Riprendo il ciclo di post sulla valutazione del marketing territoriale operato dalla propria DMO con questo secondo articolo dedicato ai possibili effetti di una campagna pubblicitaria.
Il termine cinema d’essai viene utilizzato in Italia per riferirsi a tutte quelle sale cinematografiche le cui scelte di cartellone si basano sulla qualità artistica del film. Il nome “cinema d’essai” deriva dalla qualifica di “Cinéma d’art et d’essai”, (letteralmente “Cinema d’arte e di prova”) che in Francia, fin dagli anni ’40, venne attribuita a quelle sale cinematografiche che proiettavano film non commerciali, di derivazione avanguardista e rivolti a un pubblico colto.
Ogni volta che i miei amici esperti di comunicazione condividono sui social un video pubblicitario di un ente del turismo straniero o una DMO di quelle fighe lodandone creatività, contenuti, emozioni e amenità varie, faccio un semplice esercizio. Mi informo su quante persone lo hanno visto. Cose semplici come le visualizzazioni sui social, su YouTube o i canali dove è stato trasmesso. Il più delle volte si tratta di video che a stento raggiungono migliaia di visualizzazioni o trasmessi, con pochi passaggi, su canali con poca audience. In altre parole, il più delle volte ci eccitiamo, discutiamo e proponiamo ai nostri interlocutori video di campagne pubblicitarie che hanno visto pochi intimi.
Perché un video che gli esperti giudicano come best practice non lo vede nessuno? I motivi sono diversi. Forse così best practice non è o forse è mancato il budget per il media planning, come spesso succede. Il punto è che la valutazione di una campagna pubblicitaria è una cosa complicata e quindi richiede un approccio più informato che non quello del gusto personale.
Possibili effetti di una campagna pubblicitaria
Cominciamo dalle basi: la IAB Europe, l’associazione a livello europeo per l’ecosistema del marketing e della pubblicità digitale, lavorando a fianco di molti dei fornitori di misurazioni più influenti del settore, ha creato il Digital Advertising Effectiveness Measurement Framework. Lo traduco a modo mio nella piramide sotto, ma se siete interessati al link trovate tutta la documentazione.
La prima cosa da fissare è che ci sono tre aree di misurazione.
Alla base di tutto c’è la valutazione dell’efficacia della campagna sul piano dei media. Un video molto bello che non viene visto da nessuno è molto interessante per parlarne ad un aperitivo, ma non è uno spot pubblicitario. Inoltre, nell’era del digitale, è fondamentale capire se dietro le impressions e le visualizzazioni ci sono umani o bot. Secondo alcune stime meno del 50% del traffico sul web è effettivamente umano. Perché vi racconto questo? Perché le DMO, soprattutto quelle straniere e fighe, inondano i propri stakholders di riviste patinate dove mettono in evidenza likes, visualizzazioni e impressions. Ma non fatevi impressionare. Nel migliore dei casi, dovete dividere quei numeri per due.
La seconda area di valutazione è quella del branding. In altre parole, si analizza se la campagna sia stata in grado di modificare o meno la predisposizione verso la vostra destinazione e, ancora più importante, se abbia modificato le strutture mentali attraverso le quali il brand (si legge nome della vostra destinazione) è connesso ai pensieri dei consumatori. Una cosa che sembra complicata, ma che ho già spiegato e che spiegherò ancora nelle prossime puntate di questa serie di post. Per chi fa destination marketing, questa è la valutazione che conta. Se la campagna funziona bene, è come avere un centrocampo formidabile in una squadra da calcio. La funzione del brand, soprattutto quello di una destinazione turistica, è quella di mettere in grado gli attaccanti – ad esempio i vostri hotel – di segnare.
Purtroppo queste valutazioni sono spesso assenti o, quando fatte, eseguite con metodologie discutibili. Non solo. Le campagne stesse, sulle quale in alcuni casi ci sono investimenti milionari, sono disegnate senza avere una baseline, cioè una situazione di partenza chiara. Fare marketing in questo modo è come fare lo speleologo senza torcia. Eppure è la norma e a tutti, a voi operatori turistici, sta bene così.
Prima di introdurre cosa si intende per successo commerciale delle campagne di marketing di destinazione, è utile ricordare che ci sono due tipologie di campagne: quelle di brand (vedi sopra) e quelle di direct marketing, dette anche di sales activation o performance marketing. Si tratta di due cose completamente diverse. L’obiettivo delle campagne di brand è di spingere i turisti a visitare la destinazione turistica, ma facendo leva sul brand (vedi sopra). Insomma, è come rafforzare una squadra di calcio comprando formidabili centrocampisti e fantasisti.
L’obiettivo delle campagne di sales activation è vendere un prodotto quando si presume un consumatore sia nella fase di acquisto. La destinazione non è un prodotto. Il prodotto sono le camere di albergo, i tour o i biglietti aerei, giusto per fare un esempio. Le campagne di sales activation sono quelle che normalmente si fanno in cooperazione con le OTA, i metasearch, i tour operator, le compagnie aeree e gli hotel. Queste campagne hanno l’obiettivo di vendere aumentando la disponibilità digitale delle offerte commerciali di una destinazione turistica. Insomma, siamo più sulla P di Place (distribuzione), che sulla P di Promozione.
Avendo chiarito la differenza tra le due tipologie di campagne, posso adesso scrivere una frase che a molti non farà piacere: il successo commerciale di una campagna (branding) di destinazione è una valutazione che esiste solo in teoria. Non solo perché, come ho spiegato sopra, la destinazione non è un prodotto, ma anche perché queste valutazioni hanno costi piuttosto elevati e fuori dalla portata dei budget esigui delle nostre DMO.
Per essere piú precisi, io posso fare la valutazione di una campagna che ho fatto per l’estate 2021, ma rischio di cogliere solo una parte della storia. Se la campagna è stata efficace, i suoi effetti si vedranno anche in altre stagioni o nei prossimi anni. L’impatto di una campagna pubblicitaria sulla predisposizione al viaggio verso una destinazione, come sulla percezione e, soprattutto, sulla memoria di un potenziale turista ha effetti di medio-lungo termine. L’effetto sulla percezione e sulla memoria è immediato, e lo valuto con il successo del branding. L’impatto sul comportamento – prenotazione e visita alla destinazione – può avvenire mesi o anni dopo.
Altra cosa è la valutazione del successo commerciale di campagne di sales activation. In questo caso l’obiettivo specifico è proprio la prenotazione. Si tratta di operazioni difficili da fare. Per le nostre DMO, spesso finanziate completamente da fondi pubblici, le campagne di questo tipo implicano la messa in opera di procedure per attivare gli aiuti di stato e di conseguenza c’è un bel po’ di lavoro anche per le imprese che ne beneficiano. Inoltre, ogni volta che si palesa la partnership con OTA o intermediari vari, ci sono le proteste di molti operatori.
In conclusione, spero di aver spiegato con parole semplici quali sono le aree di valutazione delle campagne di marketing di destinazione. Spero anche di aver chiarito perché valutare il successo di una campagna (brand) di destinazione con il conversion rate e cioè con le prenotazioni non è onesto. Le DMO e le agenzie regionali di promozione turistiche sono attaccabili per tanti motivi, ma non su questo fronte.
*© immagine di copertina Adam Jang, su Unsplash