A bloccare gli incassi turistici non sono i prezzi di hotel e ristoranti, ma il sovrapprezzo di uno Stato che scoraggia investimenti produttivi.
Domenica i giornali hanno ripreso con grande enfasi un comunicato stampa di Coldiretti che titolava Italia si classifica come la meta turistica più costosa del mediterraneo e spiegava che fare le vacanze in Italia è caro – con una spesa per hotel e ristoranti superiore del 10 per cento rispetto alla media europea – concludendo che a frenare gli incassi turistici in Italia è il sovrapprezzo che i vacanzieri nazionali e stranieri devono pagare nel Belpaese (il grassetto è mio).
E’ proprio così? Capisco che nelle edizioni domenicali le redazioni non lavorino a pieno regime, tuttavia prima di riportare la notizia così come diffusa da Coldiretti, mi sarei fatto alcune domande. Ad esempio, a cosa si riferisce Coldiretti? Al livello dei prezzi o alla variazione dei prezzi? Quale periodo considera: le medie annuali o i prezzi mensili? Coldiretti ha accesso ai dati “grezzi” cioè ai prezzi utilizzati da Eurostat per calcolare gli indici o basa la sua analisi sui dati disponibili al pubblico sul portale dello stesso Eurostat. Insomma, una breve nota metodologica avrebbe chiarito i motivi di una tesi molto forte che si presta ad alcune critiche.
Tanto per chiarire, Eurostat rende noti al pubblico su base mensile e annuale l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA nella versione italiana, HICP in quella inglese) cioè la media dei prezzi ponderati per mezzo di uno specifico paniere di beni e servizi, tra cui alcuni servizi specificamente turistici – quali i servizi alberghieri e i pacchetti turistici – e altri servizi caratteristici del turismo, quali i ristoranti. L’indicatore utilizzato è il numero indice, cioè posta un’uguale base di partenza in un dato momento per tutti (nel caso specifico, il valore è 100 e l’anno di partenza 2005, quindi 2005 = 100), si può monitorare l’andamento nel tempo dell’indice e quindi del livello dei prezzi di tutto il paniere o di un singolo bene. Per i più secchioni, l’IPCA si differenzia dal NIC( l’Indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività) e dal FOI (l’Indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati) per una diversa metodologia di calcolo. L’IPCA, infatti, è stato sviluppato per assicurare una misura dell’inflazione che fosse comparabile a livello europeo e considera il prezzo effettivamente pagato dal consumatore.
E’ vero che i prezzi in Italia sono i più alti nel mediterraneo?
Non avendo i dati grezzi assoluti (per intenderci, quelli che usa Eurostat per determinare gli indici), ho consultato i dati pubblici (gli indici appunto) selezionando i paesi citati da Coldiretti (ad eccezione di Montenegro che non ho trovato, e della Turchia che ha avuto un’impennata così elevata nei prezzi che avrebbe cambiato la fisionomia del grafico). Nel selezionare i dati, ho considerato il livello dei prezzi rilevato ad agosto per due motivi. Si tratta del prezzo che – in media – il turista “percepisce di più” visto che è il momento in cui si registra la maggior parte delle vacanze. Di conseguenza è anche il prezzo più alto rilevato nell’anno. Per questo motivo, la base di partenza è maggiore si 100, l’indice calcolato su base annuale nel 2005. In sintesi:
- Nel settore hotel e ristoranti, l’Italia, è il paese dove, dal 2005, si registra il trend di aumento dei prezzi più contenuto.
- Nei soli servizi ricettivi, l’aumento dei prezzi in Italia è stato così contenuto, da essere superiore solo a Grecia e Portogallo, dove però i prezzi sono inferiori al livello del 2005.
- Nei pacchetti turistici, l’aumento dei prezzi, comunque limitato, è inferiore a Croazia e Francia, simile alla media europea e alla Spagna, inferiore a Portogallo e Grecia.
In sintesi, considerata la base di partenza (il 2005), fare le vacanze in Italia non sembra costare molto di più che nei paesi del Mediterraneo e direttamente concorrenti come Francia e Spagna.
E’ vero che il “presunto” sovrapprezzo frena gli incassi?
Per rispondere a questa domanda e isolare fattori esogeni come le condizioni generali di mercato, ritengo sia utile fare un piccolo esperimento ed analizzare la quota italiana nel mercato “core” che è quello formato con i principali concorrenti, cioè Francia e Spagna. A tal fine, ho utilizzato tre indicatori, a) presenze totali nelle strutture ricettive, b) presenze degli stranieri nelle strutture ricettive, c) fatturato nelle strutture ricettive. La fonte dei dati è Eurostat, ma è giusto ricordare che le regole di calcolo delle presenze cambiano da paese a paese. Tuttavia, volendo analizzare un trend, questa diversità metodologica non compromette la sostanza dell’analisi poiché le modalità di calcolo non cambiamo sostanzialmente per uno dei tre paesi negli anni considerati.
L’esperimento, sintetizzato nel grafico, racconta essenzialmente tre cose:
- la quota italiana sul fatturato complessivo dell’industria ricettiva di Francia, Italia e Spagna, con l’inizio della crisi (2007) è altalenante, anche se negli ultimi anni si stabilizza intorno al 32%.
- All’Italia è venuta a mancare la domanda interna, cioè dei turisti italiani.
- E’ difficile imputare ai prezzi la flessione della quota di fatturato e presenze registrata dal 2010 al 2013, considerato che nello stesso periodo il livello dei prezzi in Italia cresce meno che in Francia e in linea con la Spagna.
Una riflessione conclusiva. Posto che il “valore” dei prezzi è da rapportare al valore assegnato al bene, al servizio o all’esperienza che si compra, che è difficile da valutare (il famoso rapporto qualità prezzo), il punto vero è un altro, come rilevato già da Robi. I prezzi nel turismo, anche considerando i picchi di stagione, non sono aumentati, se non in misura fisiologica. Le condizioni macro-economiche generali (debolezza della domanda) e la concorrenza-trasparenza portate dalle OLTA e dalle piattaforme social li hanno frenati. A prezzi fermi, e con una lotta più incisiva all’evasione fiscale, dal mio punta di vista il vero polmone finanziario del settore, quanto possono investire per rinnovarsi le imprese ricettive? E quante sono destinate a chiudere? Con l’arrivo di airb&b che farà di ogni famiglia un oste, è evidente che il settore deve industrializzarsi (più grandi, più standard operativi, più dati). Tuttavia, come ho avuto modo di scrivere, il sistema di regole (troppe e vetuste e in ogni settore) scoraggia ogni forma di cambiamento.
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