Airbnb ha suscitato grande scalpore tra gli addetti ai lavori dopo aver comunicato agli azionisti che sta effettuando un passaggio permanente dal performance marketing al brand building marketing.
Airbnb ha ridotto la sua spesa di marketing del 58% ( 662 milioni di dollari) nel 2020 a causa della pandemia. Tuttavia, nello stesso periodo ha registrato il 95% del traffico del 2019 quando ha speso 1,14 miliardi di dollari. Quindi, a San Francisco si sono chiesti perché spendere in futuro tanti soldi in direct marketing (il vecchio modo di chiamare quello che oggi indichiamo con digital o performance marketing) se tanto anche non spendendo il traffico sul sito arriva lo stesso. E infatti, hanno deciso che nei prossimi anni la scure si abbatterà ancora nel performance marketing, cioè search, display e programmatic advertising. Le altre spese di marketing (come la pubblicità TV e la sponsorizzazione ai Giochi Olimpici) subiranno tagli notevolmente inferiori.
Brian Chesky, co-fondatore e amministratore delegato di Airbnb, ha detto agli investitori che l’anno della pandemia è stato un grande esperimento. Infatti, hanno potuto valutare in modo controfattuale cosa succede al traffico sul loro sito se non spendono montagne di dollari in performance marketing. La risposta è stata molto chiara. Niente. Business as usual. Ormai Airbnb è un brand capace di generare traffico senza investimenti consistenti in performance marketing. Agli investitori e a chi legge i giornali finanziari questa notizia non suona strana. Altri grandi marchi come Adidas e brand del settore automotive hanno fatto la stessa scelta riducendo in modo sostanziale gli investimenti in marketing digitale.
Questa storia conferma una ipotesi di lavoro nota nei circoli degli analisti finanziari e di marketing. Il performance marketing per i brand che hanno una buona ed elevata notorietà è veramente inefficiente. Ne ho già scritto nella serie di post sui ragionamenti sul marketing delle DMO. Le ragioni sono sostanzialmente due. La prima, i dati del performance marketing sono gonfiati e fuorvianti. A parte le note vicende di Facebook, che continua ad ammettere di gonfiare i dati, mettete nel conto che quei dati includono bots e visualizzazioni irrilevanti. Secondo, usare i canali digitali per avere attenzione costa molto di più che la classica TV. Una ricerca durata alcuni anni e popolarizzata in un libro che vi consiglio di leggere arriva a concludere che TV gets twice the active viewing as YouTube and 15x Facebook. Avete capito bene. A parità di rendimento in termini di vendite, se considerate il costo per contatto, uno spot su Youtube costa il doppio che quello tradizionale sulla TV, mentre quello su Facebook fino a 15 volte in più.
Inoltre, bisogna comprendere che la maggior parte delle attività di marketing digitali hanno una funzione diversa delle attività di comunicazione tradizionali. ll marketing digitale, soprattutto il search e il display adv, è una forma sofisticata di distribuzione. Siamo in una epoca in cui si compra on-line, dove per compra non si intende solo l’acquisto, ma anche l’attività di esplorazione e la valutazione di alternative. In questo contesto, l’esito principale sul quale misuriamo le campagne di marketing digitale è il responso, cioè quante visite/click su un determinato canale o quante vendite. Si tratta di dati facilmente disponibili e tracciabili. Per questo motivo, si è cominciato a riferirsi a queste attività come performance marketing. Gli effetti sul brand building, cioè sulla probabilità che evochiamo, pensiamo o digitiamo brand in situazioni di acquisto, sono tuttavia limitati. In altre parole, rafforzare il brand attraverso il digital marketing è molto laborioso, lento, e costoso.
Strategie di destination marketing: ovvero capire quale sia l’approccio migliore caso per caso
Quali sono le implicazioni di questa notizia per il marketing delle destinazioni? Per rispondere, vi propongo un’altra domanda che mi hanno posto alcuni osservatori, molto vicini al mondo delle DMO. Perché fare brand building (di destinazione), quando attraverso le campagne digitali si conseguono risultati eccellenti misurabili e con dati che fanno venire i cuoricini negli occhi degli Assessori al turismo? Ci sono almeno tre buone ragioni che elenco.
La prima l’ho spiegata prima. Alla lunga il performance marketing è inefficiente. La seconda ragione è che la destinazione non si vende in quanto tale. Si vendono i voli, il pacchetto e una camera, ma non la destinazione. E fare campagne di co-marketing, qualora riusciate a superare le forche caudine degli aiuti di stato è un’impresa politicamente difficile. Quali prodotti, quali hotel, quali compagnie includere? Se coinvolgi le OTA, le associazioni di categoria ti chiamano traditore. Si finisce per fare il polpettone o il minestrone. E non sempre funziona. La terza e più importante ragione è che le decisioni su dove andare in vacanza sono abbastanza dipendenti dal consideration set iniziale. La maggior parte delle volte si sa già dove andare e difficilmente si cambia opinione.
Detto questo, il performance (o digital) marketing rimane vitale per molte DMO. La pubblicità su TV è molto efficace ed efficiente, ma è accessibile a pochi. E poi c’è l’importantissima questione del punto di partenza. Un conto è essere una destinazione nota con un brand riconosciuto o come nel caso di Airbnb un brand che definisce una categoria, un altro è essere destinazione sconosciuta che vuole farsi largo nel mare della popolarità. La pubblicità (soprattutto tradizionale) è davvero formidabile a ricordare al mondo che continuiamo ad esistere. Una cosa è rinfrescare la memoria, un’altra è creala tutta da capo. E se si deve creare tutto da capo, tante vale farlo con tutte le cartucce a disposizione.
Le notizie sulle comunicazioni di Aribnb agli analisti riportano un’altra indicazione molto interessante. Brian Chesky ha affermato che è grazie alla strategie PR che hanno costruito il marchio di Airbnb. Ora, Airbnb ha fatto molto bene le pubbliche relazioni e lo ha fatto con budget che non sono alla portata delle DMO. Quindi non è imitabile. Tuttavia ha dimostrato che le PR non sono uno strumento da snobbare se si vogliono raggiungere certe vette. Insegnamento da annotare.
Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.
Antonio Pezzano assiste enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il suo ruolo é fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni. E’ stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN.