Il brandjaking è una tecnica discutibile adottata da parte delle OTA
Avvertenze per la lettura del post: premetto che mi sto avventurando in un terreno a me assai poco familiare, chi frequenta il blog sa che qua spesso non si trovano risposte ma domande e questo approfondimento sui pay per click merita senza dubbio qualche commento di persone più ferrate sull’argomento che, lo dico subito, accetto molto volentieri.
Un nodo cruciale dell’ipermediazione sta nel fatto che le OTA possono liberamente utilizzare i brand degli hotel per deviare il traffico di coloro che conoscono la struttura verso le loro booking machine, e spesso le OTA lo fanno adottando azioni particolarmente fastidiose sui motori di ricerca, in particolare su Google.
E’ proprio qua che inizia la doppia intermediazione. Pago la commissione alla OTA oppure provo a batterla acquistando visibilità su Google? Lasciamo da parte il fatto assurdo di dover battere quella organizzazione alla quale pago commissioni per aiutarmi a vendere. Tutti però sostengono che difendere la keyword=brand name è l’unica cosa da fare e conviene sempre anche se la tua presenza in rete è una somma di ottime best practice.
Sempre, sempre? Quando un sacco di operatori e terze parti iniziano a dirmi che questa pratica è l’unica soluzione inizio a nutrire qualche sospetto o nella migliore delle ipotesi mi metto a controllare fino a quando, o se è sempre redditizio, procedere alle cosiddette operazioni di protezione del marchio per contrastare il brandjaking. Lo so, la mia è una classica deformazione professionale che affligge chi ha piccoli budget da investire in queste cose, ma così è.
Ho preso spunto da un articolo nel quale, a detta di professionisti esperti in materia che ho consultato, i parametri indicati sono congrui per studiare delle casistiche. Prendiamo quindi per buoni il click-through del 35% se sei nei top 3 ads, e il 3,5% di conversion rate (c’è poi da chiedersi se non sia generoso per qualche sito che vedo in giro e che obiettivamente performa meno). Riassumo qua le caratteristiche e i dati presi in esame dall’articolo che vi ho elencato :
per iniziare ho immaginato prenotazioni da 1 notte con i parametri citati dell’articolo al quale facevo riferimento, inizialmente ipotizzando un costo per click di 0,56 e la tariffa pari a quella per una notte facendo così coincidere l’importo del soggiorno con la tariffa della camere indicata nell’articolo. Ho usato gli euro anziché i dollari, ma il senso non cambia. I risultati parlano chiaro il totale delle prenotazioni sfiora i 149 mila euro, le commissioni al 25% così come d’uso in America (secondo l’autore dell’articolo) sarebbero ammontate a oltre 37 mila euro contro una spesa di quasi 8 mila euro di pay per click, una difesa che avrebbe permesso di risparmiare quasi 30 mila euro. Ma se, lasciando inalterati tutti i parametri, ipotizzassimo un conteggio allineando alla più frequente commissione di Booking.com in Italia del 15% il risparmio del Peabody scenderebbe a poco più di 14 mila euro.
Molti specialisti di campagne adwords mi confermano che quasi sempre questo tipo di disciplina per proteggere il proprio marchio ottiene risultati ampiamente positivi. Ma quando è che questa attività diventa pericolosa? Come possiamo fissare dei limiti che ci tutelino?
Ho provato a giocare con qualche numero più vicino alla nostra realtà. Certo, ho scelto dei casi limite ma l’ho fatto per testare il modello e cercare proprio il limite. Ecco il calcolo che ho fatto – i vostri contributi o commenti che possono arricchire queste mie prove sono molto graditi -. Ho cercato su Trivago il primo hotel a Milano e ho ipotizzato le stesse condizioni dell’articolo americano dal quale siamo partiti. Ho calcolato il prezzo medio della camera sul sito di comparazione e ho guardato su Google Ads quali fossero le ricerche medie mensili sul brand dell’hotel (1000) e il costo per click consigliato da Google (€ 2,32) e poi ho lasciato invariati rispetto all’articolo il click trought e le conversioni.
Ebbene se la tariffa è di 260 euro e la durata del soggiorno è di una notte, non conviene difendere il brand ma è più opportuno lasciare il traffico alle OTA con un risparmio di 334 euro, se il prezzo aumenta a 300 euro e le prenotazioni sono di due notti si risparmiano 290 euro ma se le prenotazioni sono di una notte anche se il ricavo per prenotazione è di 350 euro potremmo perdere ulteriori 168 euro e aver difeso inutilmente il nostro marchio.
Un altro caso è quello di un hotel 4 stelle a Roma che veniva segnalato come quello con le tariffe più basse nel dicembre 2013 secondo uno studio di RateGain pubblicato su Tnooz: queste variavano da € 40,02 a € 142,51. Secondo Federalberghi in quel periodo la durata del soggiorno medio a Roma era di 1,8 giorni. Dalla tabella che segue si ricava che, con il costo per click consigliato da Google per quel preciso [nome hotel] (€ 0,56, che poi ho usato anche sopra per il Peadody) con prenotazioni il cui importo è tra i 40 e i 90 euro la difesa è inutile o costa più delle commissioni che si pagherebbero senza dirottare il traffico. Sopra i 90 euro si inizia a guadagnare. C’è da considerare che qua ho calcolato una media commissione al 17%, ma se fosse il solito 15% addirittura si inizierebbe a risparmiare solo sopra i 100 euro.
Dunque sotto determinati prezzi, in casi di soggiorni assai brevi, e tariffe particolarmente basse c’è il rischio di finanziare difese inutili che addirittura costerebbero più delle commissioni stesse, senza contare i costi operativi nel caso doveste gestire direttamente queste campagne.
Certo, acquisire direttamente un cliente comporta anche altri benefici, ma siete proprio sicuri di riuscire a fidelizzare un cliente che abitualmente clicca sui link sponsorizzati?
Se c’è qualcosa che non vi quadra parliamone pure 🙂