Skip to main content
Reading Time: 3 min

A partire da novembre 2028, Barcellona vieterà gli affitti brevi in città. Una scelta coraggiosa e importante, su cui è importante riflettere, e che già da subito ha sollevato polemiche, ma anche molta ammirazione, soprattutto nel nostro Paese dove la
narrazione legata all’overtourism, durante il periodo estivo, risulta essere prevalente.

Prima di giungere a conclusioni, è bene restringere e meglio definire il perimetro di riflessione.

Barcellona è una città che si estende su un’area di 101,9km 2 (contro i circa 182 di Milano) con una popolazione di 1,63 milioni di abitanti (circa 300mila più di Milano), gestiti attraverso un network metropolitano di circa 150 km quadrati, contro i circa 100 di Milano (Rapporto Pendolaria – 2023) e che producono complessivamente un prodotto interno lordo che nel 2016 era pari a 169.924 milioni di euro, poco più alto di quello di Milano.

Una città notoriamente ricca, con una capacità produttiva tra le più elevate in Spagna, e con un sistema di trasporti sia su rotaia che su gomma esteso ed efficiente, che negli ultimi anni ha saputo conquistare sempre più posizioni nel confronto europeo sia su
dimensioni “hard” come l’occupazione, sia su dimensioni “soft”, come il livello di soddisfazione dei propri cittadini, risultando tra le città più europee che vantano i cittadini più soddisfatti (per fare un esempio, Barcellona ha una quota di cittadini soddisfatta pari all’84%, contro l’82% di Madrid, il 71% di Roma).

In questo contesto socio-culturale, la città si è conquistata un posto di primo piano come destinazione turistica: pur non potendo comparare direttamente statistiche provenienti da differenti fonti, secondo l’Istat, a Milano gli arrivi presso strutture ricettive sono passati dai circa 2,8 milioni del 2010 ai circa 3,5 milioni del 2022. Di contro, la società OTB ha rilevato che a Barcellona i turisti negli hotel fossero pari a circa 1.7 milioni nel 1990, divenuti poi circa 7,8 milioni nel 2023.

Dato del resto confermato da Eurostat, che mostra come l’area regionale di Barcellona abbia, dal 2012 in poi, avuto sempre un maggior numero di arrivi rispetto all’area lombarda.
È importante tener conto di questi dati, perché forniscono una maggiore chiarezza sullo scenario in cui è stata maturata la scelta del Sindaco di Barcellona.

La condizione immobiliare, infatti, è l’esito di numerosissimi processi differenti, e limitare l’analisi al solo incremento dei costi può rischiare di essere fuorviante. L’incremento dei prezzi del mercato immobiliare tiene conto di fattori quali il livello di ricchezza pro-capite, le dinamiche inflattive, il reddito in parità di potere d’acquisto, lo stock immobiliare posseduto dai cittadini, lo stock immobiliare disponibile, l’attrattività del contesto territoriale urbano nel suo complesso, e altri numerosi fattori socioeconomici.

Se si tengono in considerazione tutti questi aspetti, allora si può anche tener conto del fatto che, in linea teorica, l’incremento dei prezzi di un bene in genere è associato ad una domanda che supera l’offerta disponibile. Se ci sono 100 persone che vogliono affittare 10 case, i prezzi tenderanno necessariamente ad aumentare.

Le caratteristiche strutturali di Barcellona, e le sue dimensioni socioeconomiche, rendono potenzialmente sostenibile la scelta di escludere le case-vacanza dal panorama urbano. Sia sotto il profilo dello stock immobiliare che sotto il profilo della qualità della permanenza turistica.

Sotto il primo profilo, non è impossibile immaginare che con la riduzione degli alloggi destinati ad affitti brevi, e un potenziale conseguente decremento dei prezzi, le persone che vorranno trasferirsi a Barcellona costituiranno una domanda in grado di sostituire quella attualmente esistente, così come non è impossibile immaginare che la domanda e l’offerta di lavoro (non solo legato al turismo) possa conoscere una crescita negli anni immediatamente successivi.

Parallelamente, l’esperienza turistica verrà soltanto in parte realmente trasformata: oggi il livello dei prezzi di B&B, ad esempio, spesso non è molto distante dal livello dei prezzi delle strutture ricettive tradizionali, e questo riflette una spinta verso l’alto delle fasce meno care, riducendo quindi la segmentazione della domanda in base al prezzo.

Dopo un periodo di assestamento iniziale, è possibile immaginare una sorta di dislocamento degli affitti, con i turisti più facoltosi presso le strutture ricettive centrali, e con una distribuzione del costo degli affitti basata sulla distanza (in minuti e in ore) dal centro storico attraverso i mezzi di trasporto pubblico. Mezzi di trasporto pubblico che sono già sufficientemente solidi e che è probabile tenderanno ad essere ancora più estesi rispetto a quanto attualmente in essere.

Si tratta di condizioni che difficilmente, in 5 anni, le città italiane che oggi guardano con piacere alla scelta del Sindaco di Barcellona potranno davvero raggiungere. Milano non ha lo stesso flusso turistico. Roma non ha lo stesso sistema di trasporti. Firenze non ha la stessa capacità ricettiva. Napoli non ha la stessa domanda di affitti per ragioni prettamente
residenziali.

Soprattutto, a Barcellona, gli indicatori lasciano supporre che una sostituzione dell’industria turistica (con il passaggio da alloggi destinati a turisti ad alloggi destinati a popolazione), si possa incrementare il livello di produttività dell’intera area urbana. Ciò è
possibile per il dinamismo imprenditoriale e industriale, che si stima tenderà a crescere con il crescere degli abitanti.

Nel nostro Paese, sarebbero poche le città che realmente potrebbero immaginare questo tipo di transizione.
Più che la scelta del Sindaco, l’esempio che le città italiane dovrebbero seguire è la costruzione delle precondizioni che tale scelta hanno reso possibile. Creiamo un’industria complementare al turismo. Poi ne riparliamo.

Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

Leggi gli altri post di Stefano Monti

Stefano Monti

Partner Monti&Taft, insegna Management delle Organizzazioni Culturali alla Pontificia Università Gregoriana. Con Monti&Taft è attivo in Italia e all'estero nelle attività di management, advisory, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di un decennio fornisce competenze a regioni, province, comuni, sovrintendenze e ha partecipato a numerose commissioni parlamentari. Si occupa inoltre di mobilità, turismo, riqualificazione urbana attraverso la cultura. È autore e curatore di numerosi libri e frequente relatore di convegni. Il suo obiettivo è applicare logiche di investimento al comparto culturale e turistico.

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.