segmento. Un’esplosione delle “rotte” attualmente gestite dalle mini-compagnie, infatti, da un lato potrebbe fare entrare tali rotte all’interno dei radar dei giganti del low-cost, dall’altro potrebbero invece richiedere investimenti più importanti, in termini di aerei, di comunicazione e di conseguenza, di investimenti “meno agili”.
Non essendo compagnie di linea, e nemmeno giganti del Low-Cost, è necessario che queste compagnie sviluppino un “proprio” modello di business che ne garantisca la sopravvivenza anche nel medio periodo: un modello che tuttavia non può basarsi solo “sul prezzo”.
Il motivo è semplice: fondando tutta la strategia sul “prezzo”, nel caso in cui il mercato delle “destinazioni minori” si riducesse, non ci sarebbero “leve” sufficientemente potenti per mantenere elevato il flusso di passeggeri.
Nel caso in cui invece le destinazioni minori confermassero il proprio status di coda lunga (come era di modo affermare qualche anno fa), basterebbe poco ad un vettore low-cost individuare una metodologia per entrare nel mercato, anche senza passare dalla cassa (acquisizioni delle piccole compagnie).
A ben vedere, la parte più interessante di questo segmento è che per sopravvivere ha bisogno di individuare modelli di business alternativi a quelli già oggi esistenti. Modelli di business che ne potrebbero favorire lo sviluppo in tutti gli scenari possibili, e che, a livello aggregato, potrebbero, nei fatti, estendere il segmento d’offerta turistica, con tutti i vantaggi che questo comporta non solo per i turisti, o i viaggiatori frequenti, ma anche, e soprattutto, per i territori.
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