La valutazione della media strategy, un passaggio essenziale.
Quando ero bambino andavo a pescare negli allevamenti di trote. C’erano due vasche – per i miei occhi da bambino due laghetti -: una molto grande, piena di pesci e persone che cercavano di tirarli su; un’altra molto più piccola con meno persone e pesci. Pensando di essere furbo, sceglievo spesso la vasca piccola. Ritenevo di avere meno concorrenza. Mio fratello, che invece era sempre a combattere per un posto in quella grande, tornava a casa puntualmente con più trote di me. Era più bravo a pescare? Probabilmente sì, ma c’era dell’altro. Nella vasca grande c’era molto più probabilità di pescare che nella vasca piccola.
Questo frammento di memoria di vita mi torna in mente ogni volta che devo spiegare la prima regola per impostare e valutare campagne di comunicazione di brand building. Il reach. Dato un ammontare di budget a disposizione, dovete spenderlo per raggiungere il maggior numero di persone possibile del vostro target di mercato. Sembra una regola semplice, ma in pratica è disattesa. Per chiarirla devo spiegare cosa è il reach, il modo corretto di misurarlo e perché è importante.
La valutazione della media strategy – il reach
Il reach misura il numero di persone (in carne e ossa) che sono state esposte almeno una volta a un pezzetto di contenuto media. Questo pezzetto è calcolato, a seconda dei media, in vari modi.
Tanto per essere subito chiari, le impressions non sono il reach. I dati sulla circolazione di un giornale di carta quantificano le opportunità che un lettore dello stesso possa aprilo. Il numero di lettori reali del giornale sarà sicuramente più basso e ancora più basso sarà quello che avrà aperto la pagina dove c’era la pubblicità e per questo motivo non tutti gli spazi hanno lo stesso prezzo.
Nel mondo digitale, le impressions rappresentano il numero di volte che un contenuto, un video, una pagina web, o un banner hanno avuto la possibilità di essere visualizzati dagli utenti. Ci sono però tre importanti precisazioni da fare:
- gli utenti sono spesso bot e non persone in carne e ossa;
- una stessa persona può aver visualizzato il contenuto molte volte;
- secondo il Media Rating Council (definizione comunque non universale), oggi un banner viene considerato “visibile” quando il 50% della sua superficie (in pixel) è in vista sullo schermo per almeno un secondo (2 secondi per gli annunci video). Ho sottolineato oggi perché sappiamo che questa misura non è efficace per stabilire se il banner o il video è stato notato dall’utente.
Studi molto rigorosi dimostrano che un contenuto pubblicitario cattura la nostra attenzione se è in vista per almeno due secondi con tutta la sua superficie visibile (100%). Ancora meglio se lo vediamo più di due secondi; fino a 10 secondi, ogni secondo in più è grasso che cola. Ancora meglio, se il contenuto ha il 100% di copertura della superfice. Cosa che è impossibile sugli smartphone, per come siamo abituati a fruirvi i contenuti. Per questi motivi, ma non solo, la TV è ancora il mezzo più efficace per le campagne pubblicitarie e anche il più efficiente (costo per contatto) se ci si può permettere il budget minimo di entrata.
Quindi, cari operatori turistici, non vi accontentate del dato sulle impressions. Fatevi dare una stima il più possibile precisa di quante persone in carne e ossa hanno visto i contenuti pubblicitari relativi alla vostra destinazione turistica. Fate in modo che le vostre DMO li chiedano ai media provider.
Qui una lista di richieste che aiuteranno ad arrivare ad una stima corretta:
- dati sulle impressions con 100% di pixel sullo schermo;
- dati sulle impressions con almeno 3-4 secondi in vista del contenuto;
- % di copertura dello schermo del contenuto;
- % dello schermo dedicata ad altri contenuti;
- % impressions con video con il suono funzionante;
- % di impressions non umane ma generate da bot (ad fraud);
- % di duplicazioni, cioè quante delle impressions sono da tirar via perché viste da uno stesso utente.
Secondo i più maligni, se i dati non ci sono, per avere un dato veritiero sul reach, si può dividere il numero di impression della metà o per tre.
Il reach non è solo quello dei contatti raggiunti con le campagne a pagamento. Le campagne efficaci hanno il potere di generare, senza costi aggiuntivi, contatti extra. I più bravi chiamano questo fenomeno earned media.
Vi ricordate dello spot di Tourism Australia tramesso durante il Super Bowl? Il falso trailer del seguito di Dundee (cioè lo spot in questione) è stato visto da circa 100 milioni di spettatori la sera dell’evento e ha totalizzato circa 60 milioni di visualizzazioni nei giorni seguenti.
Secondo Facebook, al 2018, il video è stato il trailer più visto della storia del cinema sulla propria piattaforma (fino a quel momento). Ovviamente, non fate l’errore di considerare gli earned media come completamente gratuiti. La sola trasmissione di uno spot pubblicitario (di 30 secondi) durante il Super Bowl può costare fino a 6 milioni di dollari.
Per capire perché il reach è importante serve, in primo luogo, avere un po’ di dimestichezza con la statistica e con i pattern di comportamento dei consumatori.
Restiamo al settore di nostro interesse e guardiamo le abitudini di vacanza di un grande mercato geografico (Germania). Vi ho riportato un grafico che rappresenta la frequenza del numero di vacanze (nel caso della Germania, per la sola vacanza lunga). Cosa ci dicei? Che il maggior numero di persone o non va in vacanza o fa poche vacanze all’anno (fino a 2). Letto in altro modo, il 55% dei viaggi lunghi in Germania è effettuato da vacanzieri light.
Questo schema è ancora più vero per paesi come l’Italia o la Spagna, dove si registrano meno viaggi e notti di vacanza che in Germania. Si tratta di uno schema ricorrente non solo nel turismo, ma in quasi tutti i mercati di prodotti e servizi. L’implicazione che se ne tra è molto semplice. Se il budget lo permette, sarebbe meglio andare a pescare nella vasca grande dei vacanzieri light. Se si concentrano gli sforzi – come da tradizione – su media di settore, aeroporti o tecniche di retargeting, si rischia di farsi notare solo dei pesci della vasca piccola, i vacanzieri incalliti. Che va bene, ma non solo son molti meno, rappresentano anche una fetta più piccola del mercato totale.
Ci sono altre ragioni molto più sottili che spiegano l’importanza del reach (o del marketing di massa se preferite). In un famoso articolo “The Waste in Advertising is the Part That Works” (Journal of Advertising Research, Dicembre 2004, PP. 375-390.), Tim Ambler ed E. Ann Hollier spiegano perché la pubblicità, anche quando non raggiunge il consumatore bersaglio, funziona, e anche bene. I due autori chiariscono che una pubblicità di massa, cioè vista da un pubblico ampio, ha l’effetto di rendere il prodotto, il brand o l’azienda sottostante più familiari. Il branding è un esempio applicato di ciò che gli economisti chiamano la teoria della segnalazione (alla base del Premio Nobel vinto da Michael Spence).
Scrive N. Gregory Mankiw, nel libro più utilizzato nel mondo nel suo genere Principi di Economia: “l’azienda segnala la qualità del suo prodotto ai consumatori dalla sua volontà di spendere soldi per la pubblicità.”
Il concetto di familiarità, cioè l’unione di notorietà e rassicurazione è molto importante per la scelta delle destinazioni turistiche.
Ma c’è di più. Come sostenuto da alcuni grandi esperti di comunicazione, il bias della social proof è molto potente nel guidare le nostre decisioni di acquisto. La social proof, o riprova sociale, è un concetto derivato dalla psicologia cognitiva secondo cui gli individui tendono a subire l’influenza e a ritenere validi i comportamenti di un gran numero di persone. In altre parole, le persone non si fidano della pubblicità, ma si fidano dei brand che si pubblicizzano nei mass media.
Bottom line: il primo criterio per valutare la bontà di una campagna pubblicitaria è capire se è stata programmata per avere un vasto reach e verificare se tale reach è stato raggiunto.
Questa linea guida ha ovviamente dei vincoli di realtà. I budget delle DMO sono risicatissimi. Quindi le DMO raramente possono permettersi campagne su broadcast (come la TV). Inoltre, le DMO sono sottoposte a pressioni politiche per favorire un segmento di mercato o una tipologia di viaggio. Pertanto, tenete nella giusta considerazione pure tutte le attenuanti del caso, ma resta il principio che uno spot pubblicitario non è un film d’essai.
* © immagine di copertina Austin Chan, su Unsplash