Di cosa hanno bisogno i viaggiatori LGBT per considerare l’Italia una meta turistica a tutti gli effetti?
È il 29 Maggio 2021 ed una coppia gay di Torino in vacanza cammina tenendosi per mano per le vie di Palermo: una notte in pronto soccorso e 25 giorni di prognosi.
31 Maggio 2021 nell’Oltrepò Pavese: uova e spari contro la casa di una coppia gay sessantenne che dopo anni di discriminazione decide di cambiare città vista l’escalation di violenza.
Potrei raccontare tanti altri episodi di omofobia avvenuti in Italia anche in destinazioni normalmente ritenute aperte al turismo.
Al di là di come la si pensi sull’attuale testo del DL Zan, è fuori discussione che al nostro Paese serve una legge che punisca i reati di omobitransfobia considerandone l’aggravante dovuta all’odio per orientamento sessuale e non, come oggi accade, per “futili motivi”.
Ciò detto, non può essere una legge repressiva a risolvere un bel più ampio problema che ricade in un ambito strettamente culturale. C’è bisogno di un importante impegno culturale e in questo il turismo può giocare un ruolo fondamentale.
Oltre al ruolo etico-culturale non è sicuramente da trascurare l’impatto economico che questo cambiamento potrà generare nella filiera turistica.
Ricordiamo che parliamo di un segmento turistico alto spendente, con un reddito superiore del 38% alla media, che effettua circa 4 viaggi l’anno di 9 giorni ciascuno, per un fatturato complessivo in Italia di 2,7 miliardi di euro.
Oggi però, anche a causa dei numerosi episodi di omobitransfobia, molti viaggiatori LGBT, pur mettendo l’Italia al primo posto tra le mete turistiche desiderate, scelgono alla fine altre destinazioni facendo scendere l’Italia al quinto posto della classifica dei mercati internazionali (fonte Community Marketing Inc).
Il turista che viene in Italia vuole sentirsi sicuro, vuole poter soggiornare in una struttura dove non rischia di essere discriminato o anche semplicemente deriso e dove ci si rivolga apertamente al proprio universo così da poter soddisfare il bisogno di legittimazione sociale, dove il personale sia in grado di suggerire eventi o luoghi LGBT in città o dove vengano realizzati pacchetti anche per le coppie gay.
Per essere pronti ad accogliere questo genere di turisti non ci si può improvvisare. Esistono prassi e protocolli adottati dalle più grandi compagnie alberghiere in cui il personale viene formato e in cui la struttura è preparata a comunicare correttamente la sua gay friendliness.
Diversamente, farsi trovare impreparati potrebbe facilmente trasformarsi in un boomerang in cui l’effetto passaparola, molto forte nella comunità LGBT, darebbe inizio ad un boicottaggio difficilmente recuperabile nel breve periodo.
Quello che mi sento di consigliare, se si sceglie di volersi rivolgere a questo mercato, è di rivolgersi ad esperti in consulenza e comunicazione del settore in modo da implementare un piano formativo ed operativo su misura.
Un investimento a lungo termine perché non bisogna trascurare il fatto che il 73% dichiara un alto tasso di fidelizzazione verso le imprese dichiaratamente LGBT friendly.
Foto di copertina © Beate, su Pixabay