Una domanda per i manager delle DMO: siamo sicuri di sapere cosa sia la pubblicità e a cosa serva?
Vi siete mai chiesti in che modo le DMO italiane e internazionali rendicontano i risultati ottenuti dai loro sforzi di promozione turistica? Cercherò di rispondere a questa domanda il 17 maggio 2024 al Destination Lab di Riva del Garda sulla base di un lavoro di ricerca (on-line) che sto portando avanti con Giancarlo Piccirillo.
Ci sono, comunque, alcune cose che meritano di essere raccontate subito. La prima, oggetto di questo post è la scarsa consapevolezza del fatto che la pubblicità sia un investimento i cui frutti si colgono solo nel tempo. Non solo. Ho l’impressione che in pochi abbiano cognizione che sia un investimento con un tasso di interesse composto: l’interesse, invece di essere pagato o riscosso, è aggiunto al capitale iniziale che lo ha prodotto. Questo comporta che alla maturazione degli interessi il montante verrà riutilizzato come capitale iniziale per il periodo successivo, ovvero anche l’interesse produce interesse.
Partiamo da un dato comune. La maggiore parte dei budget promozionali delle DMO (di tutto il mondo) sono sostenuti dai contribuenti. In alcuni Paesi (soprattutto quelli anglosassoni) la competizione per le scarse risorse pubbliche e la cultura dell’accountability (parola che non a caso esiste sono in inglese) ha indotto le DMO (anche volontariamente) a riportare dati come il ritorno sugli investimenti effettuati (il mitico ROI). E con numeri strabilianti. C’è chi riporta un ritorno di 75 $ su 1 $ investito! A prescindere dalle (discutibili) metodologie adottate (a volte secretate), la questione è che il ROI non è indicatore opportuno e utile per valutare l’efficacia di alcune forme di promozione turistica, come quella che una volta si chiamava pubblicità. Il ROI è una misura di efficienza. Perché allora l’utilizzo del ROI è così diffuso, come lo sono anche le impressions?
Ci sono due temi generali da discutere. Il primo riguarda il sistema di incentivi al management delle DMO. Per incentivi intendo l’insieme di bastoni e carote più o meno formalizzati che spingono i manager a prendere alcune decisioni piuttosto che altre, a premiare alcuni progetti piuttosto che altri, a selezionare certi fornitori, ecc. Non è un mistero che il management delle DMO deve – in primo luogo – metter in buona luce politici e opinion leader che hanno un ruolo decisivo nel concedere i finanziamenti alla loro organizzazione. Dati strabilianti come un qualsiasi ROI e le impressions (spesso in milioni) hanno il pregio di trasmettere un messaggio positivo all’elettorato, di cui solo una percentuale risibile ha i mezzi per interpretare correttamente questi dati.
Il secondo tema concerne la competenza tecnica di molti manager. Fino a che punto capiscono di marketing o, meglio, di strategia di marketing? Vorrei spiegare le ragioni di questa domanda con una questione davvero illuminante: il tempo necessario alla pubblicità per dispiegare i suoi effetti.
Numerosi operatori del marketing, specialmente quelli appartenenti a piccole realtà aziendali come quelle nel settore turistico, spingono nel poter quantificare in tempi brevi, diciamo entro alcuni mesi, i risultati dei loro investimenti pubblicitari. Tuttavia, tra i professionisti del settore prevale un assioma secondo cui soltanto la metà dell’impatto sulle vendite generato dalla pubblicità si concretizza nel lungo periodo, ovvero non prima di un anno. Questa visione è considerata largamente sottostimata da accademici e studiosi, i quali sostengono che, in realtà, tale percentuale è molto più alta, superando spesso il 90%. La verità? Dipende dalla definizione di pubblicità.
Per esemplificare, gran parte delle prenotazioni e delle visite turistiche in Sicilia per la prossima estate saranno il frutto del lavoro svolto anni addietro da vari soggetti per accrescere l’attrattività delle località siciliane, incluse le strategie volte a rendere queste destinazioni top-of-mind per chi pianifica viaggi o vacanze. Analogamente, l’impatto delle campagne pubblicitarie odierne si distribuirà nel corso dei mesi e degli anni a venire. Ma perché questa differenza?
La pubblicità, nel suo senso più stretto, si distingue nettamente dalle iniziative di “attivazione” mirate a intercettare quella fetta di turisti che stanno effettuando prenotazioni in un dato momento, tramite, ad esempio, promozioni sui siti di tour operator o annunci su motori di ricerca. Gli effetti di queste campagne di attivazione sono immediatamente quantificabili, similmente a quanto accade per le tradizionali campagne pubblicitarie in-store, le cui ricadute sono subito evidenti. L’interruzione di tali iniziative equivale a chiudere la porta di un negozio o rendere difficile entrarvi. Gli effetti sono subito verificabili.
Al contrario, cessare le pubblicità di tipo più classico legate alla promozione di una destinazione – realizzate non solo dalle DMO ma da tutti gli operatori del settore turistico – avrà come risultato prenotazioni per la stagione successiva quasi invariate, con un declino che si manifesta gradualmente negli anni.
La diluizione nel tempo degli effetti pubblicitari si spiega con il fatto che la maggior parte del pubblico raggiunto non è attivamente in cerca questa settimana, né la prossima, né quella dopo. La pubblicità ha come obiettivo formare (molto ma molto difficile) e infrescare (più facile) i ricordi a cui i consumatori attingono, spesso inconsciamente, al momento dell’acquisto. E questi ricordi possono persistere, talvolta per un’intera vita. Personalmente, ho sviluppato nel tempo una lista di destinazioni da visitare ispiratami da film, pubblicità o programmi TV. Lista che ho cominciato molti anni fa.
Quanti potenziali turisti sono effettivamente in ricerca attiva in un dato momento, per esempio, la prossima settimana? Una percentuale incredibilmente bassa. Considerando il più grande mercato turistico in Europa, quello tedesco, dieci anni fa un cittadino su cinque (20% nel 2013) realizzava più di un viaggio di vacanza all’anno. L’anno scorso, la percentuale di viaggiatori frequenti è più che raddoppiata (41% nel 2023), con uno su quattro che viaggia due volte, uno su dieci tre volte e uno su dodici ancora più spesso. In altre parole, non è che siamo sempre a prenotare vacanze. I più fortunati di noi lo fanno poche volte all’anno.
La vera efficacia pubblicitaria si misura quindi nella sua capacità di raggiungere persone che non sono immediatamente pronte a prenotare le vacanze, né questa settimana, né la prossima, né il mese successivo. Il suo compito è quello di depositare o rinfrescare i ricordi che verranno attivati quando il consumatore si deciderà all’acquisto, rendendo la destinazione più riconoscibile, memorabile e facilmente richiamabile alla mente.
Un aspetto spesso trascurato è che, operando in questo modo, la pubblicità non solo costruisce il futuro ma rende anche le campagne successive più efficaci, aumentando la probabilità che vengano notate, ascoltate e ricordate. Si tratta di un ciclo virtuoso che perpetua l’efficacia della comunicazione nel tempo.
Torno alla questione iniziale oggetto di questo post. La scarsa consapevolezza dei meccanismi pubblicitari e, più in generale del marketing, è un problema generale che non riguarda solo l’industria del turismo. Tuttavia, chi lavora per le DMO ha un dovere in più rispetto a chi opera nel settore privato. Dimostrare che ogni euro speso del contribuente ha un beneficio per le imprese e quindi per la comunità. La ricerca che io e Giancarlo stiamo conducendo, purtroppo, finora mi porta a pensare che questa non sia una priorità per tanti decision makers.