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Oggi analizziamo il Rapporto del World Economic Forum (WEF) sul turismo. Ovvero: where’s the beef?

Il World Economic Forum (WEF), in occasione del ritorno a Davos, ha pubblicato il nuovo rapporto sulla competitività dei paese nel settori del travel e del turismo.

C’è una grande novità: la parola Competitività fa spazio alla parola Sviluppo. Il Travel & Tourism Development Index (TTDI) è un’evoluzione del Travel & Tourism Competitiveness Index (TTCI), pubblicato ogni due degli ultimi 15 anni. Il TTDI valuta e misura l’insieme di fattori e politiche che consentono lo sviluppo sostenibile e resiliente del settore dei viaggi e del turismo (T&T), che a sua volta contribuisce allo sviluppo di un paese. 

Vi invito a leggere il rapporto e a usare gli strumenti interattivi per confrontare l’Italia con gli altri Paesi su ognuno degli indicatori che ritenete più interessanti. Un esercizio molto utile per farsi domande e avviare approfondimenti sui temi di vostro interesse.

Il Rapporto del World Economic Forum sul turismo e la competitività

Il mio post di oggi invece prende spunto da questo evento editoriale per parlare di quello che non c’è nel rapporto odierno come nelle sue edizioni passate: il so what?

Questi rapporti assomigliano sempre più ai tabellini delle partite di calcio senza che venga evidenziato il risultato della partita. Prendete per esempio l’ultima finale di Champions League tra Real Madrid e Liverpool. Se leggete il tabellino dei dati della partita senza conoscere il risultato, siete portati a pensare che abbia vinto il Liverpool. Tuttavia, come sapete, non è andata a finire così. Perché vi dico questo? Dove voglio arrivare?

Quando è nato (nel 2007), il Travel & Tourism Competitiveness Index (TTCI) aveva un obiettivo: individuare e misurare i fattori che rendono più attraente e conveniente investire in un Paese piuttosto che un altro. Fin dall’inizio sarebbe stato interessante avere due blocchi di informazioni. Il primo blocco, il risultato, cioè una definizione e una misurazione del livello di investimenti (nel turismo) in un Paese. Avrebbe potuto essere, ad esempio, livello di investimenti esteri (FDI).  Secondo blocco, i fattori che (potenzialmente) spiegano il risultato. In questo modo si sarebbe potuto analizzare quali fattori, caso per caso, spiegano il risultato, quali contano in un Paese piuttosto che in un altro, e come cambiano nel tempo.

Purtroppo, gli estensori del rapporto del WEF hanno preferito concentrarsi sul secondo blocco, facendo intendere che i Paesi che registrano un indice più alto abbiano (o avrebbero avuto) più investimenti (rispetto agli altri? Rispetto al passato?). Ma è davvero così? Non ho trovato risposta alla mia domanda. Qualche tentativo è stato fatto dagli accademici, ma si tratta di casi isolati. 

L’indice si è, nel tempo, distaccato dall’obiettivo per il quale era stato disegnato ed è diventato una misura indipendente dal significato (originariamente) attribuito al concetto di competitività. In altre parole, un Paese è competitivo o meno nel settore, perché lo dice il World Economic Forum. Oggi, che si passa da misurare un concetto già poliedrico (come la competitività), ad un altro ancora più ambiguo (lo sviluppo nel quadro della resilienza), nel commentare il dato sintetico (l’indice finale),  si corre il rischio di essere confusi con Lello Mascetti. Siano nel campo largo delle supercazzole. Meglio astenersi.

Perché vi racconto tutto questo? Per invitarvi, come ho scritto all’inizio della nota a non guardare la classifica generale, ma ad analizzare ogni singolo indicatore, capire cosa misura esattamente, come è misurato e fare un confronto tra il nostro Paese e altre economie sviluppate in Europa come Germania, Francia, Regno Unito e Spagna. Se poi siete interessati ad indagare la competitività del nostro turismo, lasciate perdere il WEF. Ci sono modi più semplici ed efficaci per farlo. Basta capire di cosa parliamo. 

Se ci riferiamo alla competitività di mercato, il risultato dal quale partire è la quota di mercato. A prescindere da come la misuriamo (quota di turisti, viaggi, pernottamenti o spesa), la posizione dell’Italia nei principali mercati di origine dei flussi turistici e la sua evoluzione è il punto di partenza per indagare quali fattori la determinano e l’hanno determinata. Ad esempio, l’Italia rispetto ai Paesi che ho citato prima, è terza per quote di mercato (in Europa). Nel periodo 2010-2019 ha sostanzialmente tenuto le posizioni perdendo piccole quote nei mercati europei e asiatici, ma guadagnandole nel Nord-America. Perché, quali fattori determinano questa posizione? Io ho delle idee abbastanza precise, ne ho scritto anche su questi pixel e continuerò a scrivere. Il punto è che dati così importanti sono fuori da webinar, dibattiti, convegni, piani e compagnia bella. A dire la verità ci abbiamo provato con la nostra OT Stat, qualche tempo fa. Ma è stato un timido tentativo. 

Un altro modo di intendere la competitività (economica) del settore è valutare la sua produttività ossia efficienza con cui vengono utilizzate le risorse, mettendo in relazione la quantità di input, in particolare l’impiego di lavoro e capitale, con il valore aggiunto creato. Fermo restando le difficoltà di misurazione, un indicatore utile e disponibile per orientarsi nel buio (pur con tutti i suoi limiti) è la produttività del lavoro nel settore ricettivo. Si tratta del comparto turistico il cui fatturato dipende quasi completamente dalla domanda di chi decide di restare almeno una notte fuori dalla residenza abituale (cioè, statisticamente parlando, il turista). I dati per confronti internazionali sono disponibili su Eurostat. Nel periodo compreso tra il 2010 e il 2019, i nostri diretti competitor (Francia e Spagna) fanno meglio di noi. Perché? Quali fattori determinano questa posizione? 

Anche in questo caso, se si intende indagare ci sono molti spunti da cui partire. Mi limito al primo e al più emblematico: la dimensione delle imprese. In tutti i settori, la dimensione delle imprese è una determinante (economia di scala). Il settore ricettivo non fa eccezione. La produttività delle imprese ricettive italiane è frenata dalla prevalenza delle nano imprese. Ed è un peccato, perché, se consultate Eurostat, apprenderete che le nostre (poche) medie e grandi imprese fanno meglio di quelle Francesi e Spagnole.

Se avessimo una quota maggiore di hotel più grandi saremmo molto più competitivi e potremmo pagare meglio i nostri lavoratori. 

 

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* © foto di copertina Immo Wegmann su Unsplash 

Antonio Pezzano

Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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Antonio Pezzano

Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

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