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Premessa

Ho ricevuto molte reazioni al mio post precedente, che prevede una estate particolarmente importante per il turismo italiano, con conseguenze più profonde di quelle che siamo abituati ad affrontare e con la necessità di un immediato cambio di paradigma negli obiettivi.

La maggior parte dei commenti ha sottolineato inoltre un aspetto che da sempre caratterizza il mondo del turismo: il lavoro. Pur essendo un tema francamente troppo vasto per un singolo post, mi sembra comunque utile condividere alcuni ragionamenti su questo blog, che poche volte ha affrontato l’argomento in maniera diretta.

Turismo e occupazione

Il turismo è uno dei più importanti motori di occupazione al mondo, trainando da decenni la crescita economica globale e caratterizzandosi spesso come un’ancora di salvezza per le bilance dei pagamenti di moltissime economie a tutti gli stati di sviluppo.

Il turismo ha contribuito direttamente e, attraverso i suoi effetti moltiplicatori anche indirettamente alla formazione di milioni di nuovi posti di lavoro, fino a comprendere nella sua accezione più ampia un lavoratore su 10 nel mondo. Dal 2010 al 2018, mentre la media globale di occupati saliva dell’11%, quella in ospitalità e ristorazione registrava un balzo del 35%.

Nonostante l’impatto della pandemia sia enorme sia sui flussi internazionali (-72% e -71% confrontati con il 2019 rispettivamente nel 2020 e 2021 e -61% il primo trimestre del 2022) sia sull’accelerazione di tendenze come quella della virtualizzazione di precisi elementi dell’esperienza turistica, l’industria turistica richiede una presenza di lavoratori molto alta.

E se in questa estate bollente, per tantissimi motivi, si susseguono le notizie di una generale mancanza di lavoratori su diverse componenti del settore – ricettività, ristorazione, trasporti, ecc. – questo è certamente un fattore da tenere in grande considerazione per le conseguenze sulla ripresa.

L’occupazione turistica in Italia: una sfida aperta

Per calare il ragionamento sul nostro paese, anche per proporre delle linee strategiche di azione, ad esempio, sul tema della produttività del lavoro come sottolineato anche da Antonio Pezzano, bisogna partire da un dato semplice: quanti sono gli occupati del settore turistico in Italia?

Sembra una domanda banale, ma basta entrare con un occhio consapevole nel mondo delle statistiche ufficiali e viene fuori una realtà davvero complessa. Per questo motivo la risposta è una sfida che ribalto su chiunque si occupi di formazione o si definisca esperto di turismo. Visto il caldo, vi lascio un suggerimento, per un anno consolidato come il 2019: l’intervallo è tra circa 350 mila e quasi 3 milioni.

Sembra incredibile una forbice così ampia, ma alla base c’è una difficoltà oggettiva – universalmente riconosciuta – nella misurazione del fenomeno del mondo del lavoro, a partire dalla sua definizione internazionale, fino ad arrivare a calarlo su un settore i cui confini non sono immediatamente riconoscibili. 

Figure professionali

Altra prospettiva da valutare è quali sono i lavoratori del turismo in Italia? Anche qui la risposta è variegata.

Siccome dal 2019 mi sono tuffato nel comprendere il valore dell’analisi semantica, cito solamente una ricerca eseguita quando ancora lavoravo a CISET che sfruttava già nel 2015 l’analisi semantica delle ricerche sui portali di offerta dal lavoro.

Il progetto regionale veneto “Giovani con meno Giovani” ha scandagliato i portali di ricerca di lavoro in Veneto confrontandoli con gli omologhi stranieri, coinvolgendo inoltre 300 fra associazioni di categoria e imprese turistiche per restituire le figure professionali più ricercate.

Nella classifica veneta si trovavano camerieri di sala, receptionist e cameriera ai piani, ruoli che nella «classifica mondo» scivolavano oltre il decimo posto.

All’estero infatti, si ricercavano in primis Guest Relations, Guest Experience Manager, F&B Manager, F&B Assistant, ma anche Business Development Executive, Digital Manager, Green Manager, Network Manager.

i lavoratori del turismo in Italia

Fonte: http://virgo.unive.it/ciset/website/it/formazione/progetti-internazionali-JuniorSenior

Negli anni questi “profili innovativi” hanno fatto sicuramente il loro ingresso in Veneto e non solo, ma la cifra della carenza odierna sembra non discostarsi da ciò che si rilevava sette anni fa: siamo ancora in cerca di camerieri, commis di sala e cucina, receptionist.

In più, l’attrattività di queste figure nel mercato del lavoro sembra addirittura essere peggiorata drasticamente. Alla base c’è una ragnatela di cause che sicuramente coinvolgono anche aspetti reputazionali o di evoluzione delle aspettative delle nuove generazioni (“too choosy”).

Il cuore della questione però è nell’estrema disomogeneità sia delle condizioni del lavoro, sia dei diritti dei lavoratori stessi, visto il crescente coinvolgimento di personale straniero, di cui una parte non marginale da sempre vive qua pur non godendo appieno di diritti basilari. Se aggiungiamo che anche le dinamiche imprenditoriali scontano diverse problematiche – si era rilevato infatti che era aumentata l’età nella quale si diventa titolari effettivi (da 29 a 37 anni nel giro di una generazione) e che il passaggio generazionale è lungo mediamente 10 anni, seguendo i ritmi e le finalità familiari più che a quelle aziendali – sono molti i nodi che ancora devono essere sciolti.

Personalmente flessibile

Non essendo un esperto in materia di politiche del lavoro, posso portare innanzitutto la mia esperienza di lavoratore quarantunenne.

Ho alle spalle una amplissima selezione di contratti: dallo stage non retribuito al contratto indeterminato, passando per voucher, varie diciture di co.co., sostituzioni di maternità, determinati prolungati allo stremo. Ho anche fatto tremare più volte i polsi di mia mamma – semplice maestra elementare in pensione – quando ho gettato la bellezza di due contratti indeterminati per la decisione di fare altro: scelta, tra l’altro, di cui non mi sono mai pentito, considerando la possibilità di rimettermi in gioco una opportunità di crescita personale e di competenze invece che una minaccia.

La flessibilità quindi per me è un valore da mettere in campo, anche nel mondo del lavoro. So altresì di essere stato spesso una mosca bianca, sono stato inoltre testimone di vere e proprie battaglie intestine in cui i lavoratori senior difendevano strenuamente i propri pieni diritti anche al costo di farli pagare a lavoratori junior totalmente precari e sotto-pagati.

Pur immaginando che l’obiettivo teorico dovrebbe essere l’allargamento dei diritti e delle tutele, piuttosto che di una redistribuzione, la pratica mi insegna che i divari si stanno allargando, e tra i nuovi “poveri” ci sono sempre più giovani, anche tra quelli che lavorano. Quando infatti la flessibilità non diventa uno strumento di allineamento rispetto alla produzione di beni e servizi, ma viene utilizzata in maniera strumentale o addirittura piratesca, gli impatti poi ricadono anche sui decisori.

Un esempio plastico è quello che è successo per il trasporto aereo. Il modello di business delle compagnie aeree low cost, che ha aiutato molti a volare più frequentemente e più lontano, ha anche determinato condizioni di lavoro e contratti meno vantaggiosi rispetto alle compagnie aree tradizionali. Il covid-19 poi ha ridotto nel 2020 del 60% il traffico passeggeri mondiale e del 90% il RPK (Revenue Per Km). Anche solo per sopravvivere, dalle compagnie aeree agli aeroporti si è cercato di ridurre drasticamente il personale, con una perdita stimata di diversi milioni di posti di lavoro e taglio degli stipendi per gli altri. 

Occupati totali nel settore aereo USA per mese (in migliaia):

Occupati totali nel settore aereo USA per mese (in migliaia)

Fonte: elaborazioni proprie su dati US Bureau of Travel Statistics

Ora che la ripresa del traffico nazionale e internazionale – in Europa giugno 2022 registra l’86% dei volumi rispetto al 2019 – supera la capacità di lavoro attuale, si fa enorme fatica a ritrovare lavoratori con requisiti, qualifiche e competenze da inserire nell’immediato. Le conseguenze sono diffuse: sulla domanda – stressata da caos, code, ritardi e cancellazioni – sull’offerta – con limitazioni crescenti alla possibilità di produzione di beni e servizi – sui lavoratori – con condizioni di lavoro peggiorati e crescente insoddisfazione. Non a caso gli scioperi si stanno moltiplicando.

In conclusione

Ragionare sul mondo del lavoro è già così complesso per la selva di tipologie contrattuali applicabili e per i numerosi soggetti coinvolti, per cui dovrebbe essere un obiettivo immediato avere almeno una base dati il più possibile chiara e condivisa.

In secondo luogo, parlare di lavoro va a braccetto con mettere le mani anche nello spinoso tema dell’evoluzione demografica della popolazione residente, con conseguenze dirette sulle politiche di accoglienza, cittadinanza, flussi migratori e previdenza.

Inoltre, l’evoluzione dell’offerta turistica in termini di obiettivi e orientamento alla domanda dovrebbe portare a una evoluzione anche delle figure professionali ricercate, che partono dalla formazione di competenze, si sostanziano nel riconoscimento del merito e si concludono in percorsi di carriera definiti, conseguentemente più appetibili sia per chi già lavora sia per chi è ancora in cerca.

Una migliore chiarezza aiuta la definizione di nuovi profili, dando spazio alla creatività nella contingenza, di cui ci vantiamo di essere maestri: un esempio è il Quarantine Concierge a Hong Kong.

Infine, è dal sistema produttivo, dagli obiettivi e dalle competenze del management, oltre che dal confronto con le associazioni di rappresentanza che nascono le basi per mettere in grado i lavoratori di poter aumentare la propria produttività. I benefici diventano immediatamente diffusi, al contempo limitando abusi, conflitti insanabili o dimissioni volontarie alla ricerca di posti migliori e più in linea con un equilibrio tra vita privata e lavoro.

 

 

*foto di copertina © Paolo Chiabrando su Unsplash 

 

Damiano De Marchi

Damiano De Marchi è Tourism & Destination Expert per The Data Appeal Company. Dopo una laurea e un master in Economia e gestione del turismo, dal 2005 inizia una brillante carriera nel settore turistico in Italia e all’estero in aziende private, enti pubblici e centri di ricerca occupandosi prevalentemente di analisi e di consulenza strategica e operativa. Dal 2010 è inoltre docente e formatore in ambito accademico e professionale. Dal 2019 collabora con UNWTO come Esperto Statistico per lo sviluppo del sistema turistico nazionale di diversi paesi asiatici.

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Damiano De Marchi

Damiano De Marchi è Tourism & Destination Expert per The Data Appeal Company. Dopo una laurea e un master in Economia e gestione del turismo, dal 2005 inizia una brillante carriera nel settore turistico in Italia e all’estero in aziende private, enti pubblici e centri di ricerca occupandosi prevalentemente di analisi e di consulenza strategica e operativa. Dal 2010 è inoltre docente e formatore in ambito accademico e professionale. Dal 2019 collabora con UNWTO come Esperto Statistico per lo sviluppo del sistema turistico nazionale di diversi paesi asiatici.

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