Il vero motore del nostro turismo?
Pochi giorni fa il Sole24Ore titolava così il servizio dedicato al Forum di Impresa Cultura Italia: Cultura motore del turismo: il 70% dei turisti nelle città d’arte è straniero.
La presenza di turisti nelle nostre città, tuttavia, è una rilevazione che può essere facilmente interpretata in modo opposto: se il 70% dei turisti presenti nelle nostre città d’arte è straniero, allora è lecito attendersi che siano propri i turisti stranieri a rendere più significative le entrate dei nostri Musei.
Il rapporto tra cultura e turismo non è semplice. Non solo per il nostro Paese. La letteratura scientifica relativa al tema è particolarmente ricca, e spazia da analisi condotte sulle attuali megalopoli fino ai rischi correlati al turismo in aree poco sviluppate del pianeta.
Senza voler passare in rassegna tutti i numerosissimi punti di vista: dall’ortodossia di una certa classe intellettuale che gioiva nel vedere i Musei vuoti, sino alle visioni prettamente monetarie di alcune correnti interne al Ministero della Cultura, è però necessario cercare di chiarire questo aspetto, cercando di abbandonare una dimensione dicotomica, e cercando allo stesso tempo di restare ancorati ai fatti più che alle opinioni.
Vanno tuttavia esplicitate alcune premesse che sono poste alla base di questa riflessione.
La prima è che separare la cultura dal turismo, nel nostro Paese, e nel nostro tempo storico, è un’operazione pressoché impossibile. Non disponiamo infatti di informazioni puntuali legate a tutti i visitatori di tutti i nostri Musei. Non sappiamo quindi quante volte un residente ha visitato i musei della propria città, o quante volte invece un cittadino si è spostato, per motivi turistici, al di fuori del proprio comune con il chiaro scopo di visitare un museo.
La seconda è che pur disponendo di tali dati, la differenza tra cultura e turismo avrebbe un approccio esclusivamente analitico. Saremmo infatti a conoscenza della provenienza di tutti i visitatori di tutti i musei, ma non potremmo mai comprendere il motivo prevalente del viaggio. Non solo perché tale rilevazione richiederebbe uno sforzo finanziario che non pare che il nostro Governo intenda sostenere, ma anche perché richiederebbe di evincere dai dati informazioni che in molti casi nemmeno gli stessi turisti potrebbero affermare con certezza.
Chi va a Parigi va a vedere il Louvre. Ma è davvero per il Louvre che è andato a Parigi? E se non è andato per il Louvre ma è andato per vivere l’atmosfera della capitale francese, siamo davvero sicuri che il fascino attribuito a tale città non derivi dalla sua storia, remota e recente, che è fatta anche di correnti artistiche divenute celeberrime poi in tutto il mondo?
Quest’ultimo interrogativo ha una valenza cruciale per il nostro Paese: voler visitare Venezia vuol dire visitare una delle città più fascinose della storia del mondo occidentale, e questo è vero anche se, giunti nella città delle gondole, i visitatori dovessero decidere di non accedere ad alcun Museo.
Un fascino che soltanto in parte può essere introdotto all’interno della catena di creazione del valore culturale. In altri termini: Venezia deve la sua fama alla sua forma, ma anche alla sua storia. O meglio, all’importanza storica che le viene attribuita, oggi.
Se è fuor di dubbio che gran parte del nostro turismo è attribuibile anche alla valenza storico, artistica e culturale del nostro patrimonio, è altresì vero che tale valenza non è affatto “misurabile”, mentre è invece misurabile l’impatto che il fenomeno turistico genera sulle nostre istituzioni culturali.
Analizzando i dati relativi agli introiti dei Musei statali pubblicati dal Ministero della Cultura, è chiaro che il periodo estivo, quello che va da Giugno a Settembre, raccoglie la maggior parte dei ricavi in chiave annuale.
Dal 2020 al 2023, ultimo anno disponibile, in questo periodo si sono concentrati, rispettivamente il 46,42% nel 2020, il 52,86% nel 2021, il 42,24% nel 2022 ed infine il 39,4% del 2023, registrando, in ognuno degli anni del periodo considerato, dei fatturati medi mensili più elevati rispetto al fatturato medio mensile italiano.
Si tratta, per dare qualche ordine di grandezza, di circa 120 milioni di euro in 4 anni, nei quali, è bene ribadirlo, sono anche inclusi gli anni del Covid.
Se volessimo, anche impropriamente desumere i dati della fruizione museale dai dati che sono emersi dalle analisi sulla presenza di turisti stranieri in Italia, potremmo dunque affermare che negli ultimi 4 anni, di quei circa 120 milioni di euro (118.634.130,32€) circa 85 milioni sono da attribuire a visitatori stranieri.
Quali conclusioni dunque?
Ovviamente nessuna. Attribuire una valenza funzionale di un settore rispetto all’altro è un’operazione del tutto impropria.
Malgrado sia una pratica abbastanza comune cercare di riflettere un rapporto di mutua interdipendenza in una relazione prevalente, è essenziale ricordare che il ruolo di tali “binomi” è soprattutto “comunicativo”: servono ad illustrare in modo rapido una realtà che nei fatti è molto più complessa.
Se ci si dimentica di tale ovvietà, si finisce con l’attribuire una maggiore o minore validità ad un settore piuttosto che ad un altro. Con conseguenze anche in termini di finanziamenti pubblici.
Il concetto, in realtà, è molto più semplice di quanto le tavole rotonde ci vogliano far credere: la nostra storia e la nostra cultura sono uno dei motivi per cui le persone nel mondo conoscono il nostro Paese. Sapere che visitare l’Italia vuol dire visitare le città d’arte è soltanto una parte della verità. Si visita anche la nostra cucina. La nostra ricchezza naturalistica e di paesaggio.
Allo stesso tempo, il turismo, inteso come settore industriale che si occupa di tutti gli aspetti che consentono alle persone di visitare il nostro Paese, potenzia la diffusione del nostro Paese nel mondo. Più persone visitano l’Italia, più persone vorranno visitarla (se si trovano bene).
Se proprio vogliamo trarre delle conclusioni dai dati, allora possiamo iniziare a stabilire che bisognerebbe ospitare molti più fruitori durante i periodi non estivi, e che probabilmente, con un flusso di visitatori così elevato, l’Italia dovrebbe probabilmente produrre più cultura, e arricchire in questo modo la visione che il mondo ha del nostro Paese.
Perché il Colosseo sarà pure eterno. Ma la voglia di visitarlo non è affatto detto resti tale all’infinito.