Skip to main content
Reading Time: 4 min

Il turismo non è il nostro petrolio?

Overtourism è sicuramente il termine dell’estate. Come mi ha scritto Daniele Manetti (Sojern) in chat, il termine lo aggiungeremo a: mangiare tanta frutta e verdura e non uscire nelle ore più calde.

Sull’argomento – di cui scriviamo da tempo su questi pixel – si sono espressi giornalisti, economisti, sociologi, intellettuali. La sensazione generale è di una presa di posizione contro il turismo di massa. Sul piano culturale e sociale non è certo una novità. Nel libro “Il selfie del mondo”, Marco D’Eramo ci ricorda che John Ruskin (1819-1900) – critico d’arte, scrittore, pittore e filosofo britannico, una delle figure intellettuali più influenti dell’età vittoriana – era fortemente critico nei confronti del turismo di massa, poiché riteneva che esso corrompesse l’arte, la cultura e l’ambiente. Ruskin sosteneva che il turismo, in particolare quello di massa, portasse a una degradazione dei luoghi e delle opere d’arte, riducendoli a semplici oggetti di consumo. Due secoli dopo siamo ancora lì.

La novità è che il motto “il turismo è il nostro petrolio” sembra diventato obsoleto. Oltre ai già noti costi ambientali e sociali, si mette in dubbio che il turismo porti anche vantaggi economici. Su questo tema vi consiglio di prendervi meno di un ora di tempo e guardare questi due video. Perché il turismo non ci salverà sul canale di Liberi Oltre e TURISMO: arricchiamoci facendo i CAMERIERI del mondo sul canale di Economiaitalia. In entrambi casi troverete anche link alle fonti per ulteriori approfondimenti.

Cosa posso aggiungere io? Poco, ma forse serve per facilitare la comprensione degli argomenti in discussione. Vi invito, quindi, a fare due distinzioni.

La prima è a distinguere tra il peso del settore nell’economia, e il suo ruolo come “motore” strutturale di crescita degli standard di vita. Il fatto che il turismo contribuisca (in Italia) direttamente al 6% del Pil e che nell’ultimo anno abbia dato un notevole contributo alla crescita dello stesso Pil non implica necessariamente che, seguendo questa via, avremo più italiani occupati e retribuzioni più alte. Il miglioramento degli standard di vita di un Paese dipende dalla produttività della sua economia. Pertanto, mettiamo da parte sciarpa e trombetta da tifosi del settore e facciamo due domande. Qual è la produttività del settore e qual è il contributo alla produttività del Paese?

Scrivere sulla produttività del settore turistico è davvero complicato perché oltre al noto tema su cosa e come si misura, il turismo è un settore industriale complesso che comprende diverse imprese e aziende che forniscono una gamma di beni e servizi di qualità variabile a una moltitudine di clienti, che non sempre sono turisti. Con una estrema semplificazione, le più diffuse imprese del settore, cioè le PMI che operano nell’ospitalità hanno una bassa produttività del lavoro, almeno secondo i sistemi di misurazione in uso. Sul tema, oltre ad una serie di link a papers scientifici che vi ho indicato in calce al post, vi invito a leggere questo interessante articolo sul Il Post (grazie a Giovanni Arata per la segnalazione).

Per quanto concerne il contributo del settore alla crescita, per esemplificare con l’accetta, ci sono due scuole di pensiero.

La prima, la cosiddetta crescita guidata dal turismo (Tourism-Led Growth Hypothesis – TLG), ipotizza che il turismo (soprattutto se internazionale) possa creare non solo occupazione, ma può anche attirare investimenti, sia nazionali che esteri, nelle infrastrutture e nei servizi, il che favorisce ulteriormente la produttività e lo sviluppo economico.

La seconda scuola di pensiero sostiene che il turismo sia un settore dove non sia possibile incrementare la produttività perché dipendente dalla manodopera. Inoltre, ci sono evidenti rendite di posizione soprattutto localizzate in alcuni luoghi (clima favorevole, presenza di elementi attrattivi, vicinanza ai mercati di origine di flussi). Queste rendite incentivano investimenti nel settore immobiliare, riducono l’incentivo a investire in altri settori dell’economia, come l’industria manifatturiera o i servizi avanzati. Uno scenario che viene identificato come Beach Desease in analogia con la Dutch Disease, un fenomeno economico in cui un’economia che scopre una risorsa naturale abbondante (come il petrolio o il gas naturale) vede una rapida crescita in quel settore, ma allo stesso tempo, subisce un declino in altri settori, in particolare il manifatturiero. Quale delle due scuole di pensiero ha ragione? Ci sono alcuni recenti studi che rispondono a questa domanda, ma prima occorre richiamare ed evidenziare una distinzione fatta prima.

Il turismo non è un blocco omogeno, ma un amalgama di imprese di diverse dimensioni (anche se moltissime sono micro-piccole) diffuse sul territorio a cui si aggiungono servizi offerti da istituzioni pubbliche (ad esempio la pulizia delle strade o la visita ai musei) gratuitamente o con prezzi sussidiati. Quando parliamo di turismo mettiamo tutta l’erba in un fascio.

Uno studio del 2019 della Banca d’Italia evidenzia che nelle aree dove ci sono molte risorse inutilizzate (molte provincie del Mezzogiorno), l’impatto del turismo è positivo per la crescita. Almeno nel breve termine. Tuttavia, in altre zone, il turismo può contrastare la crescita del PIL pro capite poiché tende a promuovere attività e posti di lavoro a bassa produttività. Una conclusione che è coerente con i risultati di un altro studio dove viene dimostrato che una maggiore specializzazione nel turismo porta a tassi di crescita del PIL pro capite positivi, coerenti con l’ipotesi della crescita guidata dal turismo, solo se il settore turistico è più produttivo rispetto agli altri settori dell’economia. Al contrario, se il turismo è meno produttivo, una maggiore specializzazione in questo settore può portare a percorsi di decrescita, in linea con l’ipotesi della Beach Disease.

Che ce ne facciamo di tutti questi studi, distinzioni e dati?

La mia conclusione è che, se l’Italia non cresce molto non è certo colpa del turismo, nel senso che scelte di politica economica hanno reso la nostra economia poco attraente in settori a più alta produttività. Il turismo certamente presenta sfide, soprattutto in alcune aree del Paese. Alcune possono essere risolte con la leva fiscale. Ad esempio, nelle aree dove la domanda turistica si dimostra piuttosto rigida rispetto al prezzo si possono disegnare forme di prelievo (tassa di soggiorno, biglietti delle attrazioni e dei mezzi pubblici a costi più elevati per i non residenti) per finanziare i costi aggiuntivi ai residenti, programmi sociali o, addirittura, investimenti in ricerca e sviluppo (ipotesi molto teorica).

Concludendo, non possiamo continuare a discutere in termini di buono o cattivo e a livello aggregato. Il turismo resta ancora una opzione per sviluppare molte aree del Paese, in assenza di alternative. Laddove ci sono eccessi e la domanda è molto rigida, la tassazione può essere utilizzata come leva per pagare i costi degli eccessi e investire eventuali residui in programmi sociali, ricerca e sviluppo.

In ultima analisi, il miglior antidoto all’eccesso di turismo (limitato in alcune località) è rendere finalmente di nuovo il Paese una economia dove è conveniente investire in settori ad alta produttività.

The tourism productivity challenge: are we measuring the right factors, and is productivity growth unlimited?

(52) Productivity, Destination Performance, and Stakeholder Well-Being | Larry Dwyer – Academia.edu

Tourism productivity and economic growth – ScienceDirect

The productivity of tourism industries – Office for National Statistics (ons.gov.uk)

Antonio Pezzano

Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

Leggi gli altri post di Antonio Pezzano

 
TwitterLinkedIn

Antonio Pezzano

Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.